Nella richiesta di rinvio a giudizio del vescovo di Ozieri per il reato di peculato, la Procura della Repubblica di Sassari configura il vescovo come pubblico ufficiale con queste parole:
«La Conferenza Episcopale Italiana è ente di diritto italiano. Essa è composta da tutti i Vescovi presenti in Italia, quindi da tutti i titolari delle varie Diocesi (divisioni territoriali).
In base alla L. 222/1985 lo Stato Italiano conferisce alla Chiesa Cattolica verso la Conferenza Episcopale Italiana i fondi dell’8×1000 secondo le indicazioni dei singoli contribuenti nelle loro dichiarazioni dei redditi (i quali contribuenti possono alternativamente scegliere per la destinazione verso altre religioni ovvero per lo Stato).
Il conferimento dei fondi alla CEI avviene (art. 47 i.cit.) per gestione diretta della Chiesa Cattolica per scopi di carattere religioso. Tali scopi (art. 48 cit.) sono: esigenze di culto
delle popolazioni; sostentamento del clero; interventi caritativi della collettività nazionale e dei Paesi del terzo mondo.
Tale conferimento di fondi, quindi, non è una donazione, poiché la Chiesa Cattolica, tramite la CEI, agisce come gestore, con obbligo di rendiconto periodico. In sostanza, la CEI tramite i suoi organi, utilizza fondi pubblici per gli scopi detti per conto dello Stato italiano.
(…) È il Vescovo, legale rappresentante di ogni Diocesi e membro dell’Assemblea Generale della CEl, che gestisce direttamente i fondi, anche tramite suoi delegati, destinandoti agli
scopi sopra indicati. Trattandosi di gestione diretta di fondi pubblici italiani per scopi propri dello Stato Italiano, è manifestazione di funzione pubblica, disciplinata da norme di diritto pubblico, caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione (nel caso di specie: conseguimento degli scopi ex artt. 47 e 48 cit. con gestione diretta di fondi pubblici)».
A leggere però la legge 222/1985 si respira tutt’altra aria.
In primo luogo perché il legislatore dice espressamente che la somma che i cittadini intendono destinare con l’8xmille «a decorrere dall’anno finanziario 1990 (…), liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica» (art. 47).
Quindi, se vi è una certezza, questa è che la Chiesa cattolica non è per manco un piffero gestore delle risorse per conto dello Stato e anche che il Vescovo, in quanto gestore di risorse dell’otto per mille non è per nulla un pubblico ufficiale.
Se i Vescovi, in quanto gestori dell’otto per mille, sono pubblici ufficiali, lo Stato di fatto governa la Chiesa.
Se questo sta bene a uno stuolo di vescovi vigliacconi che non battono ciglio dinanzi a questa mostruosità, a me non sta bene e io ho titolo a parlare perché ho sempre destinato l’8xmille alla Chiesa e il 5xmille al Bambin Gesù.
Forse non è chiaro il quadro che discende dall’impostazione della Procura, la quale tace sul fatto che i soldi destinati alla Chiesa sono dei cittadini, non dello Stato, e sono di cittadini che non chiedono allo Stato di vigilare sulla Chiesa. Che succede se fosse vera l’impostazione della Procura? Nel momento in cui il vescovo diviene un pubblico ufficiale, non può più scegliere intuitu personae l’impresa cui affidare lavori negli edifici della sua diocesi, ma deve andare a gara. Non può più costituire società o cooperative se non nella forma dell’in house, come fanno gli enti pubblici. Non può decidere di promuovere attività economiche e di sopportarne le perdite perché è difficile far rientrare le attività di impresa in attività caritative. A Cagliari sono diverse le cooperative riconducibile alla Caritas, tutte benemerite, ma secondo il prisma della Procura di Sassari tutte illegittime. Non solo: se la diocesi apre un conto corrente a nome di una propria cooperativa e delega a gestirlo un laico che spende, per esempio, 4mila euro per comprare un macchinario quando sul mercato vi è lo stesso macchinario a duemilacinquecento euro, il vescovo è passibile di essere indagato per culpa in vigilando.
