L’assoluzione e la liberazione di Beniamino Zuncheddu oggi sollecita tanti, sull’onda del giubilo, a discettare di cattiva e buona giustizia.
Alcuni possono farlo legittimamente, altri no.
Può farlo a testa alta l’ex procuratrice generale di Cagliari, oggi a Milano, la dott.ssa Nanni, perché ha avuto il merito di riaprire le indagini. Può farlo la dott.ssa Ornano perché le sue ordinanze e sentenze hanno sempre avuto il pregio della meticolosità e della buona fede (a parte una certa indulgenza per Gip faciloni). Ma altri no, non possono giubilare.
Bisogna dirlo a chiare lettere: Beniamino Zuncheddu non è stato vittima di un errore giudiziario, ma della Polizia Giudiziaria, di una polizia giudiziaria mal condotta dalla magistratura. È diverso.
Gli stessi errori si stanno ripetendo ancora oggi, anche se oggi la prova deve essere costruita in giudizio, perché in realtà la gran parte delle prove vengono rilevate (e, ahimé, spesso costruite) non per il processo, ma per il Gip, per le misure cautelari dinanzi al Gip. Molti agenti della Pg, a uno gliel’ho sentito dire con le mie orecchie, non sono interessati al processo, sono interessati all’arresto. Quel che accade anni dopo le misure cautelari a loro non interessa.
Il Gip, che arresta, tendenzialmente, legge in fretta, troppo in fretta. Racconto un caso. Un Pm fighettissimo chiede il rinvio a giudizio di un signore, chiamiamolo Sfigato 1. L’avvocato di Sfigato 1 in dibattimento fa presente al Gip che non è per nulla chiaro di che cosa sia accusato il suo cliente. Il Gip si ritira, poi rinvia a giudizio tutti. In camera caritatis dirà all’avvocato che non aveva il tempo di distinguere la posizione del suo assistito da quella degli altri e che ha dunque mandato tutti a processo: “Tanto lì, lei, se la caverà egregiamente, il suo cliente non ha fatto nulla”. Troppo facile pulire in questo modo la scrivania dai fascicoli.
Il caso Zuncheddu mette in evidenza un fatto che si sta ripetendo anche in questi giorni nei tribunali (certamente in uno): testimoni che dicono una cosa in istruttoria e la smentiscono in dibattimento. Quando accade una volta, può essere un caso, ma quando accade sei volte, il problema è la polizia giudiziaria, è il sintomo di un processo costruito su un’ipotesi investigativa cui è stata piegata ogni verità. Com’è che dinanzi a questa evidenza non c’è un solo agente di PG, dico uno solo, che venga indagato per come ha condotto le indagini? La risposta è semplice: perché indagare lui sarebbe come indagare il Pm. E qui sta il punto: se il Pm, per mentalità, pigrizia, carico di lavoro, fighettismo, ecc., non fa filtro rispetto a ciò che la Pg gli propone, se non legge e valuta con estrema attenzione, se è condizionato dai suoi tic ideologici o dalle sue frequentazioni, i casi Zuncheddu si moltiplicheranno.
Oggi la Ornano dice all’Unione Sarda che è mutato il modo di valutare le segnalazioni anonime e da confidenti. Ci auguriamo di sì, ma non pare che ciò sia poi così diffuso. La recentissima indagine Delcomar, che ha portato a un sequestro dichiarato ingiusto e infondato e con danni seri alla società, è partita da una segnalazione anonima valorizzata dalla Guardia di Finanza, una segnalazione ‘anonima’ quanto alla persona, ma non quanto all’ambiente politico che l’ha generata. Sull’abnorme indagine generata da questo esposto ‘anonimo’, nessuno ha indagato e chi ha condotto le indagini, sbagliando tutto ciò che si poteva sbagliare, svolge ancora indisturbato le sue funzioni.
