Una delle maggiori responsabilità della politica è avere una visione, cioè riuscire a ricondurre a un modello razionale la complessità della realtà.
L’assenza di modelli durante la campagna elettorale delle ultime elezioni, a favore della presenza di propagande emozionali ed episodiche, produce oggi una Sardegna a pezzi, priva di una visione e non ricondotta a una strategia.
Facciamo esempi.
Ancora oggi, a due settimane da Pasqua, l’agnello viene venduto a 2,35 al kg in Sardegna: un prezzo ignobile che se sommato al prezzo del latte, ancora oggi ampiamente sotto il fatidico euro, non soddisfa la copertura dei costi. Eppure tutto tace; il Consorzio dell’agnello Igp è governato dai produttori, presieduto dal presidente della Coldiretti, il disciplinare pone in capo al macellatore, cioè al trasformatore e non al produttore, il battesimo Igp, eppure tutto tace. Perché? Perché manca un pensiero, una visione, si naviga a vista tenendo sempre d’occhio piccole convenienze e piccoli equilibri quotidiani.
Oggi sui giornali c’è l’ennesima puntata della cronaca giudiziaria relativa all’inchiesta sull’utilizzo dei fondi dei gruppi consiliari. Processo di primo grado a distanza di dieci anni dai fatti. Viceversa, alcuni imputati sono già al secondo grado di giudizio. Il magistrato che ha indagato sulla Banda della Magliana ha dichiarato che esistono tre verità: quella giudiziaria, quella politica e quella storica. Rosario Priore, magistrato della strage di Ustica, dell’attentato al Papa e del caso Moro ha scritto: “La chiave per comprendere cosa è avvenuto in quegli anni, non si può trovare solo nelle sentenze delal magistratura. Ci sono più verità perché ogni fatto presenta più facce, a seconda dle punto di vista dal quale lo si guarda, del contesto nel quale lo si inserisce e del fine della ricerca“. Bene, la vicenda dei gruppi ha una caratteristica di partenza cui nessuno ha mai badato: nonostante sia evidentemente un’inchiesta legata ai comportamenti complessivi dentro la stessa istituzione, essa parte e si sviluppa in date differenti e si sminuzza in tanti procedimenti. È un’inchiesta in cui si è deciso di non aprire un’unica inchiesta e di poter restituire uno sguardo sinottico d’insieme. Perché? Non si sa, ma il tema della qualità della giustizia in Sardegna è un tema dalle radici secolari e decisive per la storia sarda, ma la politica non discute di giustizia, la teme e la subisce, la lusinga e ci si subordina. E si vede.
La vicenda del Porto Canale di Cagliari è così riassumibile: poiché Cagliari ha la sua principale infrastruttura nella friggitrice legata alla sua movida, il fallimento del Porto Canale non è avvertito come un grande problema politico. L’ennesima infrastruttura di connessione della città che si avvia come minimo a una lunghissima crisi se non alla dismissione non è percepita come ‘il problema’ e non ‘un problema’ perché la città ha mutato la sua natura, vive di turismo e non di commercio, tiene a bada la povertà con l’assistenza, fronteggia come può il mare di droga che la attraversa, gestisce il suo privilegio politico-amministrativo contro i paesi dell’interno della Sardegna. E si vede.
Il ceto dirigente che a vari livelli si sta affermando nega il proprio dovere di possedere una visione d’insieme della Sardegna e dello Stato. Il risultato è la Sardegna fatta a pezzi.