L’enormità giuridica sassarese non può passare come una questioncella di periferia, perché le iniziative della diocesi di Ozieri, i prelievi dei laici delegati, le domande fatte per cambiare il forno del panificio, i prestiti interni, sono bazzecole dinanzi al mare di denaro che altre diocesi impiegano, per esempio, per improbabili istituzioni culturali, o per complesse operazioni immobiliari, o per imprese sociali inevitabilmente in perdita. I vescovi non possono agire come se fossero sindaci. Più di una diocesi ha anche uno sportello antiusura, che non fa carità, contrasta il crimine, come si giudicano le donazioni a privati così motivate? Peculato? Un Vescovo può aiutare una famiglia a comprarsi una casa, sì o no? Se lo fa da pubblico ufficiale, commette un possibile peculato e giustificherebbe la Polizia Giudiziaria a verificare se, secondo la legge bancaria, quella famiglia avrebbe potuto oppure no accedere al credito bancario. Io conosco parroci che si sono tolti il pane di bocca per garantire un tetto a persone finite in disgrazia, persone che per le leggi vigenti, non avevano titolo a ricevere quei soldi perché non erano ufficialmente indigenti.
Ma l’aspetto più insidioso del ragionamento della Procura è che, a suo dire, giacché la CEI elabora un rendiconto, evidentemente riconosce di essere gestore. Anche in questo caso, però, la norma restituisce uno spirito della legge che non è quello ‘forzato’ della Procura. Recita l’art. 44: “La Conferenza episcopale italiana trasmette annualmente all’autorità statale competente un rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme di cui agli articoli 46, 47 e 50, terzo comma, e lo pubblica sull’organo ufficiale della stessa Conferenza“.
La norma vuole solo verificare che le somme siano utilizzate, non come vengano utilizzate e l’unica precisazione richiesta nei commi successivi riguarda le risorse per il sostentamento del clero.
In ogni caso, siccome io sono padrone di una minima parte dell’8per mille, ma pur sempre padrone, se capirò che destinare l’8per mille alla Chiesa cattolica significherà far diventare i Vescovi come i Sindaci e metterli sotto gli stivali della Guardia di Finanza e sotto le scarpe di vernice dei magistrati, allora non firmerò più l’8per mille e farò ai vescovi un bonifico di pari importo, con la seguente motivazione: «I Cristiani non sacrificano a Cesare».
Il punto dirimente della questione mi pare che sia quello già evidenziato: di chi sono i soldi? Dello Stato o dei Cittadini?
Se sono dello Stato, allora fa bene la procura a esigere rendicontazioni, bilanci, giustificazioni di spesa, economicità delle stesse, ecc. ecc., visto che – trattandosi di soldi pubblici – è lui ad avere il diritto di controllare, indirizzare, approvare e, eventualmente, richiedere indietro, le somme stanziate.
Se invece, come io credo, sono soldi dei Cittadini, che lo Stato consente di indirizzare verso Enti (e non c’è solo la Chiesa Cattolica) senza chiederne il perché e il percome, allora è un’evidente intromissione. Peraltro mi domando cosa avrebbe da dire lo Stato se i soldi fossero tutti spesi (come d’altronde io reputerei doveroso) in opere di carità diretta (pagamento di bollette o di generi alimentari a famiglie o persone bisognose): vorrà mai l’elenco dei beneficiati? la giustificazione a bilancio di un’economicità inesistente? Mah…
A margine, mi sembra che in questa ennesima e triste vicenda di appiattimento consenziente a poteri altri, rappresentata dall’inutile, farsesco e telecomandato processo al vescovo di Ozieri (in realtà a Becciu, per interposta persona), per la CEI – e in particolare per i vescovi sardi si possa ben applicare la nota massima di Churchill:
“potevate scegliere tra il disonore e la guerra; avete scelto il disonore e avrete la guerra”.
