Ieri ho inviato questa lettera al presidente Pigliaru. Mi auguro che non venga liquidata con un sospiro afflitto e inconcludente.
La questione è strategica: senza banda larga nei paesi spopolati non c’è turismo che tenga, non ci sono servizi attrattivi, non c’è decentramento, non c’è qualità.
La questione riguarda i diritti, non i servizi. Mi spiego. Noi stiamo lavorando molto sui diritti dei sardi, su quelli tutelati e su quelli violati. Non stiamo improvvisando. Il nostro scontro durissimo e imminente con Auchan, Carrefour, Eurospin riguarda la qualità della nostra alimentazione e i metodi della filiera sporca. La nostra battaglia contro Air Italy riguarda il diritto alla mobilità dei sardi e la difesa della ricchezza dei sardi. La nostra battaglia con Telecom riguarda il diritto alla connessione dei Sardi che è un diritto pubblico e non può esigere che si paghi un nocchiere infernale per accedere alla rete.
È successo che la Regione, cioè il nostro Stato, ha pagato la realizzazione della rete della banda larga anche nei paesi a cosiddetto fallimento di mercato, cioè con un numero di utenti tali da non remunerare l’investimento. Iniziativa sacrosanta e giusta, di cui bisognerebbe andare orgogliosi anziché trattarla come se fosse il fratello brutto della famiglia rispetto al fratello presunto bello che sarebbe la tragedia dell’Ats, l’azienda unica della Sardegna, il mostro inefficiente dominato da Moirano di cui in Sardegna tutti si dichiarano insoddisfatti. Tutte le cose buone fatte in questa legislatura (vi sono cose buone in ogni legislatura) sono annichilite da questo solennissimo errore e dall’arrendevolezza verso i governi italiani. Fatto è che una volta realizzata la rete, bisogna accenderla, cioè renderla attiva e funzionante. E qui Telecom, che è la proprietaria del maggior numero delle porte di accesso alla rete, nicchia, dice di sì ma fa di no, probabilmente vuole soldi e ripropone così il motivo centrale delle mie dimissioni: il rapporto con lo Stato italiano e con le sue articolazioni: Enel, Anas e appunto Telecom (ma bisognerebbe dire anche Eni, Enac, Anac, ecc. ecc.).
Lo voglio ripetere anche in questa fase disordinata pre elettorale, dove si picchiano i ragazzi di colore per strada perché sono di colore con la dimostrazione evidente che, come diceva Gobetti, il fascismo razzista è una malattia della coscienza italiana, ahimè radicatasi anche in Sardegna: prima degli schieramenti italiani, prima della Destra e della Sinistra italiana dovrebbe esserci la coscienza degli interessi nazionali della Sardegna. Le alleanze dovrebbero essere fatte sulla condivisione o sul dissenso rispetto al modo migliore di tutelare i nostri interessi, ma partendo dalla consapevolezza che essi sono minacciati dai poteri di cui dispongono lo Stato e il Governo italiani. Il primo punto su cui ritrovarsi dovrebbe essere proprio la scelta competitiva col Governo italiano, qualunque partito italiano vi si sia installato. Ciò che le forze dell’indipendentismo democratico e europeista stanno ripetendo ormai da anni ai sardi che militano nei partiti italiani è proprio questo: prima scegliete di competere per la Sardegna e poi scegliete di militare dove vi pare. Oppure: dimostrate che militare in un partito italiano non vi impedisce di avere comunque un atteggiamento e una strategia politica competitiva con i governi italiani e va bene lo stesso. Senza questi presupposti, saremo sempre minacciati da forze come Telecom.