In un altro processo in corso, anziché le fonti anonime, vengono valorizzati, a verbale, i pettegolezzi da corridoio: “Lo dicevano tutti”. L’articolo 195 del Codice di Procedura Penale, al comma 7 recita: “Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame”. C’è un processo in Sardegna che se venisse applicato questo comma, finirebbe rapidamente per caduta dell’80% dei testimoni di accusa, un processo costruito sulla ‘nomea’, sulla ‘vox populi’, un processo che piacerebbe ai Cinquestelle ma non alla Giustizia.
C’è stato un processo ignobile in Sardegna nel quale una persona è stata condannata per un reato infamante, fondato sulla testimonianza di un finto medico, poi scomparso dalle scene. Il PM che ha condotto le indagini, trasferito e protetto, il condannato esposto dentro la gabbia sulle mura della città. La Giustizia in Sardegna gronda di ignobiltà.
Insomma, l’errore giudiziario svela sempre una connessione tra la Pg, la magistratura e l’ambiente nel quale entrambe operano, una connessione che non viene mai indagata. Mai viene setacciata la penetrazione della massoneria nei corpi di polizia giudiziaria. Mai vengono sezionati i rapporti intrattenuti da alcuni magistrati con alcuni ambienti politici. Mai viene indagato quanto il contesto e il populismo dilagante, che sta scatenando una vera caccia alle streghe verso chi nella vita si distingue nobilmente, quasi che debba essere umiliato per ripristinare la giustizia, condizioni l’approccio psicologico di agenti e inquirenti. Io ho ancora nella mente la faccia stizzita dell’agente di Pg che mi consegnò un avviso di garanzia per un documento che io non avevo mai visto e firmato, ma a me attribuito da una campagna di stampa velenosa. Io sono stato indagato per antipatia politica. Dedico a chi ha fatto tutto questo la mia aritmia cardiaca.
I casi Zuncheddu nascono dall’impunità del sistema giudiziario, un’impunità giudiziaria (mai che ne condannino uno, o che lo espellano, o lo puniscano, o lo trasferiscano a punta ‘e pompu, mai!) e un’impunità culturale, cioè tale da non indurre a umiltà, correzione, rettifica di metodi e di valori.
Niente.
Intoccabili, impermeabili, inamovibili. Questi, e sono tanti, non possono salire sul carro di Zuncheddu, sul carro delle loro vittime.
La Giustizia in Sardegna gronda di ignobiltà.
Non lo avrei saputo dire meglio.
Nel condividere ogni virgola del suo commento, mi permetto una ulteriore osservazione: nessun organo di informazione, blog, post o altro ha il coraggio di ricordare chi componeva la Corte d’Assise che per prima aveva il dovere di formare la prova nel processo, né chi rappresentava l’accusa.
Se è vero che la maggior parte di costoro è passata a miglior vita (per i cittadini, però) è anche vero che il timore di rappresaglie è ancora forte. Buona vita.
Però alla fine in Italia quando qualcuno osa porre il problema di una riforma della giustizia, magari basata sulla responsabilità civile dei magistrati o anche sulla separazione delle carriere o sul rivedere la possibilità dell’utilizzo delle intercettazioni come mezzo di prova così anche dei pentiti, apriti cielo. Bene che vada partono le campagne di stampa. Male che vada gli avvisi di garanzia nei confronti della maggioranza di turno (solitamente di cdx perchè la sinistra è ben connivente con l’imperante giustizialismo).
Quanto scrive Paolo Maninchedda dovrebbe essere riportato in sintesi efficace in una lapide di marmo o del nostro basalto da collocare all’ingresso di ogni tribunale e che sia da monito a coloro che amministrano la giustizia con una certa leggerezza in nome del popolo. Ad una osservazione neppure tanto attenta emerge un capovolgimento di ruoli che viola palesemente i principi della carta costituzionale: di fatto non è il p.m. che dirige la polizia giudiziaria ma viceversa è la p.g. che dirige il p.m. quasi sempre distratto o ancor peggio incapace. I risultati sono gli errori da classificare o come errori della p.g. che passano il vaglio del gip e del dibattimento (di primo e secondo grado, ma il secondo grado, attenzione, è stato eliminato sia a Cagliari che a Sassari e penso anche in gran parte del Continente, con rare eccezioni) e il risultato è il caso di Beniamino Zuncheddu che, dopo 33 anni di carcere da ergastolano non può concludersi con la sua assoluzione. C’è anche il caso De Sario di Abbasanta altrettanto vergognoso e con effetti devastanti per vari componenti della famiglia. C’è da domandarsi se sia possibile conoscere nome e cognome dei responsabili (nessuno è intoccabile, neppure i magistrati che a volte si considerano gli unti del Signore, anche quando sbagliano) di questi clamorosi errori giudiziari? Nel caso Zuncheddu la Corte d’Appello di Roma ha disposto il rinvio degli atti al procuratore per l’avvio dell’azione penale per falsa testimonianza a carico di questi. E’ già un inizio., ma occorre vigilare… in nome del popolo.