A me pare una puntata della guerra dichiarata dal Papa al card.Beciu !!!!! Solo dopo la morte di Francesco ,forse si conoscerà la verità e tutti i retroscena attualmente inspiegabili , compreso l’atteggiamento silente ed attendista della CEI.
Siccome una norma esiste ed è molto chiara nel prevedere l’esercizio di una volontà di destinare parte della propria Irpef a favore di un determinato soggetto non riesco a percepire i motivi per cui denari che NON sono più pubblici debbono essere , per una interpretazione estensiva, essere ancora considerati tali e con tutte le conseguenze che l’articolo pone in chiara evidenza.
In questo caso , esattamente nelle stesse modalità riguardanti la 515 per la Todde, se assiste alla stessa liturgia giuridica intorno alla Norma che risulta manifesta come pratica di stravolgimento della stessa; è una cosa che fa cascare letteralmente le braccia .
Sono pienamente d’accordo con Enrico.
Pensiamo ai notai che quando rogitano e non versano il dovuto allo Stato si beccano “bete” procedimento penale anche per peculato, Ma, forse più calzante, “per il caso che ci occupa” anche ai partiti politici che, delle scelte dei contribuenti in dichiarazione dei redditi, sono beneficiari proprio come le confessioni religiose. Sarebbe ugualmente, quantomeno per il sottoscritto, DA VOMITO, se i fondi dei contribuenti che lo Stato gli destina, venissero utilizzati per pagare le penne stilografiche, le cene e i pranzi dei parenti e per scopi simili ben conosciuti dai politici regionali. Come non lontane cronache giudiziarie, a cui hanno fatto seguito patteggiamenti e sentenze di condanna passate in giudicato, (non?) hanno insegnato.
Non avevo convincenti motivi per essere allora indulgente, non né ho adesso se l’esercizio dell’ azione penale accerterà responsabilità di persone che dovrebbero dare altri esempi per il loro ministero.
Sono quasi sempre d’accordo con le Sue analisi ma questa, perdoni la franchezza, mi ha fatto venire subito alla mente le argomentazioni dei difensori della Todde che ritengono non applicabile alla maestà regionale determinate norme di legge.
Prof non è che c’è qualcuno interessato al panificio che va alla grande
Se non ci fosse la legge di riferimento le somme sarebbero prelevate comunque ai fini IRPEF. In ogni caso con questo vostro ragionamento non si giustificano le entrate della Chiesa in ipotesi di cd. “scelte non espresse”, in cui l’8 per mille dell’Irpef viene comunque destinato allo Stato e alle confessioni religiose e la ripartizione dei fondi avviene proporzionalmente alle “scelte espresse”. Quindi la Chiesa cattolica, come le altre confessioni, riceve anche i soldi di chi non ha espresso scelta. può spenderli come vuole?
Per dare direttamente alla Chiesa soldi propri vi è l’Obolo di San Pietro
Comunque e per tagliare la testa al toro , da Contribuente la legge mi riconosce la volontà di scelta di una parte delle mie tasse.
Nella mia Volontà vi è inscritta la FIDUCIA verso i destinatari. Sono soldi e non tollero che li STATO si intrometta. Pensi a gestire bene i suoi.
Fiducia in Santa Romana Chiesa.
Lo dico da inguaribile non credente
Non possono essere considerati pubblici ufficiali perché esiste una volontà del contribuente(attraverso la apposita scheda inclusa nel modello unico e 730) che i medesimi NON sono più pubblici.
Lo erano prima della manifestazione di volontà quando sono entrati nella disponibilità attraverso il sistema delle ritenute oppure nella liquidazione degli acconti di imposta.
Dopo la manifestazione della volontà entrano proprietà dei loro destinatari e non è possibile intervenire sul COME sulle modalità di spendita.
La carità ha forme che non è pensabile siano ricondotte a una cornice giuridica.
