Qualche giorno fa, Lidia Thorpe, una senatrice indipendente australiana, impegnata per la difesa dei diritti degli aborigeni, ha gridato all’indirizzo di re Charles III of England, che si trovava in Australia in qualità di re di quello Stato: «You’re not my king. You committed genocide against our people. Give us our land back. Give us what you stole from us — our bones, our skulls, our babies, our people» (Tu non sei il mio re. Tu hai commesso genocidio contro il nostro popolo. Restituiscici la nostra terra. Dacci ciò che tu hai rubato, le nostre ossa, i nostri teschi, i nostri bambini, la nostra gente).
Ho sempre avuto una sconfinata ammirazione per chi sa protestare senza fare del male, chi non mente né su se stesso né sui propri avversari.
Ci vuole cultura, coraggio, tenuta mentale, capacità di dominare l’emozione. Confesso, poi, un debole maschile per le donne battagliere, sarà perché mio nonno mi portava da piccolo a La Maddalena sotto il busto di Anita Garibaldi e me ne cantava le gesta. Io pensavo che la mia fidanzata sarebbe dovuta essere come Anita (col nome scolpito in caratteri capitali sul granito) o non doveva essere. Le donne col cuore morto non mi hanno mai interessato; quelle col cuore acceso e il carattere indomito mi hanno sempre attratto (mia moglie docet).
Questa signora australiana mi ha commosso.
Ero come lei tempo fa.
C’è stato un momento nel quale la politica ragionò seriamente sulla questione meridionale e su quella insulare. Da Salvemini in poi si usò il termine “colonialismo” per descrivere il comportamento dello Stato italiano verso il Sud e verso la Sardegna.
Era una categoria di quel tempo, oggi mi pare inadeguata.
Oggi il problema non è più avvertito nei termini del controllo delle risorse, col prelievo da una parte e il vantaggio dall’altra. Oggi il problema è più radicale: chi decide per noi e perché? È un problema che riguarda i singoli (i soprusi degli apparati sui singoli individui, con vere microtirannidi sperimentabili agli sportelli Asl o dell’Agenzia delle Entrate o nei rapporti con le aziende che vincono i bandi per la raccolta dei rifiuti), ma che riguarda moltissimo anche le comunità regionali che, come quella sarda, sentono di essere una nazione senza essere uno Stato.
Sono pochissimi quelli che ancora negano che il problema centrale della Sardegna è prima politico e poi economico. Da una parte, però, è generale la convinzione che i Sardi dovrebbero avere maggiori poteri, dall’altra è altrettanto diffuso tra loro il sospetto che la richiesta di sovranità nasconda il virus dell’isolazionismo e del provincialismo.
E così, desiderio e paura producono lo stallo, l’inesorabile declino.
Tuttavia, io ho conservato nel cuore la grande irritazione che provai quando Mattarella venne nel Consiglio regionale della Sardegna e ascoltò, ma non parlò. Mi sentii come in presenza di un vecchio re capetingio, che graziava della sua presenza. E soffrii come un cane a sentire il registro dei discorsi delle istituzioni sarde: tutte all’insegna della richiesta e non del diritto, immemori di un bisogno di libertà insindacabile, perché la Sardegna ha diritto a una sua autonomia impositiva, ha diritto a disciplinare i trasporti che la riguardano, ha diritto a non farsi inquinare da bombe e proiettili, ha diritto a formulare standard di efficienza dei servizi essenziali non calibrati sulle efficienze di territori e di società completamente diverse (con buona pace della Dirindin e della sua scuola), ha diritto a costruire una politica di scambio col Nord Africa come è nelle sue tradizioni.
Taccio di come Mattarella venne ricevuto dalla mia università perché ne sono ancora dipendente.
Mattarella non è il mio re.
Ho sempre detto che ne ho rispetto perché la foto in cui raccoglie gli ultimi istanti di vita del fratello lo sugella come un uomo cresciuto nel dolore e nel dolore più nero, quello prodotto dal potere.
Ma non è il mio re, soprattutto quando fa il re (devo dire che mi stava immensamente di più sulla punta del naso Giorgio Napolitano, proprio per il piglio monarchico).
