Il caso Conad. Ieri è bastato far notare che Conad del Tirreno non paga le tasse in Sardegna (insieme a tanti altri, si badi) per scatenare un’aggressione da parte di suoi associati e suoi fornitori al grido di ignorante e fallito. Qualcuno si è chiesto anche se ho un mestiere oppure no. Capita. Ma è anche vero che il vecchio metodo di non parlare delle cose ma delle persone, insultandole, non funziona più. Gli odiatori non fanno più presa, quindi è probabile che recuperando un po’ di buon senso si riesca a parlare di cose molto importanti per la Sardegna.
Diciamo subito una cosa: Conad è un’azienda seria, mi risulta che paghi i suoi fornitori, che non abbia lasciato debiti e rovine in giro. Insomma, gente per bene. Non è però questo il punto.
È anche vero che un’azienda che funziona e paga i suoi fornitori e i suoi associati, assolve al compito sociale di favorire uno sviluppo compatibile, produce ricchezza e lavoro. Non è però questo il punto.
Faccio un esempio per capirci. Se io entro in un market dei fratelli Ibba e compro un etto di pecorino, concorro a far guadagnare il pastore, che sul suo margine paga le tasse in Sardegna; concorro a far guadagnare il caseificio che sul suo utile paga le tasse in Sardegna, concorro a far guadagnare i fratelli Ibba che sul loro margine pagano le tasse in Sardegna. Tutta la ricchezza generata dal prodotto genera gettito fiscale in Sardegna.
Viceversa se entro in un market Conad (o nei magazzini H&M) e compro anche un prodotto sardo accade che il produttore e il trasfornatore sardi paghino le tasse in Sardegna, ma Conad non le paghi qui sull’utile maturato vendendo quel formaggio.
Le scatole cinesi La domanda è: perché Conad non paga le tasse qui per la ricchezza qui generata, posto che comunque le deve pagare da qualche parte?
Il problema ovviamente è aggravato da una legge italiana che determina le compartecipazioni fiscali della Sardegna in base alla provincia della sede legale della società o del versamento, ma non del luogo di produzione. Questa scelta regolamentare tutta italiana, favorisce lo schema piramidale delle multinazionali o delle società con strutturazione simile. Come si fa? Si crea una serie di società controllate cui la società madre fa da centrale d’acquisto (l’Agcm spiega questo meccanismo in alcuni pronunciamenti). Le società controllate, sostanzialmente società di movimentazione e commercializzazione delle merci, pagano le tasse nei luoghi prossimi ai mercati; la società madre invece le paga nel luogo della sua sede legale. La società madre sviluppa fatturati notevolmente superiori rispetto alle società controllate. Conad viaggia intorno ai 2 miliardi 490 milioni di euro l’anno; ha 213 soci, di cui 53 sardi. Il margine netto del 2018 è stato di 25,2 milioni di euro. Non so quale sia la quota prodotta dalla Sardegna di questo fatturato, ma alla Sardegna interessa che sull’imponibile generato da beni acquistati e venduti in Sardegna, le tasse restino qui per finanziare strade, scuole, sanità, sviluppo e lavoro.
E allora chiediamoci perché questi grandi gruppi italiani non hanno la sede legale in Sardegna? La risposta è semplice. In Sardegna ci sono poche imprese e l’attività di persecuzione, non di controllo, di persecuzione del fisco è intensissima. Lo abbiamo sempre denunciato: la Sardegna è la Regione d’Italia con la più alta percentuale di versamenti per accertamenti pro capite. Siamo spremuti, ipercontrollati e vessati. È chiaro che una società, se può, cerca di non stare in un sistema così duramente esposto al contenzioso. Un contenzioso, poi, è bene ricordarlo, che per il 50% circa finisce a favore del contribuente. In sostanza, in Sardegna qualsiasi società ha la certezza di un accertamento fiscale e una probabilità su due di pagare ulteriori imposte. Non è un vivere civile, è un Vietnam.
Le tasse sul sole Mentre i sardi sono sospettati, perseguitati e vessati e gli italiani si rifugiano nelle loro latitudini più comode, accade che i cinesi vengano qui, si facciano un bel campo fotovoltaico e paghino le tasse magari in Lombardia sull’energia generata dal sole in Sardegna. Scrivevamo nel luglio scorso, ovviamente nell’indifferenza generale dei media sardi: «Oggi prendiamo in mano lo scabroso sistema degli impianti fotovoltaici in Sardegna. Si sa tutto delle follie degli impianti di Giave e Narbolia (cui eravamo, siamo e rimarremo profondamente contrari), ma si sa meno degli altri; utilizziamo per esemplificare la vicenda di due impianti di Nuoro e di Bitti di proprietà della E.R. Italy Srl, amministratore unico ZENG JUNSHU, di nazionalità cinese, sede a Cologno al Serio (provincia di Bergamo) in via Padania (non poteva essere diversamente). La proprietà della società è della Risen Energy LTD di Hong Kong.
Ora ai cinesi non importa un fico secco dove versare le tasse e dove pagare l’Irap (anzi, in Sardegna sarebbe per loro più conveniente); noi sardi, sempre più spesso privi di amor proprio, accettiamo che si usi il nostro territorio e si paghino le tasse fuori, alimentando sulla ricchezza prodotta qui, entrate fiscali di regioni che poi alimentano la leggenda nera che siamo dei poveri assistiti».
Tutto questo riguarda le prossime elezioni sarde? Rispetto a questi temi, in che cosa si differenziano i sardi? In niente. Siamo tutti d’accordo. E allora perché ci dividiamo in Destra e Sinistra italiane?