P.s. se quel denaro non è più pubblico quali dovrebbero essere le responsabilità dei dei depositari dello stesso?
Grazie! Ragionamento lucido e lungimirante!
Che sia il rancore, l’invidia, l’orgoglio, la superbia, il servilismo, il clericalismo, la viltà, la ragion di stato… Qualunque sia la motivazione per cui il Vaticano vuole intervenire contro la Diocesi di Ozieri (benché la Segreteria di Stato non si sia costituita parte civile) e per cui la giustizia di Sassari s’è asservita alla volontà del pdg vaticano Alessandro Diddi, una cosa è certa: chi difende la verità e il card. Becciu entra nel mirino della (mala)giustizia.
È una storia scandalosa, per lo Stato come per la Chiesa! Chi aiuta il Papa a uscire dalla trappola in cui è stato fatto cadere?
Io tengo aggiornata la rassegna stampa: https://andreapaganini.ch/CASO_BECCIU.html
Non sono d’accordo.
La lettura delle norme fatta nell’articolo secondo me non è esatta.
I meccanismi che regolano la ripartizione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF sono contenuti negli articoli 47, 48 e 49 della legge 20 maggio 1985, n. 222.
In forza del disposto dell’articolo 47, secondo comma “una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, è destinata ……..in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica.”
Il successivo articolo 48 precisa che “le somme SONO utilizzate…. dalla Chiesa Cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo” (comma così modificato dall’art. 1, comma 206, della legge 27 dicembre 2013, n.147, a decorrere dal 1° gennaio 2014).
Dalla lettura combinata delle norme emerge che le somme destinate alla Chiesa cattolica abbiano un ben preciso vincolo di destinazione stabilito dalla legge di riferimento. La norma dice chiaramente che le somme SONO utilizzate non che POSSONO essere utilizzate ecc. Non prevede alternative alle modalità di utilizzazione Conseguentemente la possibilità di gestione delle stesse è si affidata alla stessa Chiesa la quale deve, però, necessariamente attenersi al vincolo di destinazione di cui sopra.
Anche lo Stato con la legge citata si è, d’altrone, AUTOVINCOLATO per quanto attiene la gestione finanziaria dell’8 per mille, individuando precisi vincoli di destinazione che a maggior ragione sono in essere per la Chiesa cattolica. Lo stato non può distrarre l’utilizzo di tali somme alle finalità previste (https://www.governo.it/it/dipartimenti/dip-il-coordinamento-amministrativo/dica-att-8×1000-cosae/18318).
Partendo da questo presupposto l’ art. 44 stabilisce che: “La Conferenza episcopale italiana trasmette annualmente all’autorità statale competente un rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme di cui agli articoli 46, 47 e 50, terzo comma, e lo pubblica sull’organo ufficiale della stessa Conferenza“. Tale rendiconto non è finalizzato a far sapere allo Stato italiano se le somme siano state utilizzate (informazione inutile e che non necessiterebbe di un rendiconto per essere verificata) ma a far sapere se le stesse siano state utilizzate per le precise destinazioni previste dalla legge di riferimento. L’effettività è legata al come siano state utilizzate e non al mero dato della loro pura e semplice utilizzazione.
Tutto questo nasce anche dalla considerazione che a differenza di quanto sostenuto nell’articolo le somme non sono dei cittadini, ma dello Stato. Stato che con la legge 20 maggio 1985, n. 222. ha deciso di attribuirne una quota (l’8 per mille di quanto i cittadini dovrebbe comunque versare per l’IRPEF) anche alla Chiesa Cattolica. Senza quella legge l’8 per mille finirebbe nelle casse dello Stato in quanto facente già parte del prelievo dovuto ai fini Irpef. Non a caso se i contribuenti non firmano, e quindi non indicano la propria scelta, cd. “scelte non espresse”, l’8 per mille dell’Irpef viene COMUNQUE destinato allo Stato o ad altre religioni (il prelievo sarebbe comunque operato). Sarebbe dei cittadini se gli stessi fossero sgravati di una percentuale dell’8 per mille in sede di aliquota IRPEF e decidessero liberamente loro di donarle alla Chiesa o agli altri soggetti. (https://www.fiscoetasse.com/approfondimenti/14575-otto-per-mille-finalita-e-criticita.html). Così non è. Il prelievo è comunque coattivo.