Nessun sardo che sappia di sé e di noi può sentire il Presidente della Repubblica italiana come il proprio re fino a che non si accetta di porre all’ordine del giorno la questione nazionale sarda, che vuol dire il rapporto tra potere e diritti, tra libertà e Stato.
Si sta accettando di discutere dell’ordine dello Stato su leggi farlocche come quelle sull’autonomia differenziata e sul premierato, autenticamente eversive della Costituzione vigente, e si continua a sospettare di eversivismo quelli come me: siamo al trionfo dell’ipocrisia italiana.
Comunque, per la storia (quella piccola che mi riguarda), si segni: Mattarella non è il mio re.
Noi tutti, se fossimo liberi dalle nostre paure, grideremmo: you’re not my king.
Aveva ragione da vendere il grande Giovannino Guareschi, giornalista e scrittore che vendette 20 milioni di copie dei suoi libri, quando dichiarò:” più ho a che fare con questa repubblica e con certi repubblicani, più mi sento Monarchico”. Frase che sposo al 100%.
Non avevo alcuna intenzione di intervenire in questa querelle monarchia/repubblica e la quantificazione del danno da loro arrecato alla Sardegna. Ma ciò che ho letto sul voto referendario del 2 giugno 1946 mi fa ribollire il sangue. Analisi superficialissima e deduzioni altrettanto povere e scontate. Vero, in Sardegna ha prevalso il voto pro monarchia, come in tutto il meridione, del resto. E se provassimo a metterci nei panni di un’elettrice/tore di allora? Probabilmente semi-analfabeta, povera/o e affamata/o, con la vita
sconvolta dalle vicende belliche, e che sicuramente non aveva la minima informazione su cosa significasse ‘Repubblica’, capiremmo che il voto ‘pro su Re’ è spiegabilissimo. Da qui a leggere una Sardegna pro Savoia, è operazione falsa e molto molto scorretta.
In controtendenza: Mattarella insieme a Bersani è l’unico politico che ascolto. Si può non esser sempre d’accordo, ma non si può non notare lo spessore diverso, anche morale, dei due rispetto … a tutto il resto.
Caro Franco,
se si documentasse meglio scoprirebbe che nella spedizione dei Mille ci fu la gran maggioranza della popolazione meridionale che si schierò coi garibaldini altrimenti mi spiega come avrebbero potuto sbaragliare soprattutto in Sicilia l’esercito borbonico?? E il Sud divenne sabaudo come mostrano i dati del referendum del 1946. 80% pro Savoia. I dati in Sardegna sono decisamente a favore dei Savoia, nonostante ci fosse un clima repubblicano che cercò di spingere i Sardi a votare contro la Monarchia. Si informi su cosa fece Joyce Lussu a Cagliari tentando di portare alla ribellione i Vigili del Fuoco. Che invece la ignorarono. Ecco com’era il clima. E nonostante ciò, una netta maggioranza di Sardi si schierò con Casa Savoia e col Re Umberto II. Ripeto: studi meglio la storia ma non leggendo libri taroccati da gente chiaramente repubblicana. Da quasi 80 anni trionfa una disinformazione indegna di una democrazia. Ma da una repubblica nata dai brogli, cosa possiamo pretendere? Fonte: Massimo Caprara, segretario storico di Togliatti. Fu lui nel 1996 a dire chiaramente che il referendum del 1946 fu un Parto Pilotato. Il segretario di Togliatti che confermò quanto detto dai Monarchici fin dal 1946. Ecco perché a questa repubblica i seguaci di Casa Savoia danno fastidio. Perché hanno la coda di paglia e lo sanno bene. Meglio i Savoia tutta la vita!
@gianluigi Caprera
Se appena appena studiasse la storia capirebbe che dietro i Savoia e il mito dello sbarco dei mille e di Garibaldi (mi dispiace per Anita) vi erano i massoni/ inglesi (li metta nell’ordine che le aggrada); taccio sulla questione meridionali e sulla responsabilità che come Sardi intruppati abbiamo fatto nella storia del “brigantaggio”
Magari verifichi anche la guerra di Crimea (vedi sopra) e cosa ne venne fuori, anche lì, per i Sardi.
