di Paolo Maninchedda
Quando tornerò a insegnare, farò un seminario facoltativo sulle carte dei processi politici contro leader indipendentisti. Avrebbe due finalità didattiche: studiare la retorica e la logica delle accuse artefatte (anche per dire balle occorre un minimo di disciplina), studiare l’effetto della restrizione del diritto di parola che avviene in un processo a parti sbilanciate, con l’accusa a farla da padrona e la difesa a cercare di limitare i danni.
Il presidente catalano Artur Mas è stato accustao di «delitos de desobediencia, prevaricación, obstrucción a la justicia y malversación, que comportan penas de inhabilitación y hasta prisión». Il tutto, udite udite, per aver organizzato un ‘banale’ referendum consultivo sull’indipendenza della Catalogna, il 9 e il 2 novembre 2014.
I giudici spagnoli, poi, non contenti del gesto, lo hanno anche caricato di significati simbolici perché lo hanno notificato nel giorno del 75esimo anniversario della fucilazione di Lluís Companys i Jover, presidente della Generalitat nel 1934 e durante la guerra civile spagnola, catturato in esilio dai tedeschi e consegnato a Francisco Franco che lo fece fucilare nel 1940. I catalani ricordano che è stato ad oggi l’unico presidente al mondo eletto democraticamente ad essere stato fucilato; dimenticano di dire che è stato fucilato perché eletto democraticamente, così come Artur Masviene oggi indagato perché ha consenso popolare.
Dobbiamo saperlo. Se la sovranità della Sardegna diviene un obiettivo condiviso, chi la guiderà sarà indagato: è certo. Ma è meglio fare un po’ di galera e chiudere la vita non avendo perso la speranza, che farsi sorprendere dalla morte già morti.
(Nella foto, Companys è il primo a sinistra)