Quindi, aldilà della fondatezza delle doglianze mosse dalla procura che poco mi interessano abbiamo che :
i soldi sono pubblici e dello stato (quindi anche dei cittadini non cattolici e che non hanno fatto alcuna scelta)
Le quote sono soggette a vincolo di destinazione (proprio per dar conto anche a chi non è cattolico e comunque allo stato che si priva di quella quota, di verificare le finalità per cui sono spesi se rispondenti al dettato normativo). In mancanza si potrebbe pervenire all’assurda situazione per cui le somme possano essere destinate a finalità assurde senza che nessuno possa mettere becco. (armi – speculazioni ecc).
Da quanto detto la procura, secondo me. ha correttamente evidenziato che la gestione di tali somme è manifestazione di funzione pubblica, disciplinata da norme di diritto pubblico, caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione. Che non vuol dire che il Vescovo sia un pubblico Ufficiale (nel passo riportato tale definizione non è presente) ma che lo stesso (la CEI) assume necessariamente una funzione pubblicistica derivante esclusivamente dal solo fatto di maneggiare denaro pubblico. Esattamente quanto accade per tutti i soggetti privati che si trovino in tale situazione. Gli esempi sono molteplici. Primo fra tutti quello delle banche che in qualsivoglia forma hanno la concreta disponibilità di fondi pubblici (tesoriere – gestione fondi di finanziamenti ecc) i quali, valendo il ragionamento oggi fatto, potrebbero obbiettare in merito al conto che devono obbligatoriamente rendere conto della gestione di tali fondi. Quindi non di pubblico ufficiale deve parlarsi ma al più di agente contabile che deve dare spiegazioni di come quei soldi siano stati utilizzati. Questo comporta, non trattandosi di pubblico ufficiale, che non si vada assolutamente ad intaccare la libertà della Chiesa stessa e che non si crei alcuna soggezione della stessa allo Stato che non mette becco sulle modalità (intese quali procedure con cui le somme vengono spese e quindi non vi è in tale campo alcun vincolo pubblicistico) ma richiede che siano solo rospettate le finalità previste nell’utilizzo dei fondi.
In uno stato laico questo principio deve valere per tutti. Quindi niente soggezione della Chiesa ( se non vuole rendere conto non prenda soldi) ma una parificazione giusta della stessa a tutti gli altri soggeti a cui lo Stato (non i cittadini) attribuisce dei soldi che altrimenti (per quanto detto) finirebbe nelle casse dello stato stesso.
Zustu!!!
E “Cesare” a su corru de sa furca!!! (mancari no l’impichent).
Ma sos “cristianos” za l’ischint puru ite ndhe faghet “Cesare” de su dinari de chie pagat cun sa dichiaratzione de su rédditu e cun su sacrfìtziu e chie no pagat ca, evasore e latitante (bandhidu ‘civile’) coment’est, gai lu lassat istare in su “paradisu” fiscale de sos evasores e antzis l’aproendhat a milliones e milliardos produindhe armamentos e bombas a “fin di bene”, ammuntonendhe àteros milliones e milliardos e… dando lavoro ca… ite b’at prus de sas gherras chi daet triballu?! Ite b’at chi daet triballu prus de totu sos disastros artificiales?! E totu legale.
Ottima descrizione dei fatti da parte del professore, ritengo che l’articolo basti per farsi un idea sia del sistema giudiziario ma anche della chiesa stessa. Ciò che non riesco a capire è il perchè la chiesa stessa si lamenta dell’ allontanamento dei fedeli.
Sono per caso parenti dei giudici della fondazione open di firenze?