@marco Razzoli
Sul perché i Sardi abbiano votato per la monarchia verifichi le percentuali dei votanti e il clima di allora,
In Sardegna si chiamavano “canes de sutta mesa”
Ma lei vuole che perdiamo tempo qui per elencare i funzionari corrotti mandati in Sardegna dal governo piemontese? O vuole che le elenchi le debolezze della corte? O vuole che le ricordi la grandissima responsabilità dei Savoia nel dar vita a ciò che ancora si chiama Questione Meridionale? O vogliamo parlare del massacro della Prima Guerra mondiale che noi sardi non abbiamo mai dimenticato? O vogliamo parlare del via libera a Mussolini e ai suoi sogni di gloria? O vogliamo parlare delle condizioni in cui si trovò l’esercito italiano dopo l’8 settembre? O vogliamo parlare dell’irrazionalità intrinseca dell’essere re per essere stato concepito da un re? La nobiltà di sangue è quanto di più contestabile sia esistito nella storia. Comunque, con certezza, io mi tengo la mia repubblica, voi tenetevi i vostri re.
Caro Maninchedda, se i Savoia non avessero avuto qualità, non sarebbero riusciti ad unificare la Nazione in pochi anni (1848-1861).
Se lei preferisce le “qualità” degli uomini di questa repubblica, se li tenga pure. Dagli anni 50 del Novecento, l’Italia viene sistematicamente spolpata da uomini della repubblica. A partire dai vitalizi votati nel 1953 da quasi tutto il Parlamento repubblicano. I vari scandali. Debito pubblico alle stelle, come neppure in guerra. Disoccupazione. Mani pulite e gli altri scandali che hanno coinvolto tutti i partiti di questa repubblica, compreso il pci-pds. Pci che dal 1945 agli anni Ottanta ricevette anche finanziamenti illeciti da Mosca, come riportato negli archivi del partito comunista sovietico. Occorre aggiungere altro? Meglio i Savoia tutta la vita!
E secondo Lei il monarchismo dei Sardi di allora è indice delle qualità dei Savoia? Canti pure Lei il suo peana regio, smentito dai fatti e dalla storia.
Caro Maninchedda, è chiaro il suo non amore per i Savoia. Legga le pagine dell’Unione Sarda da fine Ottocento alla prima metà del Novecento. Toccherà con mano l’affetto dei Sardi per i Savoia. Al referendum del 1946 la gran maggioranza dei Sardi votò Monarchia. Nel maggio 1946 il Re Umberto II giunse in Sardegna. Ricevette acclamazioni spontanee a Cagliari, Macomer, Sassari ed ancora a Cagliari. Il 73% dei Cagliaritani votò Savoia. Il 72% dei Sassaresi votò Savoia. Il 58% dei Nuoresi votò Savoia. Nonostante fosse una città già virata a sinistra. Solo il 10-15% dei Comuni sardi votò a maggioranza per la repubblica. Di che cosa stiamo parlando? Il voto dei Sardi nel 1946 è la miglior risposta alle discutibili affermazioni degli antiSavoia. Carta canta. Voti cantano!! Questa è vera Democrazia.
@ Marco Razzoli Ma Lei con chi crede di parlare? Con sprovveduti? Vuole che le ricordi a quale prezzo venne realizzata la linea ferroviaria in Sardegna? Perché Lei capisca, qui nessuno rimpiange i Savoia. Le dighe, la rete fognaria e acquedottistica della Sardegna sono opere dell’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno e della Legge 64; la reti elettriche e telefoniche sono divenute capillari in epoca repubblicana; tutti i porti della Sardegna sono stati infrastrutturati in epoca repubblicana (al netto di quelli militari); Il patrimonio edilizio della Sardegna è stato interamente rinnovato in epoca repubblicana. Dei Savoia ricordiamo la feroce repressione a suon di forche e di processi sommari nel Settecento; la repressione nel sangue della rivoluzione sarda; la repressione nel sangue della cosiddetta congiura di Palabanda; il parassitismo della Corte nel soggiorno a Cagliari; l’infame apertura delle soglie dello Stato al fascismo; il pasticcio tragico dell’8 settembre. nessuna nostalgia di nessun tipo. Non si crede, qui, nella nobiltà di sangue, ma solo in quella degli spiriti.
