Ascoltare la televisione in questi giorni significa, spesso, essere costretti a subire un linguaggio che dichiara ufficialmente di cercare la pace ma che in realtà è oltremodo bellicoso per ragioni di audience. Oppure, significa vedere i commentatori tv che fino a ieri parlavano da ‘esperti’ di virus, convertirsi in rinnovati ‘esperti’ di storia contemporanea, di cultura russa e ucraina.
Offro di seguito qualche parola chiave che mi sta aiutando a non perdermi in questa babele di speculatori morali del clima di guerra.
Aggressione Si deve tenere ferma nella propria mente che si è trattato di un’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. Non si deve accettare di scivolare da questa considerazione verso le cosiddette ‘ragioni’ dell’invasione. Una difesa ha delle ragioni; un’aggressione no. Bisogna aver chiaro questo punto per sostenere, quando sarà, la forza della mediazione che, per quanto assurdo possa sembrare, ha nei torti delle parti (che vanno rimediati) un proprio punto di forza.
Americani Anche in questo caso, occorre evitare di sovrapporre agli eventi le valutazioni generali sulle politiche statunitensi.
Non sono Usa i carri armati e i cannoni che hanno invaso l’Ucraina. Sono Russi.
Questo punto va tenuto a mente con molta chiarezza. Gli Usa hanno avvertito, quando nessuno ci credeva, dell’imminente invasione.
Dire questo non significa allinearsi con la politica estera statunitense, che sull’Europa ha perso un po’ la bussola da qualche decennio.
Gli Usa vogliono una Russia potenza asiatica dimezzata. L’Europa ha un interesse opposto: vorrebbe una Russia europea integrata. Ma questo dilemma, che ha origini antichissime, mette in gioco più la responsabilità europea che quella americana e l’Europa non ha validi strumenti per contrastare seriamente l’emergenza ricorrente del grilletto facile russo, la cui tentazione giune a ispirare e destabilizzare anche i vicini Balcani. L’Europa non ha una politica quando la politica si affida ai cannoni. E i Russi lo sanno.
Bontà Nei momenti drammatici, è indispensanìbile avere sempre il senso di sé. Chi più può, per il ruolo che ha, più dovrebbe fare. Tuttavia esiste la possibilità, mettendosi anonimamente dietro la prima fila, di aiutare le organizzazioni che sanno fare il loro mestiere. Ognuno scelga quella che sente più vicina. Aiutare in modo ordinato è il miglior modo di fare qualcosa.
Economia e libertà Noi tutti stiamo scoprendo quanto fosse scombinata l’idea della globalizzazione come anticamera della pace.
È verissimo che Putin non aveva previsto come gli affari della pace, di un mondo ormai interconnesso in quasi tutte le sue attività, avrebbero disturbato gli affari della guerra (che ci sono e sono molto vantaggiosi) al punto da renderli meno preferibili ai primi. Ma è anche vero che la ricchezza del mondo è mal prodotta (al punto che stiamo distruggendo il pianeta) e mal distribuita (al punto che le differenza tra ricchi e poveri si acuiscono anziché ridursi). E questo è un grande carburante della guerra.
Bisogna prendere atto che ad oggi non esiste un modello di organizzazione dei poteri che contemperi libertà, sviluppo e giustizia. Esistono modelli imperfetti che sacrificano sempre uno di questi termini: o garantiscono lo sviluppo e la libertà ma non la giustizia, o tendono a garantire quest’ultima e negano i primi due.
È in questa confusione che si può sentire dire, come accade in questi giorni, che un modello istituzionale vale l’altro, che il regime di Putin non è diverso da quelli occidentali.
Non è vero ed è grave affermarlo, come è stato grave parlare di dittatura per il governo della pandemia. Sono esagerazioni funzionali alla conquista del potere, alla manipolazione del consenso, ma rischiano seriamente di compromettere la libertà di tutti.
Non vi è un solo governo occidentale che abbia ucciso i propri oppositori politici come ha fatto Putin. Il modello Erdogan, Putin, Al Sisi, promette meno libertà e più giustizia ma realizza, al contrario, meno libertà, meno giustizia, meno sviluppo.
L’Occidente, però, ha, verso le dittature e le ingiustizie del mondo, una geometria di comportamenti molto variabile, dettata dalla convenienza, che rende meno credibile l’autodescrizione di sé come baluardo della libertà. L’Occidente ha un pezzo non banale di coscienza sporca con la quale si ostina a non iare mai i conti.
Personalmente apprezzo di più i diplomatici scettici sulla bontà dell’Occidente e ostili, nell’animo e non nelle parole, verso le tante dittature del mondo, ai retori che infiammano il popolo e non risolvono un problema.
Abbiamo bisogno di realisti colti e prudenti piuttosto che di motivatori bellicosi o di nuovi promotori della superiorità ariana (i sardi non sono ariani, sono mediterranei, sono più parenti degli ebrei, dei palestinesi e dei berberi di quanto non lo siano degli inglesi e dei tedeschi).
