Francesco Pigliaru giorni fa mi ha segnalato questo articolo di Simon Kuper, apparso sul Financial Times, che propongo di seguito tradotto. Il titolo è No news is a bad news, Nessuna notizia è una cattiva notizia.
Sembra un articolo sulla crisi dei media e dell’informazione; invece è un articolo sulla crisi della pubblica opinione, cioè sulla disinformazione popolare che ha come conseguenza la crisi della democrazia.
Scrivo ogni giorno su questo sito con l’ambizione proprio di non arrendermi a questo degrado. Forse è un’illusione, ma voglio resistere all’idea realista di acconciarmi alla ignobiltà del tempo.
Guido Tabellini, in un articolo di qualche settimana fa, indicava nell’informazione indipendente il vero antidoto alla corruzione. Ma il tema è: che cosa è un’informazione indipendente? Tabellini interpreta ‘indipendente’ come ‘neutralità politica’ e a me pare veramente ingenuo. ‘Indipendente’ penso vada inteso come ‘senza interessi’, non ‘senza passioni’ o ‘senza ideali’. L’informazione indipendente è un’informazione senza interessi economici e senza interessi di potere. Questo è ciò che mi anima, non so fin quando, non so con quali forze, ma finché ce ne sarà, si farà, come canta Ligabue.
Nessuna notizia è una cattiva notizia
Simon Kuper (Financial Times)
Nonostante tutta l’angoscia nei confronti della polarizzazione [il fenomeno delle opinioni sempre più radicali e contrapposte] e della disinformazione, in realtà sta accadendo qualcosa di molto diverso nel consumo di notizie: l’era dei mass media sta finendo. Stiamo tornando a un’epoca in cui la maggior parte delle persone non riceve quasi nessuna notizia. Un numero crescente di cittadini è ignaro dell’attualità, proprio come la maggior parte dei cittadini britannici prima che apparisse il primo giornale popolare, il Daily Mail, nel 1896. Gli opinionisti che conducono il dibattito politico tendono a trascurare questo cambiamento, perché, per definizione, si preoccupano sulle novità.
Cosa succede a una società quando la maggioranza si spegne?
Naturalmente non c’è mai stata un’età dell’oro in cui tutti seguissero le notizie. George Orwell scrisse il 28 maggio 1940, all’inizio dell’evacuazione dell’esercito britannico da Dunkerque: “La gente parla un po’ di più della guerra, ma molto poco. . . Ieri sera, [mia moglie Eileen] e io siamo andati al pub per ascoltare il notiziario delle 21:00. La cameriera non l’avrebbe ascoltato se non glielo avessimo chiesto, e a quanto pare nessuno poi lo ha ascoltato.
Tuttavia, per circa un secolo, le persone nei paesi sviluppati hanno comprato i giornali. Forse lo facevano soprattutto per lo sport, il meteo, i cartoni animati, ma comunque assorbivano per osmosi l’attualità. Le radio e le TV davano loro notizie ogni ora.
Ora, la distruzione dei media da parte di Internet è prossima a concludersi. Molte persone che si lamentano dei “media” difficilmente li consultano ancora. Nel 2023, per la prima volta, la televisione via cavo e via satellite insieme hanno rappresentato meno della metà di tutte le Tv viste negli Stati Uniti, afferma la società di ricerca sui media Nielsen. Netflix e YouTube stanno vincendo questa battaglia. Fox News si è ridotta a un’emittente di nicchia per i pensionati.
Gli Stati Uniti hanno perso due terzi dei giornalisti della carta stampata dal 2005 ad oggi. L’ex leader conservatore britannico William Hague ha osservato, in un requiem per i giornali locali pubblicato questo mese, che l’ex potente Birmingham Post, in una città di 1,15 milioni di abitanti, ora vende 844 copie a settimana. Non c’è da stupirsi che ci sia voluto un dramma televisivo di fantasia per sensibilizzare il pubblico sulle ingiuste condanne dei direttori delle poste britannici, dopo che i media avevano riportato lo scandalo inutilmente per anni.