Carissimo Paolo,
con i tempi e i modi “possibili”, l’importante è che questo blocco ci sia.
Carissimi saluti.
Egregio Dionigi, non so se Ella abbia anche la pretesa di dettarmi tempi e modi della pubblicazione dei commenti, nel qual caso, può bersi allegramente un brodo. Sardegna e Libertà è un giornale registrato presso il Tribunale di Cagliari e io rispondo non solo di ciò che scrivo io, ma anche di ciò che scrivono gli altri. Posso, di grazia, leggere e pubblicare secondo il mio tempo e il mio giudizio o debbo sottoporre il mio operato al Suo giudizio, del quale, però, sarei responsabile io e non Lei?
Per il resto, non vi è alcuna analogia Repubblica=Monarchia. Vi è analogia tra lo spirito con cui ha detto You’re not my king una australiana e quello con cui potrebbe dirlo un sardo. Quanto al resto delle sue allusioni, facciamo così, faccia nomi e cognomi e mi aiuti a capire, poi, magari, le risponderò. Ricordo a tutti che io non scrivo per mestiere, ma per piacere, e che dunque questo sito viene curato negli scampoli di tempo che mi rimangono. Essere troppo esigenti con tempi e modi non è né sensato né educato..
Egr. Prof.
Ogni tanto la sua teoria…. Maninchea tra Statalismo e Regionalismo ricompare e benché non abbia mai raggiunto i livelli di netta contrapposizione tra bene e male di una quasi omonima teoria filosofica è così viva in lei che è sufficiente avere un riscontro recente in un episodio accaduto in terre lontane per risvegliare in lei, ancora una volta, mai sopiti concetti di sardita’. Ne colgo il fatto con simpatia e attenzione. Cordialmente!
Pur continuando a leggere questo Blog, dopo essermi accorto di alcune TEMPISTICHE nella gestione ed inserimento dei contributi, con eventuali annesse risposte, mi ero riproposto di non scrivere più neanche un rigo di commento ai post qui pubblicati. Ma dopo aver letto quest’ultimo diventa per me ineludibile dire qualcosa.
Pur consapevole del gioco allegorico sotteso all’articolo, mi pare che in quel gioco venga meno il principio di “non contraddizione” (Re=Presidente della Repubblica ergo Monarchia=Repubblica) e considerato che la Sardegna ha espresso due Presidenti della Repubblica, pardon, due Sovrani dalla nascita della Repubblica, pardon, dalla nascita della Monarchia riformata, resta vera la preoccupazione di fondo: quale consapevolezza abbiamo di essere Nazione con tutto ciò che ne segue, in ambito identitario, culturale, economico e politico?
Nei miei primi contributi pubblicati in questo blog (n.b. in vista delle ultime elezioni regionali), lanciai la proposta di una mobilitazione di popolo come a suo tempo fece nel web un movimento che divenne primo “partito” in Italia e in Sardegna. Si disse che in Sardegna non esisteva una coscienza di popolo. Quindi? Quindi molto meglio seguire altre strade. Certamente! Eccome no? Oggi possiamo valutare a ragion veduta gli esiti di quelle scelte.
Per andare al sodo lasciando da parte tutte le chiacchere, il vero problema politico della Sardegna è il seguente: che uso abbiamo fatto dei poteri che GIÀ ABBIAMO in questa Repubblica, pardon, Monarchia?
Come hanno gestito il mandato elettorale i nostri illustri rappresentanti in Parlamento, alcuni dei quali, molto amici del prof. Maninchedda, hanno ricoperto significative cariche nei lunghissimi recenti lustri?
Ops, mi dicono che uno di questi illustri rappresentanti espressi dal popolo sardo, molto amico del prof. Maninchedda, sia ancora oggi uno dei più assidui frequentatori del Presidente Mattarella, appartenendo entrambi dalla stessa tradizione politica.
Allora la domanda più seria che si impone è la seguente: siamo abituati oppure no a chiedere conto del loro operato ai nostri rappresentanti negli organi rappresentativi dello Stato, dal più basso al più alto grado di rappresentanza politica?
