Ieri La Stampa di Torino ha pubblicato un bellissimo articolo di Enrico Deaglio sulla trasmissione sospesa di Giletti e sulla foto di Berlusconi con i fratelli Graviano. Non posso allegarlo perché è ancora a pagamento.
In un altro Paese, un articolo del genere, che è un articolo potente su Mafia, politica e apparati dello Stato, avrebbe provocato un terremoto. In Italia no.
Provo, di domenica, a descriverne l’importanza.
Serve però ricordare con ordine.
La storia va rimessa in ordine così.
Il 23 aprile 1981 viene ucciso il boss Stefano Bontade. Inizia l’era di Totò Riina, la cui prima fase è la celebre guerra di mafia che durò dal 1981 al 1984.
Roberto Calvi viene assassinato a Londra il 17 giugno 1982.
Michele Sindona viene avvelenato il 26 marzo 1986.
Alla fine degli anni Ottanta, gli sbocchi individuati da Cosa Nostra nel mondo finanziario, per la pulizia dei suoi capitali, erano dunque divenuti di pubblico dominio (cosa sgraditissima alla mafia) e avevano smesso di funzionare. Restava il problema: un’enorme massa di denaro che non poteva passare per i canali bancari e finanziari ordinari.
Il 16 luglio 1983 Tommaso Buscetta inizia la sua collaborazione con la giustizia.
Dal 10 febbraio 1986 al 16 dicembre 1987 si svolse il cosiddetto maxiprocesso che svelò la struttura di Cosa Nostra e comminò 19 ergastoli e circa 2700 anni di reclusione.
Il 30 gennaio 1992 si ha la sentenza della Corte di Cassazione che corrobora e rende definitiva la sentenza del maxiprocesso.
Il 1992 inizia così: con una vittoria dello Stato.
Il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino rilasciò un’intervista ai giornalisti di Canal +.
Essa non fu mai vista negli anni Novanta e tanto meno poco dopo le stragi del ’92. Fu trasmessa per la prima volta da Rai24 nel 2000.
La trascrizione integrale dell’intervista è qui. L’Espresso la pubblicò integralmente nel 1994, l’anno della discesa in campo di Berlusconi.
Borsellino è molto prudente e sostanzialmente non dice nulla che non sia già noto.
L’unica novità è che conferma l’esistenza di un’inchiesta, di cui lui non è titolare, che riguarda i rapporti tra la mafia e grandi gruppi industriali del nord.
Conferma che Vincenzo Mangano, il signore noto alle cronache come lo stalliere di Berlusconi, era un uomo d’onore. Conferma il contatto tra Dell’Utri e Mangano. Dell’Utri verrà condannato e farà galera.
Ma soprattutto dice che Cosa Nostra, grazie al traffico di droga, ha bisogno di investire e ripulire una gran quantità di denaro e che guarda ovviamente al mondo del Nord.
Giovanni Falcone è stato ucciso con un’autobomba il 23 maggio 1992.
Paolo Borsellino è stato ucciso con un’autobomba il 19 luglio 1992.
La vulgata vuole che entrambi siano stati uccisi per rappresaglia per l’esito del maxiprocesso.
Eppure, gli atti dei processi dicono con chiarezza che invece furono uccisi non per quel che avevano fatto, ma per quel che avrebbero potuto fare.
Arriviamo ai giorni nostri.
È stata sospesa la trasmissione Non è l’Arena di Massimo Giletti.
Massimo Giletti è stato sentito dalla Procura di Firenze (che indaga sulla stragi del 1993).
Tutti gli organi di stampa hanno parlato dell’esistenza di una foto tipo polaroid che raffigurerebbe Berlusconi, il generale dei carabinieri Delfino (ben conosciuto dalle cronache sarde perché coinvolto in forma non nobile nelle vicende del sequestro e del rilascio dell’industriale Soffiantini) e i fratelli Graviano in amabile conversazione intorno a un tavolino di un bar di Orta-San Giulio, in provincia di Novara, in Piemonte, sul lago d’Orta, anno 1992.
È a questo punto che l’articolo di Deaglio avrebbe dovuto suscitare più di un’alzata di spalle.
Deaglio ricorda che il generale Delfino ebbe un ruolo non banale nell’arresto-resa-consegna di Balduccio di Maggio, l’autista di Riina che porterà i carabinieri nel covo del boss. A convincere Di Maggio e a metterlo nelle mani del generale Delfino sarebbero stati i fratelli Graviano, in cambio di molto denaro e di protezione durante la latitanza.
I fratelli Graviano ebbero un ruolo operativo, esecutivo, nell’omicidio di Paolo Borsellino. Loro sanno perché fu ucciso perché lo uccisero loro.
Oggi è un loro uomo, l’ex gelataio Salvatore Baiardo, ad aver fatto rivelazioni puntualmente riscontrate.
Aveva annunciato che Matteo Messina Denaro sarebbe stato arrestato, e così è stato; oggi dice che esiste la fotografia di cui ho già detto.
Dietro di lui è chiaro che ci sono i Graviano, i quali in una memoria difensiva depositata in uno dei processi a loro carico, raccontano di essere stati in affari con Berlusconi, di aver finanziato per il 20% la nascente Fininvest e che poi, nel momento in cui questo apporto di capitale doveva emergere e essere messo in chiaro, vennero arrestati (1994).
Deaglio non tira le somme del suo bell’articolo, ma per via deduttiva lo si può fare al suo posto.
La mafia aveva trovato un modo, di utilizzare il sistema finanziario milanese per i suoi capitali.
Borsellino lo aveva capito e sapeva dove andare a cercare.
Viene ucciso dai Graviano, su ordine di Riina, ma anche Riina ha rivelato, suo malgrado, nei colloqui captati in carcere, che l’omicidio Borsellino venne fatto in fretta perché altri avevano fretta.
Salvatore Baiardo, probabilmente su suggerimento e indicazione dei Graviano, sta facendo filtrare la verità goccia dopo goccia, con l’obiettivo di far uscire i Graviano dal 41 bis (per loro non poi così gravoso, visto che hanno avuto figli durante la detenzione).
È come se ci fosse una trattativa in corso: da una parte la verità e dall’altra l’attenuazione del carcere, il tutto ottenuto senza pentimento di sorta, ma fatto maturare naturalmente sotto gli occhi di tutti. Cosa manca? Manca l’agenda rossa di Borsellino, di cui Baiardo ha già parlato, dicendo che era nelle mani di Messina Denaro e dei Graviano.
Sono storie di trent’anni fa, è vero, ma non per una parte.
Molti dei protagonisti sono morti o stanno per morire.
Il problema non sono loro.
Il problema è il volto di quella parte dello Stato che decise di proteggere un pezzo del mondo finanziario fino a consegnargli poi lo Stato intero. Nel biennio 1992-1994 esisteva ancora la Prima Repubblica. Chi, della Prima Repubblica, decise di salvare e incoronare il padrone della Seconda?
È questo mondo di apparati che è sotto attacco, che si sta difendendo e che è ancora capace di fare molto del male.
È tutto vero ma c’è anche stata l’anima.profonda dell’Italia, non c’è stato bisogno di colpi di stato, qualche spot., la musichetta e promesse a vanvera, e giù voti, Io allora a poco più di 20 anni già lo detestavo e temevo, bastava leggere Cuore per capire, Ma tanti amici perbene lo acclamavano
Penso proprio questo sia accaduto. Scontiamo ancora oggi le conseguenze di quelle scelte sbagliate. Una mano invisibile ai più ha organizzato la resa consegnandoci al potere più bieco.