Forse mi sbaglio, ma la posizione meglio bilanciata attualmente sembra essere quella del Papa: fermezza di reazione contro l’aggressione russa, ma anche porte sempre realmente aperte per la soluzione diplomatica.
Pace La pace non è una condizione stabile per l’umanità. È un bene sempre a rischio. E ancora non è stato varato un metodo che ne garantisca la conquista senza costi. Paradossalmente, dai tempi dei Romani, vi è chi sostiene che per vivere in pace bisogna preparare la guerra, in modo che il nemico che volesse attaccarci sospetti sempre di dover pagare un prezzo troppo alto per conseguire il suo obiettivo. È difficile credere che siano le armi a garantire la pace, ma occorre prendere atto che in alcune circostanze risultare indifesi è un incentivo alla guerra piuttosto che alla pace.
C’è anche la strada della non violenza, del sacrificio di sé che investe sull’esemplarità del proprio comportamento e sulla sua replicabilità. Piaccia o non piaccia, questa strada ha dato risultati più duraturi, ma al prezzo di un numero di vittime pari a quello delle guerre. E qui sta un punto terribile: pare, guardando alla storia, che non vi sia niente che germogli se la terra non è innaffiata di sacrificio. La strada della pace sembra essere sempre il dolore, e questo è tanto inaccettabile quanto vero.
Anima Dopo aver fatto il nostro dovere di solidarietà e di impegno per l’Ucraina (e sottolineo dopo), possiamo ritrovare in questi giorni un po’ di conforto nell’immersione nello spirito (anche chi pensa di non averlo, ce l’ha), cioè in quel luogo senza spazio né tempo che la mente può percorrere se si denuda, se sa guardarsi allo specchio senza avere paura. Si può così sperimentare come si possa lasciare se stessi su una panchina ad attendere e nel frattempo percorrere profondità immateriali che confortano e che, per paradossale e incredibile possa sembrare, aiutano l’umanità intera a ritrovarsi.
Cundivido.
Ma tocat a fàere un’osservatzione a propósitu no tantu de paghe e de gherra.
Intanti, candho mai s’Umanidade, chi no est una “massa biológica” a vida e movimentu determinísticu, ma sugetu/atore de libbertade/creatividade/responsabbilidade e ‘ignorante’ e limitada po definitzione fintzes si sèmpere dischente/imparandho, at a pòdere istare e chentza ‘iscórrios’? De Umanidade perfeta no dhue ndhe at a àere mai.
Ma sa paghe, chi no est farta assoluta de iscórrios, est sa cunditzione necessària po sa vida umana ca solu in paghe si podet naschire, crèschere e si depet mòrrere puru ca giai si morit chentza èssere bochitos; s’umanidade est su èssere impare, su èssere unu su cumplementu de s’àteru, s’unu su chi podet mancare e serbire a s’àteru, est vida de totus impare.
Is umanos no nascheus a partenogénesi e mancu crescheus chentza is àteros e totu su restu de sa vida est unu “agiudu torrau”. No podeus nàrrere chi est unu èssere “homo homini deus”, ma de seguru no est mancu unu “homo homini lupus”. De candho custu “lupinismu” est su fàere, cumenciandho de Cainu, candho su ‘animale’ fut giai umanu líbberu e responsàbbile, unu est bochindho a issu etotu. Sa vida, e deasi s’istória, est prena de “contradditziones” e de iscórrios; ma su chi seus naendho gherra est una contradditzione assoluta, unu “vita mea mors tua” assurdu ca no est e no podet èssere “mors tua vita mea”. E s’iscàndhalu no est candho duas personas chi s’istimànt essint a iscórriu e si lassant (perunu artículu de giornalista ndhe iat a foedhare, si no est giornalismu de bodhetas po fàere afàrios) o faent pretu: s’iscàndhalu est candho una persona bochit s’àtera o comente naraus puru “dhi leat sa vida”, ca est una contradditzione assoluta, gherra, distrutzione, isperdimendu, avelenamentu, morte de s’unu e fintzas de s’àteru, de su mortu e fintzes de su chi campat, dannu po su bochidore etotu fintzes candho est solu una farta e no fatu apostadamente comente si faet in is gherras.
Sa gherra a dominare est unu crímine contr’a s’umanidade.
Sa vida est paghe. E solu sa paghe est vida, istima, arrespetu, solidariedade, umanidade.
Ma comente est cuncordada s’Umanidade in custu pianeta Terra limitau e piticu? No est solu cosa chi nemos at naturalmente programmau de pópulos diferentes (e mancu male!), distintos, e a diferentes livellos de cultura, economia e organizatzione política e amministrativa.
