Chi si ama, si promette per la vita il bene più prezioso: la compagnia.
Noi ieri ci siamo promessi la compagnia e la storia. Ci siamo riusciti per l’umiltà dei comportamenti e la grandezza delle idee.
I Sardi ieri hanno cominciato a dire “Noi”.
Oggi è finita la clandestinità della Nazione Sarda. Tutte le inibizioni e le falsificazioni sono state travolte da un voto terribilmente complicato eppure partecipato da ventunomila persone (non ho ancora capito perché La Nuova in prima pagina ce ne tolga 2000, ma poi recupera nelle pagine interne).
Sono numeri che dovrebbero far emozionare tutti, non solo noi.
Non per comandare abbiamo fatto tutto questo, ma per non essere più comandati, per essere liberi e responsabili e non siamo stati animati da ambizioni, ma da convinzioni.
Adesso il passo successivo è parlare di poteri e non solo di problemi; è emanciparsi dallo scambio ineguale che ci ha trasformato tutti in consumatori assistiti e in bilingui inibiti; è imparare a difendere i nostri interessi pacificamente ma collettivamente, anziché affidarci agli eroi o ai salvatori.
Dobbiamo fare un grande passo, dobbiamo insegnare ai partiti italiani che non ci divideranno mai.
Ci aspettiamo di tutto nei prossimi giorni: dileggio, calcoli fatti o col calibro o con la stadia; ci aspettiamo una grande operazione di mistificazione per sminuire l’accaduto.
Noi dobbiamo tenere duro.
Oggi esiste un’area indipendentista, libertaria, democratica, europeista, tollerante e pacifista, che è autosufficiente elettoralmente, che ha cultura di governo, che è inclusiva, che è pronta a mettere a disposizione la propria forza per un disegno unitario di grande, pacifica, legale ma profondissima rivoluzione sarda.
Vorrei dire ai tanti che stanno ancora sotto le insegne dei partiti italiani: uscite, non sono quelle le vostre bandiere.