Sulla rivista di Magistratura democratica del 2018 venne ospitato un articolo di Armando Spataro, già Procuratore della Repubblica di Torino, sul tema «Come dovrebbero comunicare i magistrati». Qui lo trovate in pdf.
Lo sappiamo che verrà letto solo da quelli non intossicati dai cellulari, e quindi capaci di fare una lettura che arrivi o superi i dieci minuti.
Tuttavia, lo rilanciamo perché ci pare una lezione culturale, metodologica e morale per quei magistrati che qui in Sardegna (specie nel Centro Sardegna, laddove ancora si pensa che la gente non legga, non sia informata, non conosca il diritto, non sia colta, e dove ancora le forze di polizia giudiziaria amplificano l’effetto mediatico delle operazioni per gestire meglio il sistema degli encomi, come scrive Spataro) hanno fatto le conferenze stampa altisonanti, con l’enfatizzazione dell’accusa, con le forze di polizia giudiziaria in divisa e sull’attenti a fare da quinta teatrale e da decoro del proscenio e poi ignobilmente, magari, in sede di fine indagini, come è accaduto in una Procura in queste settimane, hanno partorito un topolino piccolo piccolo, ignobilmente piccolo rispetto all’elefante dato in pasto alla gente e ai media pochi mesi prima.
Sui giornali sardi, in particolare sul quotidiano d’appoggio della Giunta regionale, non troverete mai parole come queste: «In sostanza, vanno evitati eccessi comunicativi della Polizia giudiziaria, spesso dovuti al fine di acquisire titoli utili per la progressione in carriera, mediante visibilità e impatto mediatico delle proprie attività».
«Non è a mio avviso apprezzabile, invece, la pratica delle conferenze stampa che vedono appartenenti alle forze di polizia schierati in divisa al fianco dei magistrati o dietro di loro: l’ho fatto una sola volta in oltre 40 anni e me ne sono presto pentito».
E già, quanti encomi sulle accuse propalate con i media e poi smentite dalle sentenze! Me ne sovvengono alcuni paradossali legati a un pentito di ‘ndrangheta che fece accusare un giovane sardo di omicidio e poi si scoprì essere il vero omicida. Tanti encomi al momento dell’arresto del giovane sardo; tanti silenzi dopo, quando la figuraccia atomica della polizia giudiziaria e della magistratura venne smascherata grazie a una coraggiosa strategia processuale della difesa (e anche questo è un problema: la difesa, in Sardegna, ha paura, perché è convinta della non imparzialità dei Giudici, quindi invita i clienti a tacere, o meglio, a cercare di vincere in giudizio, tacendo in pubblico, per non irritare la corporazione. È questo il motivo per cui molti assolti in giudizio restano colpevoli a vita tra la gente e spesso, purtroppo, per la pigrizia e il cinismo degli storici, anche nei libri di storia).
«Va cioè respinta l’immagine del magistrato unico (o quasi) depositario della morale collettiva. Il compito dei magistrati non è quello di formulare ipotesi affascinanti, ma di mettere a nudo la verità con prove inconfutabili. E questo comporta un limite: se quelle prove non si raggiungono, il magistrato, pur se convinto del fondamento della ipotesi accusatoria da cui si è mosso, ha esaurito il suo ruolo».
Ma queste cose non si comprendono con la laurea in Giurisprudenza. No. Queste cose si sanno se si è uomini colti, come un tempo erano di necessità i magistrati. Oggi non più; oggi molti tecnici del diritto non sono uomini di cultura. E si vede proprio nell’assenza del senso della misura di sé.
Si leggano le righe che invitano a non generalizzare il giudizio sui politici per evitare le generalizzazioni simmetriche sui magistrati.
Io stesso che penso che la Sardegna viva una crisi mortale dell’amministrazione della Giustizia e che questa sia più acuta nelle cosiddette piccole procure che in quelle più grandi, mi accorgo che sull’onda della rischiosa e solitaria battaglia che conduco, alla fine generalizzo e non vorrei farlo.
So bene che esistono ottimi magistrati anche in Sardegna. Alcuni, pochissimi, li conosco.
Ma ciò che irrita è il loro silenzio. Chi è virtuoso non può tacere e tacendo dissentire comodamente. Non possono esistere ordinanze che sanzionano il debordare dell’accusa in ambiti propriamente politici e nessuno fa niente.
Non è possibile vedere ormai decine di processi smentire clamorosamente accuse diffuse in modo spettacolare e non fare niente.
Non si possono vedere chiaramente e per tabulas inchieste altisonanti nelle quali le indagini preliminari durano in alcuni casi 4 anni e in altri 3 (come è accaduto, sta accadendo e continua ad accadere in Sardegna). Chi deve agire in questi casi, il solito coraggioso che mette a repentaglio tutto, se stesso, i beni e i familiari, o può muoversi, magari per improvviso sommovimento etico, anche qualche lombo togato?