È bastato ribadire la nostra linea congressuale che il mondo politico è entrato in agitazione.
Lo ripetiamo: noi siamo per costruire una vasta coalizione fondata e orientata sugli interessi nazionali dei sardi.
Capiamo che sia difficile capirci perché si è abituati a schierarsi sui confini del dibattito politico italiano, ma noi non rinunciamo a tentare di offrire ai sardi un luogo più avanzato di quelli cui si è stati abituati.
Abbiamo detto più volte che non ci interessano i porti da cui si parte: ci interessa una rotta interamente calibrata sui temi di più libertà, più poteri, più diritti e più ricchezza per la Sardegna.
Noi siamo oltre gli arroccamenti e gli isolamenti, i veti incrociati e tutte le pratiche che impediscono ai sardi di riconoscersi vicendevolmente e di unirsi.
Questa posizione ha aperto un dibattito prima stagnante e ne siamo soddisfatti.
C’è una frontiera che noi vogliamo praticare che è oltre e prima delle categorie del centrosinistra e del centrodestra. È la frontiera dell’unità della Sardegna sui poteri fiscali, sui trasporti, sui diritti. Su questa frontiera siamo e su questa frontiera rimarremo e non saranno quattro parole ultimative, pronunciate in tutta fretta per tentare di impedire la costruzione di ponti di dialogo, a frenare la nostra determinazione o ad attenuare la nostra pazienza. Noi andiamo avanti, dialoghiamo con tutti nella diversità dei valori ma anche nella possibile convergenza dei programmi, aspettiamo tutti e non insultiamo nessuno. Sappiamo che costruire uno stato e una nazione richiede dialogo, pazienza e visione. Le elezioni sarde sono una tappa, non sono la meta, ma sono una grande occasione per unirci piuttosto che per dividerci su frontiere diverse da quelle rilevanti per noi e invece sempre occultate nel dibattito politico. Se anche la Chiesa suggerisce in Sardegna un’unità sui temi strategici significa che si ha la percezione che più importante che vincere le elezioni è l’ampiezza di consenso che si è capaci di suscitare e ottenere in modo da essere incidenti non sull’effimero tempo di una piccola vittoria, ma su strutture storiche che non vogliamo considerare, perché non lo sono, il nostro destino. Piuttosto le vogliamo aggredire come il nostro limite.