Nella vicenda di Beniamino Zuncheddu, che stiamo raccontando per arrivare a parlare, con cognizione di causa, dello scontro di culture giuridiche in atto tra diversi livelli di giudizio e tra diversi magistrati, abbiamo ricordato i fatti relativi alla terribile strage di Sinnai, abbiamo riportato l’intercettazione recente del colloquio tra il testimone chiave del processo che ha condannato all’ergastolo Zuncheddu e la moglie, la quale intercettazione ha indotto il Procuratore generale a fare istanza di revisione del processo, e infine abbiamo raccontato di come le nuove indagini abbiano collegato la strage di Sinnai al sequestro di Gianni Murgia, ipotizzando che le vittime avessero visto o fossero complici del sequestro e che siano state uccise da un latitante, che svolgeva la funzione di custode del sequestrato, per zittirle o per non farle partecipare alla divisione del riscatto.
Oggi riportiamo le parole del Procuratore generale nel descrivere perché un importante magistrato, il dottor Lombardini, e pezzi della polizia giudiziaria avrebbero orientato, depistandole, le indagini su Zuncheddu in modo da allontanarle da un membro della banda del sequestro Murgia, che chiameremo Informatore 1 che fungeva da informatore del gruppo che lavorava con Lombardini per combattere la piaga dei sequestri a cavallo degli anni Settanta e Ottanta.
“Il fatto è che Informatore 1 (al pari di Informatore 2) prima di essere individuato come responsabile del sequestro di Gianni Murgia era un confidente che godeva di ottime protezioni da parte di certe forze dell’ordine e, addirittura, da parte del dott. Luigi Lombardini, come emergerà nel tristemente celebre processo di Palermo, che nacque dalle indagini a carico del magistrato suicida. (…)
L’inquinamento probatorio in quel genere di processi non viene certo scoperto dai sottoscritti. Nella ‘Relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione’ elaborata dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari” istituita con legge 1° ottobre 1996, n. 509 (si veda l’estratto in all. E-27) si legge:
“Del resto è fuori dubbio che faccia parte dei compiti del Ministero dell’interno intervenire, anche mediante pagamento di denaro, nell’acquisizione di informazioni nel corso di una indagine su un sequestro di persona” (pag. 79) e ancora “la nostra indagine ha rivelato un altro mondo occulto che, se pure sempre esistito, sin dal momento della introduzione del «blocco dei beni» ha subito una modifica sostanziale e per certi versi una sua istituzionalizzazione. Ci riferiamo a quel mondo di trattative segrete, di emissari occulti che si presentano irrimediabilmente in ogni caso di sequestro, soprattutto di matrice sarda” per finire con queste lapidarie conclusioni (pag. 93): “Del resto la stessa attività di questo Comitato della Commissione antimafia è stata oggetto di interesse e preoccupazione da parte di un altro dei protagonisti dell’inchiesta diretta da dottor Aliquò. Risulta infatti che il dottor Lombardini ha concordato con il colonnello Rosati, audito dal Comitato il 25 maggio, le modalità e i contenuti di quanto egli avrebbe dovuto dichiarare circa vicende del passato al Comitato e, subito dopo l’audizione, ne ha raccolto il racconto dettagliato. Il Colonnello Rosati ha rivelato uno spaccato di quello che avveniva prima della legge sul sequestro dei beni, relativamente alle trattative per il pagamento del riscatto e che vedevano coinvolti magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria in ruoli di primo piano, ma completamente occulti rispetto alle indagini ufficiali. … Appare assumere sempre più consistenza l’idea che si sia costituita una forma di «rete» in Sardegna di informatori, di mediatori, di non meglio precisati collaboratori che a vario titolo, con le più disparate motivazioni personali, per una sorta di aggregazione spontanea, si metteva in moto ed operava attivamente ad ogni episodio di sequestro di persona. … Proprio il procuratore di Palermo Giancarlo Caselli nel corso dell’audizione del 9 settembre ha definito questo meccanismo una rete, che attiene e si collega a quella che la Commissione antimafia ha definito «zona grigia» e che aveva quale punto di riferimento il dottor Lombardini. Questi per tanti anni, durante il periodo caldo dei sequestri, dalla metà degli anni settanta alla metà degli anni ottanta ebbe a gestire in «maniera quasi esclusiva» … tutti i casi di sequestro di persona in Sardegna. … Destinato ad altro ufficio, tuttavia, il dottor Lombardini ha indubbiamente, pur non avendone alcun titolo, continuato ad occuparsi di sequestri di persona … Certo è che sistematicamente, ad ogni episodio di sequestro degli ultimi anni si sono verificati depistaggi, indagini parallele, manovre diversive ad opera di questa diffusa «zona grigia» e che hanno costituito forte ostacolo all’opera della magistratura”.
La vicenda del rapporto Lombardini-polizia giudiziaria è una di quelle che andrebbe ricordata a tutti quelli che ancora hanno il coraggio di sostenere (in malafede) che la separazione delle carriere in magistratura è pericolosa perché avvicinerebbe troppo il pubblico ministero alla polizia giudiziaria. L’esperienza dimostra che il pericolo che si vorrebbe scongiurare non è mai stato impedito dall’attuale sistema in cui giudici e pm condividono la stessa carriera