Unicapress, la casa editrice della Università di Cagliari, ha pubblicato il primo manuale della collana Sardiniae memoria.
Si tratta dell’opera di Luciano Carta dedicata al Settecento sardo e alla rivoluzione di Giovanni Maria Angioi (per semplificare). L’unico precedente risale ormai a cinquant’anni fa, ad opera di Carlino Sole, e non disponeva della documentazione emersa dalle ricerche e dalle pubblicazioni degli ultimi trent’anni.
Il volume è liberamente accessibile e gratuito.
Può essere scaricato da chiunque, perché si colloca nella politica editoriale della mia università che sta investendo moltissimo nell’open science e nell’open access, cioè nell’accesso gratuito e libero alla ricerca, specie se questa è finanziata da risorse pubbliche o, come in questo caso, da finanziamenti di istituzioni, come la Fondazione di Sardegna, che fanno della promozione della cultura e del sapere libero e accessibile uno dei propri obiettivi principali.
Ho pensato che fosse utile suggerire questa lettura, perché la struttura politica del Settecento sardo, con i suoi trasversalismi, le sue zone d’ombra, le sue convenienze e le sue apparenze, è ancora capace di fornire utili modellizzazioni per capire questi nostri attuali tragici, opachi e tristissimi giorni.
egregio Mauro
se non ci fosse questo blog non avrei modo di venire a conoscenza di tanti fatti e circostanze della vita politica e amministrativa (ma non solo) che, in maniera documentata e puntuale, vengono riportati e resi noti grazie all’autore.
a me mancano gli strumenti per arrivare a queste informazioni, vuoi per cultura che per esperienza, quindi è un lavoro che mi viene risparmiato e che trovo molto utile, lo dico senza piaggeria per il professore
l’aggettivo “livoroso” lo trovo inappropriato, perchè sa di manicheo e preconcetto, e mal si addice ad affermazioni che, al contrario, compaiono sempre circostanziate e documentate in modo certosino
fare l’opposizione, (seriamente, non col gomito appoggiato al bancone del bar) deve essere un lavoro duro e pesante, specialmente quando non ha altra contropartita che l’amore per la verità e per la nostra Nazione
Un’anzone cun sa “y”, o cun sa “j” o cun sa “i” tiat pàrrere ispecializatzione de pastores, ca pesant anzones (si sunt perbegarzos).
Ma namus chi de gustibus et alia non disputandum e si est a “rispettare” sa “stória” e su chi ant fatu medas o fintzas sos prus… ojamomia ita dannu! Isperamus ebbia chi pro una “y” o pro una “j” o pro una “i” no s’istrópiet neunu.
Sos Sardos però semus gai pretzisos (candho no faghimus a “tutto fa brodo”, a “totu est su matessi”, a “su chi est trinta faghet baranta” e gai sighindhe de “tolleranza” in “tolleranza”) chi semus capatzos de nos pèrdere in un bicchiere d’acqua e sigomente bi at pagu logu nos brigamus puru.
Ma su sambenadu de Zommaria (custu a sa bonesa), Giommaria (a sa campidanesa e fintzas in mesania) est de Angione sa variante campidanesa Angioni , e iscritu puru chentza una /n/ ca una parte manna de campidanesu la pronúntziat nasale e a chie at iscritu (segundhu a ite fit pessendhe e comente iscurtendhe e zughiat origras pro iscurtare) li pariat chi tra sa /o/ e sa /i/ no b’aiat nudha: ant iscritu Angioy, Angioj, Angioi e, pro no faedhare de àteru, chi più ne ha più ne metta… Tantu… melius abundare quam deficere…
Acide e livorose? Gadamer ha insegnato a tutti che ogni lettore legge i testi a modo proprio, spesso al di là delle intenzioni, implicite e esplicite, degli autori. Io faccio opposizione a questa Giunta, a questa politica e spesso a questo mondo. E sono figlio del metodo critico, cioè della sorveglianza razionale di se stessi e delle proprie analisi. Sbeffeggio, a volte, questo è vero, ma lo faccio per reazione all’accondiscendenza dilagante.
Egregio Professore, non intendevo certamente superare in curva un valente filologo. La mia, ci creda o no, era una provocazione, pur partendo dal dato che Angioy è la “versione” più diffusa e che pure Luciano Carta utilizza.
La preferisco in queste vesti culturali – per quanto le possa interessare meno di zero – rispetto a quelle, a volte eccessivamente acide e livorose, con le quali castiga una politica regionale in stato parossistico.
Non mi fraintenda: il quadro è desolante ma, sinceramente, non tanto per Chessa, i Giganti, il computer o il cane di Solinas. Queste sono analisi tipiche alla Svetonio. Io preferisco Tacito e Sallustio. Capirà bene che cosa voglio dire. Altri lettori non capiranno, e pazienza, ma lei si.
Caro Mauro, sapevo che qualcuno avrebbe contestato la mia scelta, fatta di proposito per giocare a fare un po’ di filologia. Tu stesso proponi due opzioni, con y o con j, evitando la terza con i. Perché? Se il criterio è la forma con la quale troviamo il nome nelle diverse fonti, va detto che sono presenti tutte e tre. Non a caso nel 4 volume dell’edizione degli Stamenti del periodo rivoluzionario (Acta Curiarum Regni Sardiniae, L’attività degli Stamenti nella “Sarda rivoluzione”, a cura di Luciano Carta, Cagliari, Consiglio Regionale della Sardegna-Edicos, 2000), nell’indice dei nomi, vengono riportate entrambe le forme Angioy/Angioi. E allora, come regolarsi? La storiografia ha fatto prevalere Angioy e così è giunto fino a noi. Ma se dovessimo essere precisi nel regolarizzare i testi italiani secondo la norma italiana dovremmo scrivere Angioi. Nel primo caso la nostra predilezione andrebbe a una grafia ispanizzante, nel secondo a una grafia italiana standardizzata. E questo è il dilemma dell’uso scritto del sardo: la predilezione ispanica per ostilità alla supremazia italiana attuale. La filologia ci rimanda spesso alla politica e ai suoi simboli di cui spesso non si è consapevoli.
Angioy o Angioj NON Angioi.
Grazie, bella iniziativa e giusto riconoscimento, da parte vostra, a colui che – a mio avviso più di chiunque altro – si è speso con i fatti per un ideale di Sardegna libera. Lo leggerò sicuramente con interesse.
Grazie Paolo e Luciano. Complimenti.
Ottima iniziativa, grazie
Complimenti e Auguri. Luciano
Un caro saluto
Pino Cìulu
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Grazie Paolo…
Grazie professore
Grazie Paolo
Grazie
Grazie Paolo
No ponzemus límites o trobeas a su ischire e a s’istúdiu.
Ma a mie za mi paret chi sos Sardos nos faghimus menzus “topi di biblioteca” chi no afrontamus su presente cun totu chi ndhe ischimus e ndhe podimus ischire meda de prus e prus seguru, si no nos semus fatos a “dotti ignoranti” pro su tempus de sa responsabbilidade e libbertade nostra personale e colletiva.
No isco si Erich Fromm la tiat definire “fuga dalla libertà” custa ‘passione’ (passione!!!) ‘intellettuale’ de medas Sardos.
Ma a pàrrere meu za est a fuire e menzus sighimus a… passionare.
Sardigna unu logu de zente fuida e fata fuire, emigrada de su logu a unu logu, e de su tempus a unu tempus.
Ia a nàrriri ca seus iscallaus e a iscallamentu… accelerato.
Grazie
Grazie Paolo.
Grazie
Grazie
Grazie!
Grazir
Grazie!