Un tempo l’idea era che le persone si spostavano sui social media per le notizie. Bene, sono sì passati ai social media, ma sempre più non per le notizie. Dopotutto, perché lasciare che giornalisti di cui non ti fidi ti parlino di politici di cui non ti fidi? Meta afferma che le notizie ora rappresentano meno del 3% di ciò che gli utenti vedono sulla sua piattaforma più grande, Facebook. Anche Instagram ha depriorizzato le notizie. TikTok non mostrerà nemmeno pubblicità politiche.
Queste scelte si adattano alla crescente ‘tribù’ di persone che trova le notizie deprimenti, noiose e ripetitive. La Brexit, ad esempio, ed era il 2016. I politici vengono superati dalle celebrità rivali nell’economia dell’attenzione. Se lo scontro Biden-Trump fosse stato un reality show televisivo, sarebbe stato interrotto nel 2020. Anche Trump ha perso il suo valore di impatto e parte della sua arguzia.
Gli esperti si chiedono perché gli elettori non danno a Biden il merito del miglioramento dell’economia americana. Ebbene, pochi elettori badano alle statistiche economiche. Eventi non visivi come il Chips and Science Act attirano l’attenzione persino meno dei cambiamenti climatici.
Solo i video di notizie spettacolari riescono a raggiungere le persone apolitiche. Ciò è accaduto al confine tra Stati Uniti e Messico e, inizialmente, nelle guerre in Ucraina e Gaza, finché il contenuto non è diventato ripetitivo. La guerra in Ucraina è stata una svolta internazionale particolare, afferma il Digital News Report del Reuters Institute. Per quanto riguarda Gaza, i manifestanti occidentali che cantano “Dal fiume al mare” e le persone che ne sono ossessionate sono entrambe minuscole minoranze non rappresentative. La maggior parte degli occidentali ignora la guerra (anche se, quando interrogati dai sondaggisti, le persone che si prendono la briga di rispondere esprimono opinioni a cui non avevano pensato cinque minuti prima).
Alcuni mezzi di informazione seri sopravvivranno come pubblicazioni di nicchia, come i radiogiornali dei tempi passati…
Il passaggio dalla carta al virtuale non implica per forza la caduta del giornalismo. La radio, ad esempio, sta vivendo una nuova rinascita, anche per via del web. Poi vi sono i podcast, su YouTube si trovano canali di intellettuali interessanti, sicuramente più del giornale di Feltri, di Repubblica o de Il Fatto.
molto interessante davvero. Grazie ai due professori
Mi associo completamente a ciò che dice Lorenzo, ma i nostri giovani, il nostro futuro, dove si informa, considerato che la storia é un illustre sconosciuto per loro !
Un emigrato di 83 anni che segue sempre, avido di informazioni corrette o almeno così mi appaiono, ed è per questo che seguo Sardegna e Libertà. Un saluto ai lettori.
Che bello questo articolo, l’ho letto avidamente tutto d’un fiato; grazie Paolo di quello che ci hai scritto oggi, articoli come questo non possono che accrescere la nostra cultura, anche se so, o mi rendo conto, che non è da Tutti apprezzare questo modo di dare/fare informazione, infatti credo che molti non lo capiranno, o nn gliene importi nulla…
Grazie.
Tim Berners-Lee, l’uomo che ha inventato web (il www) e che, rinunciando a diventare supermiliardario, lo ha regalato al mondo, continua a lanciare l’allarme sul fatto che il web non è libero (sul www passa il servizio internet che conosciamo, internet che è sostanzialmente in mano ai privati ed ai governi, i quali possono sospenderlo in pochi attimi, se vogliono – ed infatti accade spesso).
E dichiara anche che è possibile creare una rete libera, davvero gestita dagli utenti, come la sognava quando la inventò: mentre speriamo che ciò avvenga ci teniamo quello che c’è, e leggiamo (anche e soprattutto) Sardegna&Libertà per tentare di capire cosa succede davvero in Sardegna.
Grazie per queste ultime tue segnalazioni, Paolo.