Premetto che sono contrario al linciaggio con smembramento delle carni cui è sottoposto il dottor Palamara.
Sarei interessato, da storico e da filologo, a studiare la forma del potere che emergerebbe dagli sms del suo cellulare, stando però lontano dalle Procure, che mi procurano una psoriasi diffusa e una preoccupante dilatazione coronarica.
Tra questi sms, si dice negli ambienti romani e nelle campagne sarde, ci sarebbe anche un po’ di latte, e non solo tanta giustizia.
Sembrerebbe che nelle pieghe dello spaccato palomariano dello Stato italiano trovi spazio anche la vicenda che qualche anno fa vide contrapposti in giudizio il marchio Dop Pecorino Romano e il marchio commerciale Cacio Romano. In primo grado vinse il Pecorino, in secondo il Cacio.
La questione, se mai esiste e se mai dovesse salire alla ribalta pubblica, avrebbe un notevole interesse per la Sardegna, perché illuminerebbe un mondo umbratile che domina le nostre campagne, senza neanche aver troppo bisogno di sudare per farlo.
Personalmente la cosa mi interesserebbe molto, perché la vicenda del Cacio Romano è un pezzo di una storia di potere sul latte della Sardegna di cui i giornali non si occupano per paura e convenienza. D’altra parte, i media non si occupano del potere e dei poteri che la Sardegna non ha. Si interessano del gossip del potere, dell’apparenza. Solo la magistratura, paradossalmente, potrebbe squarciare il velo.
Per cui, forza! Fatevi coraggio voi che siete certamente i più potenti d’Italia e anche i più approssimativi (ho trovato un errore, di cui non mi ero accorto, nel canovaccio cautelare – che ripasso mensilmente – della tragedia oristanese, che ha fatto aumentare di colpo la mia epatomegalia) prendete coraggio: svelate il Cacio, fateci leggere. Il prezzo del latte in Sardegna, e anche l’ordine pubblico, ne guadagnerà.