Sono andato venerdì alla presentazione del libro di Marco Ascione La profezia di CL (libro discutibile, profondissime le parole del vescovo Baturi); ho incontrato Franco Siddi, già segretario della Federazione Nazionale della Stampa e tante altre cose, che mi vede (eravamo in 28) e mi dice: «Ho suggerito io di invitarti; sai, tu che sei così inquieto…». Franco non lo sapeva, ma era il terzo della giornata che mi dava dell’inquieto.
Ora, a me si girano molto i coglioni quando quelli nati tranquilli per natura, che galleggiano da un’onda all’altra senza sforzo, quelli sicuri, quelli di Montale ‘a se stessi e agli altri amici’, quelli che fanno politica e si preparano l’azienda (magari sovvenzionata da Stato e Regione), quelli calcolanti e freddi, quelli io io io e sempre io io io, danno dell’inquieto a chi, per natura, non riesce a non dire la verità (non per merito, anzi, senza alcun merito), non riesce a non combattere potenti e prepotenti, si fa un mazzo ogni giorno per ammazzare il peggio di sé, lavora come un matto e non si sente mai all’altezza del ruolo che ricopre, ama senza riserve, attraversa la gioia e il dolore senza paura ma con tante ferite, sbaglia molto perché fa molto.
Per difesa e contrattacco, io dovrei chiamare i giudici della mia inquietudine (non Franco, che qui è banalmente un pretesto e lui può tranquillamente capirlo) surfisti, chiedere loro il nome dell’ultimo padrone, o chiedere loro con quale maschera parlino, da quale recente invidia dissimulata siano attraversati, quanto credano a ciò che dicono ecc. ecc. Io non sono inquieto, ho solo un altro destino e c’è spazio per tutti senza che alcuno erga se stesso a norma dell’altro.
Inquietamente, come al solito, sabato sono andato con mia moglie a vedere FolleMente l’ultimo film di Paolo Genovese e mi sono sentito a casa. Non è certo una genialata rappresentare la mente come un condominio abitato da contrastanti personaggi (nel film, quattro per ciascuno dei due protagonisti), ma lo è scandire l’incontro tra un uomo e una donna col solo ritmo dei dialoghi; lo è saper rappresentare il desiderio e il timore, l’incertezza e il bisogno; lo è rendere una performance sessuale dal lato maschile con uno che si affanna su una cyclette e da quello femminile con quattro signore che devono stare in equilibrio insieme su una trave e poi cadere simultaneamente quando tutto è felicemente compiuto. Solo un inquieto può capire che parlarsi, odorarsi, baciarsi, toccarsi, godere, incontrarsi, farsi compagnia non è mai una cosa superficiale, è sempre una cosa inquieta. Per questo ammiro le donne, perché mi piace l’inquietudine che suscitano.
Infine, stamane ho letto la bellissima recensione che Maurizio Ferraris (un grandissimo filosofo, studioso di ermeneutica) dedica sul Corriere della Sera alla riedizione per Einaudi del libro di Turing Macchine calcolatrici e intelligenza, curata da un altro grande filosofo, Diego Marconi.
La questione trattata è la solita: le macchine pensano? Hanno una personalità? Aveva ragione o torto Einstein che sosteneva che le macchine sarebbero prima o poi state capaci di risolvere tutti i problemi, ma mai di porne uno?
Ferraris, entra, da par suo, in argomento, ma è l’ultima parte dell’articolo a raggiungere vette di densità che meritano di essere ripetute: «Noi, diversamente dai computer, siamo corpi viventi, spinti dal metabolismo e dalle sue urgenze; in quanto organismi, abbiamo solo due posizioni, vivo o morto, e, se morto, per sempre. Ed è proprio da queste circostanze che non considerano né Turing né Marconi deriva l’altrimenti misteriosa “iniziativa”, il fatto che dobbiamo darci da fare esercitando il tratto fondamentale dell’organismo, che non è l’intelligenza, bensì la volontà, il bisogno e quella versione civilizzata della volontà che è la ragione come facoltà dei fini. Le macchine, invece, si accendono e spengono moltissime volte; perciò ci guardano con l’indifferenza delle mummie di Federico Ruysch; e, diversamente da quelle, non prenderanno mai l’iniziativa di intonare un coro, a meno che siano state programmate per farlo».
Buona domenica.
Grazie Paolo,
grazie perché scrivi di tutto e su tutto, e quel che scrivi si capisce…
Buona Domenica
Non ho nessuno scopo e sono felice
Non ho nessuno , scopo e sono felice .
Quando è solo una virgola a fare la differenza
La vita dà mille occasioni per stare ai bordi del palco e osservare. Distogliere lo sguardo da sé offre la possibilità di vedere persone fatti per quel che realmente sono.
Buona domenica.
Gràtzias a tie, Paulu! Bella letura custu manzanu puru!
(Tra paréntisi, e chentza parentes…: sa AI est una ‘definitzione’ fartza e ingannile, assurda che a ‘gratta e vinci’: bona pro totu su chi podet serbire de bonu, ma ingannile, e intelligente – ma no meda – chie faghet màchina e programma: po s’ite e chie ndhe faghet cosa podet èssere fintzas delinquente criminale disumanu. Ca una cosa ebbia at a èssere sa prus segura: at a serbire a fàghere cùrrere ancora de prus sos cadhos de punta milliardàrios e guvernantes issoro pro ammuntonare e ammuntonendhe milliardos pro VINCERE sa gherra ma at a lassare si no peus nessi meda meda PRUS zente caminendhe a topu e irfainada e bagamundhendhe, e fintzas morindhe de su fàdigu e de su dannu).
L’articolo di oggi mi ha affascinata, stuzzicando in me sete di conoscenza. Raffinato e sottile.
Buona domenica anche a lei.