Caro prof. Maninchedda, molto più banalmente questo mi pare sia il vero punto della questione, indicativo della coscienza di Stato e Nazione che può avere il Popolo sardo.
P.S. A proposito del principio di non contraddizione, mi pare che con la “Legge Pratobello” venga riconosciuta una certa coscienza di popolo anche dal prof. Maninchedda. Ero fermo all’enunciato candidamente espresso in altri post: in Sardegna non esiste il popolo. Asserzione per altro vera, specie se descritta con le parole attribuite da taluni a Carlo V, da altri a Martin Carrillo, ambasciatore di Filippo IV: pocos, locos y male unidos.
Egregio, Scalfaro Napolitano Mattarella.
Il primo, un OMISSISoide che fu nominato per dare una risposta alla strage di Capaci (con l’inchiesta stato-mafia si è poi visto quanto è servito nominare un magistrato al Colle) con scheletri immensi nell’armadio. Il secondo (altro OMISSISide di origine vetero comunista) che ha vergognosamente forzato la costituzione per la sua faziosita’ e che è stato ricompensato con ben due settennati (vergogna costituzionale). L’attuale inquilino prorogato (vergogna bis) per il timore che Berlusconi, o un suo fedelissimo, scalasse il colle quirinalizio. Un OMISSIS che quotidianamente ci martoria i cugini con i suoi banali sermoni sempre mai chiari ma allusivi e mai su problemi che Lui potrebbe risolvere. Di fronte alla trentennale gestione del sistema giudiziario da stato etico, non un fiato gli è uscito sulla magistratura che dichiara guerra al governo che vuole riformare un sistema allo sfascio e di cui è capo del CSM. Non vado oltre per non incorrere in ipotesi di reato da vilipendio. Ma cosa si aspettava,Egregio? Che costui dicesse al popolo Sardo che è uno schifo l’occupazione manu militari di una porzione del nostro territorio per farne strame? Che dicesse che la nostra continuità è una presa in giro? Che l’inserimento del principio di insularita’ in Costituzione era solo uno strumento di propaganda di alcune formazioni politiche ma chiaramente destinato al nulla? Se avesse aperto bocca gli sarebbero piovute montagne di uova biologiche. Almeno ci evito’ l’ulteriore beffa in casa nostra. Saluti.
Su Pertini bisogna essere franchi, onesti. Ne hanno fatto un “santino”. Quand’era al Quirinale, ma anche prima, Pertini ha fatto castronerie che se le avesse fatte uno di destra se ne parlerebbe con sdegno e indignazione pure oggi. Nel 1985 il giornalista Massimo Fini scrisse un articolo in cui semplicemente chiedeva un presidente diverso da Pertini. Il “presidente-partigiano” fece fuoco e fiamme. Chiamò il direttore di Fini e disse che l’avrebbero pagata cara. Detto fatto. Furono licenziati entrambi dal giornale. Pertini l’antifascista che usò metodi fascisti in spregio alla libertà di stampa! E ancora oggi un silenzio assordante trionfa. Solo Fini racconta questo fatto. Italia repubblicana? Un vero regime. Puah!
Perché si parla di Re quando si citano i presidenti della repubblica? I Re sono super partes, i presidenti no perchè ognuno di loro ha un background politico che li rende di parte. Su Napolitano non irritava il piglio “monarchico”, perché Napolitano non valeva manco l’unghia di un vero Sovrano. Irritava il suo modo di fare snob,tipico di certi comunisti che stringevano le mani agli operai ed ai contadini e poi se le pulivano! Riflettete con obiettività su un fatto: nonostante quasi 80 anni di repubblica (nata dai brogli), la stragrande maggioranza delle infrastrutture oggi presenti in Sardegna la dobbiamo al periodo dei Savoia!
Nonostante circoli oggi parecchio più danaro, non si riesce neppure ad ammodernare la 131, che si chiama Carlo Felice perché la volle costruire il Re sabaudo. E ci misero 8 anni per costruirla nell’Ottocento. Solo 8 anni. E partendo da zero! Questi fatti andrebbero conosciuti, e conosciuti bene. E dovrebbe farlo l’Unione Sarda.