Subiamo spesso processi e condanne fondate su prove palesemente costruite a tavolino da una polizia giudiziaria inadeguata, ignorante o vilmente corrotta. Questo cancro è troppo spesso sostenuto da magistrati che per sciatta supponenza , ignavia, comodo pregiudizio, prevalgono sulle sacre istanze di Legittimità e Giustizia.
Chi invoca Legittimita e Giustizia si affida e vuole credere che la legge sia uguale per tutti e che chi è chiamato ad esercitarla siano soggetti dotati di capacità, equilibrio e preparazione superiore. Ma non è così. Putroppo i magistrati che dimostrano onestà , impegno ed equilibrio troppo spesso non sono abbastanza coraggiosi per denunciare le disfunzioni del sistema a cui appartengono.
Questo sistema giudiziario viziato, benché tracci ingiusti privilegi, ha però in sé il paradosso che tutti, nessuno escluso, sono in pericolo perché a seconda delle circostanze, chiunque può essere succube, vittima innocente di questa assurda stortura.
L’ oscurantismo non è solo del medioevo e Tutti dovremmo interessarci alle battaglie per la Legalità e per la Giustizia Vera perche queste sono vere battaglie per la Libertà l’ Uguaglianza e il Progresso e quindi per la tutela dei diritti fondamentali di Tutti .
Auguro a Beniamino Zuncheddu di trovare nell’affetto dei suoi cari e nella bellezza della nostra terra la serenità e la gioia e l ‘amore che lo ripaghi di tutta l’ immensa ingiusta sofferenza .
Anna Maria
“[…] Beniamino Zuncheddu non è stato vittima di un errore giudiziario, ma della Polizia Giudiziaria, di una polizia giudiziaria mal condotta dalla magistratura”: porca miseria, urliamolo!
Penso che @Enrico abbia toccato uno dei problemi fondamentali. Per esperienza diretta posso confermare che, soprattutto nei piccoli tribunali, i rapporti di amicizia che nascono tra i magistrati creano nei giudici (soprattutto delle indagini preliminari) una certa ritrosia al rigetto delle richieste dei pubblici ministeri . Non cambierà nulla finchè non ci sarà separazione delle carriere e anche separazione fisica dei luoghi di lavoro
In questa vicenda non vedo proprio nessun vincitore ma unicamente una vita annientata e un fallimento totale che dovrebbe essere punito pesantemente con la destituzione o licenziamento, oltre all’obbligo di risarcimento diretto. Chi ha agito con zelo ha solo fatto il proprio dovere, secondo parametri di assoluta normalità.
Nell’intervista alla dott.ssa Nanni mi ha colpito il passaggio “ho parlato col mio collega e dopo una iniziale ritrosia…” ed ho pensato al riflesso condizionato del magistrato che deve smontare un lavoro fatto male dei colleghi. Passerò per rompicoglioni? Me la faranno pagare?
E come non ricordare i procedimenti promossi da un certo PM d’assalto, che ha praticamente azzerato il tribunale di Tempio Pausania, indagando e portando a processo quasi tutti i magistrati di quella sede? Processi che dopo anni si sono rivelati un nulla di fatto e tutti gli imputati sono stati assolti. Intanto il PM se n’è andato e ha fatto carriera.
Il referendum non raggiunse il quorum. Meditiamo tutto questo