In queste ultime ore ho letto due notizie. Tra loro parrebbero trattare due argomenti diversi, molto lontani, per persone e storie coinvolte. Eppure, hanno un comune denominatore: l’assenza incomprensibile ed intollerabile di umanità, di comprensione della sofferenza, di senso profondo di giustizia.
Regeni ucciso, Governo in fuga La prima riguarda l’atrocità della tortura e dell’omicidio di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano assassinato in Egitto, dove stava per motivi di studio.
Una tragedia incommensurabile, che colpisce la famiglia e viola la cultura, la sensibilità e l’ordinamento democratico del nostro popolo. Si legge oggi sul “Fatto quotidiano”, “Torture e sevizie con oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni che gli causarono “acute sofferenze fisiche” portandolo lentamente alla morte.
Sono i pm di Roma a ricostruire nell’atto di chiusura delle indagini gli ultimi, drammatici giorni di vita di Giulio Regeni, catturato e torturato a morte dalla National Security egiziana dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016, quando il suo corpo senza vita venne ritrovato lungo l’autostrada del deserto che collega Il Cairo ad Alessandria.”
Di fronte ad una così dettagliata e pesante accusa, mossa dall’autorità giudiziaria, quale dovrebbe essere la risposta dello “Stato” se non quella di applicare, con rigore la “Costituzione”, i suoi valori e le sue disposizioni? “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” recita l’articolo 2, della Carta fondamentale. “La libertà personale è inviolabile … È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” continua l’articolo 13.
Queste disposizioni non possono lasciare scelta, non consentono comportamenti istituzionalmente rilevanti che possano, in alcun modo, rendere negoziabili sul tavolo degli interessi, i valori di salvaguardia e rispetto della vita ai quali ci riferiamo nel patto costituzionale, stretto tra cittadini e Stato. Ecco perché non appare comprensibile – veramente a nessuno – l’atteggiamento debole con il quale il Governo continua a trattare questa dolorosissima vicenda.
È legittimo, quindi, porsi la domanda se in Italia la Costituzione sia pienamente in vigore? Se lo sia mai stata? È un interrogativo che si giustifica con la difficoltà di scorgere, nella cultura dominante e nei comportamenti individuali e collettivi prevalenti, la concreta realizzazione dei principi fondamentali della nostra carta costituzionale. Quei principi che pongono al centro la vita delle persone, la loro dignità, libertà e sicurezza. Gli stessi principi declinati, in modo ampio e inequivocabile, nella dichiarazione universale dei diritti umani, che chiama ognuno di noi, le comunità nazionali e gli Stati, a rispettarli.
Ottaviano Del Turco: pena retroattiva contraria al senso di umanità L’altra notizia si legge nel “RIFORMISTA” del 10 dicembre scorso con questo contenuto: “un Senato che decide di togliere la pensione da parlamentare (quella che tecnicamente viene chiamata vitalizio) a uno dei suoi esponenti più prestigiosi, è un Senato che finisce per perdere il suo stesso onore. Tanto più che l’ex senatore vittima di questa decisione, odiosa e illegale, Ottaviano Del Turco, il mitico vice di Luciano Lama in Cgil negli anni ruggenti, oggi è malatissimo, è chiuso in casa travolto dall’Alzheimer, dal Parkinson e da un tumore”.
Questa è la conseguenza di una disposizione approvata dal Consiglio di Presidenza del Senato, nel 2015, che riguarda la cessazione dell’erogazione degli assegni vitalizi e delle pensioni agli ex senatori condannati in via definitiva per reati di particolare gravità.
È difficile intervenire sulla qualità delle responsabilità di Ottaviano del Turco, sull’esito del procedimento che lo ha riguardato, come sulla fondatezza delle accuse, su cui lo stesso “RIFORMISTA” ha aperto un approfondimento. Serve, invece, ragionare sui tempi e le modalità con la quale si sono adottate le decisioni in materia revoca dei trattamenti vitalizi, e sulla natura di quella revoca per effetto di un provvedimento giudiziario.
Serve porsi il problema di chi, arrivato ad una condizione personale che rende impossibile la difesa consapevole della propria persona, dei propri diritti di sopravvivenza subisce, come pena accessoria a effetto retroattivo, la privazione, magari, di una necessaria fonte di sostentamento.
Ancora qui dobbiamo chiederci cosa, in questi specifici casi, stabilisce la nostra Costituzione, ovvero quale sia la natura della revoca, se abbia una funzione punitiva ovvero se sia legittimo introdurre una ulteriore sanzione, rispetto a quelle stabilite, all’atto della condanna, dal Giudice a conclusione del processo. Quale sia il valore della norma costituzionale con la quale si afferma che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Dobbiamo chiederci se quella revoca costituisce misura rieducativa, se è vero, com’è vero, che colpisce una persona gravemente malata e in età avanzata, priva, pertanto della possibilità materiale di avviare qualunque percorso in tal senso. Anche – e ne dubito – ci fosse bisogno di questo.
Anche qui, quei principi non sono negoziabili, e rappresentano la coerenza del dettato costituzionale. Una coerenza colpita e resa traballante, che si scuote davanti agli interessi particolari, alle convenienze elettorali, al conservatorismo dei poteri burocratici, alla rabbia assetata di vendetta degli ultimi arrivati al potere. Anche qui la persona è dimenticata.
Tutto questo stride con il bisogno di “umanità”, di comprensione della disperazione, che si diffonde a parole, e che si omette, quando e come si vuole, nell’agire concreto.
La storia del nostro Paese, così come si è sviluppata, fatica a stare dentro il perimetro della legalità costituzionale. Gli obiettivi posti nella declaratoria dei principi fondamentali richiamano una qualità del potere pubblico, in tutte le sue articolazioni, che oggi, difficilmente, riusciamo a cogliere. Speriamo che non sia così, anche domani.
È apprezzabile e condivisibile la considerazione espressa rispetto alla posizione dell’On. Del Turco. Le vicissitudini che ci vengono narrate sono le medesime di tanti comuni mortali, che sono coloro che si spaccano la schiena durante la vita lavorativa pur senza mai accumulare risorse e ricchezza, che non accedono ai benefici ex legge 104/92 Co 1 art. 3 od ancora che per condizione economica e tempi di attesa non possono accedere alle prestazioni sanitarie per dare concreta esecuzione alla raccomandazione di prevenire l’insorgenza delle patologie. E allora forse è vero, oggi più che mai, l’art. 32 cost. È sacrificato sull’altare del pareggio di bilancio, di una organizzazione che favorisce le direzioni distrettuali alla prevenzione e alla cura dei pazienti, le relazioni commerciali con l’Egitto alla dignità di Stato. È un tempo in cui sono sospesi i diritti fondamentali, e tutti ne siamo responsabili.