Egregio Professore, mi permetto (e me ne scuso) di estrapolare dal suo intervento queste frasi:
“Da Salvemini in poi si usò il termine “colonialismo” per descrivere il comportamento dello Stato italiano verso il Sud e verso la Sardegna.
Era una categoria di quel tempo, oggi mi pare inadeguata.
Oggi il problema non è più avvertito nei termini del controllo delle risorse, col prelievo da una parte e il vantaggio dall’altra.”
C’è qualcosa che non riesco a capire. Osservando la recente querelle nei confronti delle “pale selvagge” (e in pochi parlano dell’altrettanto selvaggia occupazione di territorio, con relativo cadeau di isole di calore, di sterminati impianti fotovoltaici), come verrebbe da descrivere quanto sta accadendo se non nei termini di “colonizzazione”? Cosa si intende allora per “colonizzazione”, se non l’uso (e soprattutto l’abuso) indiscriminato di risorse di una parte a vantaggio quasi esclusivo dell’altra? Non è necessario ricordare che, nel passato, immensi boschi sardi sono finiti in carbone e in traversine ferroviarie peninsulari (e noi non abbiamo ancora una rete ferroviaria degna di questo nome). Va bene, è roba del passato. Ma in questi ultimi mesi ne abbiamo sentite tante, compresa, more solito, la propaganda che “chi è contrario alle pale è favorevole al carbone e al petrolio”.
Una informazione però mi sembra che sia mancata, eppure sarebbe illuminante: A CHI FANNO CAPO le società che stanno investendo così furiosamente (grazie a chi ha concesso loro i decreti di draghiana memoria e oggi è smemorato/a) nell’eolico e nel fotovoltaico? E’ possibile avere un elenco delle società – terminali e originarie – che hanno presentato i progetti (in essere o in divenire)? Secondo me sarebbe istruttivo. Giusto l’altro giorno, in una discussione tra amici, qualcuno ha riferito che una delle tante società investitrici farebbe capo a JP Morgan (che non è esattamente una associazione benefica di clarisse). Sarà vero? E le altre?
Vede, Professore, ho idea che se si alzasse il velo su questo immenso mercimonio sapremmo con maggiore chiarezza chi è che viene a spolpare il territorio senza neanche lasciare le briciole. Forse non servirà a vincere la battaglia, ma almeno sarà possibile guardare in faccia chi viene a dirci, paludandosi nelle vesti di salvatore dell’ambiente ma incassando vagonate di quattrini, quanto siamo cattivi e egoisti.
Se lei può, faccia qualcosa. Grazie.
P.S.: sarebbe anche interessante un confronto vero (e non a colpi di slogan ideologici), che poggi su basi scientifiche, su quanto di economicamente efficiente ci sia nella realizzazione di un generatore eolico.
Ma fatto su un principio di verità, che in greco antico si dice “aletheia”. Mi pare che l’etimologia richiami il fiume Lete (mitica fonte della “dimenticanza”, e l’alfa privativo in inizio di parola consenta di definire una caratteristica fondamentale della “verità”: il non obliterare/occultare alcun aspetto. Nella fattispecie, e solo a titolo di esempio:
a) le pale eoliche insistono sul luogo di installazione con pesantissime (eufemismo) perforazioni del suolo, e una quantità innumerabile di metri cubi di cemento e ferro; qualcuno ha fatto qualche studio sull’incidenza di queste perforazioni verso le acque di falda? e con quali costi presenti e futuri?
b) le pale eoliche, per poter essere trasportate in loco, richiedono non infrequentemente
la realizzazione di strade di accesso e relativo disboscamento o modifica: qualcuno ha valutato quanto costerebbe rimettere in pristino ciò che si è modificato?
c) le pale eoliche, al termine della loro vita utile (che anch’esse hanno, visto che di eterno non c’è nulla a questo mondo) rimarranno inutilizzate dove sono o è previsto un costo per la loro demolizione e per il ripristino ambientale? O ce le dovremo tenere sul groppone come le classiche cattedrali industriali che già abbiamo (Ottana docet)?
Mi scusi per la lunghezza.
Grazie di nuovo.