Cun totu is cambiamentos e naraus progressu de is tempos de s’animalia e de Cainu e Abele est però ancora e sèmpere de prus a ‘civiltade’/barbaridade chentza fàere contu chi seus passaos de is làncias a punta de perda o a istillu de ferru a is míssiles, carros armaos, MiG e bombas atómicas chi faent mortos a milas e milas chi distruent citades intreas.
Sa paghe de is armamentos no est paghe, ma una assurda organizatzione de gherra e po sa gherra.
Cale est su ‘motore’ de custa assurdidade infame bàrbara chi bochit, iscònciat, distruet, isperdet e avelenat in totu su Pianeta?
No est su giogu a trivas de pare a chie podet fàere méngius e de prus che in is olimpíades, in d-unu mundhu cun parte manna de sa gente in miséria, a fàmene e maladias e disastros. Est una economia de gherra, ma no ca de una die a s’àtera faent pròere is dificurtades a muntones e mannas e a disisperu curpa de unu deus Moloch tzerriau “Mercau”, ma est responsabbilidade de is ‘atores’ de su mercau, normalmente a gherra e a gherras in tempus e in logos de ‘paghe’, e de cantu si faet funtzionare po is contos de cudhos chi portant sa lepedha a sa parte de sa màniga.
Est una economia mundhiale de gherra e de gherras a chie podet dominare de prus e bínchere e aterrare is àteros, a chie si podet fàere mere de una fita prus manna de su mundhu miniera, de su mercau e de sa gente.
Chie funt is ‘atores’ de custa gherra chi faet e tenet bisóngiu de armamentos po is gherras?
Si iant a pòdere fàere numenes e sambenaos, de is meres e fintzes de is dipendhentes, fintzes candho is ‘atores’ funt is guvernos de is istados, no solu a ditatura ma fintzes a ‘demogratzia’, guvernos si no própriu buratinos ma a bisura de “comitati di affari”, a cumandhu no de is necessidades umanas fintzes prus elementares, e medas fintzes ‘gonfiadas’ apostadamente in s’idea maca de fàere comporare e fuliare di tutto e di più e ammuntonare milliardos a una parte e àliga a s’àtera; comitaos de afàrios e de afaristas assatanaos, indemoniaos in s’idea círculu vitziosu de su domíniu/errichimentu e mancari issos etotu buratinos, marionetas de custu círculu vitziosu chi mancu issos e nemos arrennesset a guvernare in sa assurdidade e barbaridade de sa gherra de is gherras, a gherra de gherras.
Cun totu cussu, in custu mundhu de pópulos, natziones, istados e làcanas de tantas génias seus totus deasi intraos apare, e ammesturaos, dipendhentes s’unu de s’àteru e imbarcaos in sa matessi barchita cun giai totu is matessi chistiones chi nemos podet fàere a mancu de is àteros e mai in totu s’istória de s’umanidade su mundhu est istétiu própriu totu su mundhu comente est oe, unu Pianeta una Umanidade.
Serbit unu cambiamentu mannu de cilviltade, chentza presuntziones e prepoténtzias de domíniu, chentza sa presuntzione maca e assurda de irvilupu e errichimentu chentza límites e in manu de pagos candhos invece de sèmpere is benes chi si produent no funt e no podent èssere àteru si no produtzione sociale ma sa parte prus manna a errichimentu de pagos chi si ndhe funt fatos e sighint faent meres faendho profetu fintzes de su sàmbene chi mancat a is chi funt morindho de fàmene e de miséria abbarraos chentza nudha in àteras gherras.
E mancu podeus pentzare una Umanidade consumista in crica de fàere unu paradisu in terra e mancu lassandho chi crescat a bisura de is sórighes chi, in cudh’ísula, de cantu furint tropu si che funt imbolaos totus a mare e mortos totus ca no dhue podiant campare.
Tocat chi s’ONU cumencet a cambiare bisura e funtziones, e currendho puru, e pòngiat fine a sa produtzione de is armamentos mannos e a unu èssere de is natziones e istados càrrigos de arsenales prenos de is peus armamentos, ne timendho s’unu a s’àteru e ne cricandho s’unu de dominare s’àteru; unu Piantea cun fortzas fintzes militares ONU no timendho e preparandho is gherras sèmpere in s’idea e iscórriu de s’unu contr’a s’àteru, ma po fàere a manera de guvernare po sa paghe fintzes realtades de iscórriu in d-unu mundhu prus pagu a bínchere e dominare e inveces prus a campare in manera dignitosa, prus giusta e umana, cun prus coperatzione e assumancu chentza gherras.
Tocat a istabbilire e guvernare, agiudare a crèschere e ampare, cun sa matessi dignidade e arrispestu de dónnia pópulu, una sola sovranidade internatzionale de solidariedade umana mundhiale de giustítzia, de demogratzia, de libbertade, responsabbilidade e paghe, chi no at a èssere mancu tanti paghiosa po is males chi no ant a mancare chentza ndhe fàere apostadamente.
For Pope!
👏👏👏