Ho letto l’analisi di Raffaele Paci, le osservazioni e le raccomandazioni sull’intervento finanziario anti-crisi epidemica della Regione. Condivido e non ripeto. Sono osservazioni che dovrebbero appartenere all’abc degli amministratori e dirigenti della Regione, anche in questi tempi di oggettivo declino. Sento, però, doveroso esprimere, ancora una volta, la preoccupazione sulle conseguenze che questa patologia e le misure adottate per contenerla hanno già determinato e determineranno nella vita di tutti noi.
La scelta, proposta dall’ISS (istituto superiore della sanità) e decisa dal governo, di una prolungata e generale quarantena e la relativa sospensione della quasi totalità delle attività economiche, non considera – è una constatazione, non un’osservazione critica – che la presenza di positivi al Covid-19 appare territorialmente molto articolata. Sono rintracciabili sul web le relative carte geografiche che evidenziano questa caratteristica. Alcune realtà risultano sostanzialmente risparmiate dall’epidemia. Questo anche in Italia. Se i dati fossero veri, la Sardegna, fatta eccezione per la Provincia di Sassari dove si registra un certo numero di casi, prevalentemente tra il personale sanitario e tra gli ospiti delle case per anziani di quel territorio, non è tecnicamente interessata dall’epidemia. Sotto i dati ufficiali di ieri.
La decisione rigida della totalizzante quarantena aggiunge agli effetti negativi della pandemia quelli economicamente devastanti del blocco della gran parte delle attività di produzione di beni e servizi, il crollo dei consumi, la drastica contrazione del gettito fiscale, l’aumento della spesa pubblica assistenziale, il congelamento degli investimenti pubblici e privati in assenza di certezza sulla ripresa. Realtà colpite da disoccupazione storica e capacità produttiva debole, da arretratezza del sistema infrastrutturale dei collegamenti e dell’energia, come quella sarda, saranno condannate a anni di penitenza, se ragionando lucidamente sulla situazione non si anticipa il “processo di uscita dalla crisi” approfittando dei dati favorevoli.
Le disposizioni sono giuste. Pensare al dopo. Non contributi, finanziamenti mirati in base ad un piano per il rilancio delle attività. Usare il tempo per pianificare.
Caro sig. Enrico le sfugge che le modalità di comportamento non sarebbero più le stesse e che la riapertura sarebbe graduale, previa conferma che il passo compiuto è sicuro. Si potrebbero aprire negozi ora chiusi, con distanziamento e mascherine. Si potrebbe liberare la circolazione interna nelle città senza contagi, senza controlli e autocertificazioni. Si potrebbero aprire parchi e consentire attività a rischio zero, vietate solo per dare cibo agli haters. Ma soprattutto si potrebbero restringere le regole di quarantena alle sole categorie che hanno contagiato: operatori sanitari, case di riposo, convivenze forzate. Fuori da questi luoghi qui il virus non è circolato: non è stato diffuso dai ciclisti o dalle mamme con passeggino. Chiudete in gabbia il lupo, non le pecore
Caro Sig.Uras
le sfugge come, in assenza di misure di quarantena integrale, ovvero prima che ci chiudessero in casa il 12 Marzo, in Lombardia sono stati sufficenti 10 giorni per passare da 1000 casi (quelli che abbiamo in Sardegna oggi) a circa 10.000.
La fonte è la stessa protezione civile da cui attinge il suo grafico.
Similmente noi, stando a casa, ci abbiamo messo tre settimane per passare da 100 a mille casi circa, mentre la Lombardia, in periodo pre quarantena, ci ha messo meno di una settimana.
1000 casi non sono pochi. La quarantena è necessaria. Basta saper leggere i dati.