Lidia Thorpe è una grande donna, indubbiamente. La questione inerente alla Voce – l’inserimento, a livello costituzionale, di una rappresentanza certa dei popoli nativi – interroga chiunque: resiste, riaffermando il diritto all’autodeterminazione e all’originaria sovranità; contrasta le politiche neocoloniali; non si beve i giochetti costituzionali (tipo l’inserimento della “insularità” nella costituzione italiana, tipo); difende la nostra cultura, il nostro paesaggio, le nostre lingue – sa Sardinnia ha un’enorme ricchezza linguistica e culturale -; rigetta un neoautonomismo servo vorace. Concordando sul resto, aggiungo: Sergio I non è il nostro re, quella costituzione non è la nostra e va sfidata (sancisce l’indivisibilità dello Stato italiano, ricordiamolo). Il fatto che chi la pensi così veda troppa disunione e disorganizzazione, non annulla il nostro esserci. Ci siamo e ci saremo, al fianco delle nazioni senza Stato. Proprio come la nostra. Ànimu!
Condivido il giudizio sulla persona Sergio, penso manchi molto alle sue funzioni di presidente Mattarella, in quanto garante della Costituzione e soprattutto come garante delle minoranze; in tanti anni né lui né chi l’ha preceduto ha fatto notare e/o suggerito ai vari governi i gap fisici, economici e infrastrutturali che intersecandosi tra loro col passare degli anni depauperano la nostra Sardegna. Prova ne sia che le rare elezioni di eurodeputati sardi siano in realtà concessioni delle segreterie romane a uomini che devono lasciare libero ( ad altri papaveri di quel partito) le poltrone romane.
Mai una volta che si senta dal Quirinale una voce di richiamo per i soprusi che subiamo, sembra che si abbia necessità di una discarica e che a tutti vada bene che sia quest’isola…
..no esti mancu su miu….
… deo creo chi tiaimus abboghinare!
Ma menzus depimus fàghere àteru, meda prus pachiosu/paxiosu, ma fàghere ca, tantu e intantu, a sas boghes nostras faghent “origras surdas”! E ca sinono, ite abboghinamus, chi semus mudos chi mancu limba zughimus?! Est fintzas pro cussu chi in sa paghidade mia po ‘dedicadu’ carchi cumponimentu a… chentza istesiare brinchendhe su Tirrenu chirchendhe origras surdas ma sa libbertade e responsabbilidade nostra etotu (sa chi no chircant sos chircadores de votos per partito preso): “Una chedha de àinos domados”, “Sos carrammerdas sardos”, “Lampiones mannos” (sa zente annunghet “de tzitade” ma no curpa de sa tzitade), e candho est bénnidu cudhu Pertini a “visitare” “la povera sorella” apo dedicadu custu ‘sonetto’ “A santu Sandro”:
Nessi ‘ois faghídelu a manera
De dare postu a sos disocupados
E bos pregamus pro sos emigrados
Chi torrent dae terra istraniera.
Sa Sardigna, chi est totu una galera,
Isdorrobbada, logos brusiados,
Sutamarinos e carros armados,
Batídela chi paset zente e feras!
E pro sos cussizeris rezonales,
Màrtures totus de òperas bonas,
Chi contant che chibudha in s’ispetàculu,
Segura e anatómica poltrona
Lis galentide cun su cabidale.
Ma pro totus, bos prego, unu meràculu!
E candho ant fatu a “Presidente” a Cossiga cust’àteru:
No mi at lassadu, no, indiferente,
Chi antzis unu sero arbiadu
A sa tivú mi so e allegradu
Ca própiu a tie ant fatu a Presidente,
E che a mie zente meda, zente
Sarda e no sarda, ca tue famadu
Onestu, su menzus, fis e inditadu.
Custa fama in su mundhu andhet pro sempre!
Ma in pàtria, Frantziscu, ite profetas
A una zente irderruta, abbirgonzada,
Leada a trubbu, a trazu, avilida?
No nias chi sos bàrrios li adderetas,
Ca no mudat andhata, fadu e vida
Pro cantu est dipendhente e dominada!
Pedemus a sos Sardos su meràculu!
Concordo pienamente