Iniziamo a pubblicare le storie di persecuzione fiscale che ci sono state trasmesse.
Come si potrà leggere, il contribuente sta di fronte all’Agenzia delle Entrate come l’imputato sta di fronte ai Procuratori della Repubblica, cioè per un lungo periodo senza difese. Ma poi accade che le commissioni tributarie siano presiedute da magistrati che non si sa che competenza abbiano in materia fiscale. Nel frattempo si è affermata in Sardegna – e solo in Sardegna – una consuetudine: quando il contribuente ha ragione si compensano le spese legali, quando ha torto paga anche le spese legali dell’Agenzia.
di Luca Farris
Corre l’anno 2001, il ministro dell’economia Tremonti vara il famoso e tanto decantato decreto che porta il suo nome e che permette agevolazioni di natura fiscale agli imprenditori che investono nell’azienda, in contrapposizione al decreto varato dal suo predecessore Visco, ministro del precedente governo di sinistra, che, trasformato in legge, assunse il nome di Visco sud (esattamente L. 388/2000 art. 8).
Lo scopo è ridare impulso all’economia invogliando le imprese a fare investimenti.
Da allora nulla è cambiato, l’economia è sempre in sofferenza, anzi di più.
Ci sono quindi a disposizione del contribuente due norme similari e concorrenziali: la Tremonti e la Visco sud. Entrambe concedono agli imprenditori un credito d’imposta in caso di investimenti in beni strumentali dell’azienda. Nel caso della Visco sud il beneficio è riservato a quelli con sede nel cosiddetto mezzogiorno. Scelgo questa.
La mia piccola società di persone, che conta altri due soci oltre me, si lascia abbindolare ed effettua gli investimenti. Mai l’avessimo fatto!
A seguito di questi investimenti, con un calcolo astruso da effettuare in proprio, il contribuente determina un credito d’imposta IMMEDIATAMENTE utilizzabile. Lo dice la norma.
È bene ricordare questo passaggio, poi ci torneremo.
Ciononostante, coi soci, attediamo la conclusione dell’esercizio 2001 ed utilizziamo il credito a partire dall’anno successivo, in modo da avere concluso con gli investimenti ed avere un quadro completo e definitivo dell’importo da utilizzare come credito d’imposta, quindi in compensazione sul modello F24.
La società di persone utilizza parte del credito, pari a € 3.602, in proprio (esattamente € 1.897), la differenza (€ 1.705) si decide di ripartirla fra i soci. E’ contemplata esplicitamente tale facoltà.
Sono cifre modeste ma, per noi piccoli imprenditori, importanti. Ci convincono ad effettuare investimenti che diversamente avremmo posticipato o ai quali avremmo rinunciato.
Nel 2004 due ispettori dell’Agenzia delle Entrate si presentano in ufficio, vogliono vedere fisicamente i beni oggetto dell’investimento. Eccoli.
Si portano via i registri contabili, dovrò poi andare io a riprendermeli.
Ci dicono che faranno sapere.
Mi contestano un importo pari ad € 1.316 che non avrebbe dovuto far parte del credito calcolato ed utilizzato in compensazione delle imposte.
La norma escludeva dal computo degli investimenti i mobili ed arredi d’ufficio.
Faccio presente che i beni acquistati non sono riconducibili a tale categoria.
Insistono.
Per finirla lì e non portarla alle lunghe, tanto alla fine hanno sempre ragione loro, provo a trattare e riconosco un utilizzo improprio di € 769. Ci accordiamo per un rimborso di € 1.016.
Praticamente la giusta via di mezzo fra domanda ed offerta, come al mercato delle pulci. Somma alla quale si sommano interessi e sanzioni per un totale di € 1.395.
Cavolo, non li avevo considerati. Paghiamo, del resto da un credito iniziale di € 3.602 ne avanzano ancora € 2.207.
Poteva finire lì? Certo che no!
Dopo poco tornano alla carica. – Ma come, cosa volete ancora? – Quello che vi abbiamo contestato, rispondono, è l’importo utilizzato dalla società (secondo loro), ora esaminiamo quello ripartito ed utilizzato dai soci.
Lo vogliono tutto indietro, più interessi, sanzioni e balzelli vari, asserendo che il credito è stato utilizzato prima della presentazione della dichiarazione dei redditi, avvenuta in data 30/10/02 (in premessa ho precisato che la norma prevedeva l’utilizzo del credito all’atto stesso dell’acquisizione dei beni, in ogni caso avevamo atteso la conclusione dell’esercizio 2001).
Faccio notare altresì, ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, che le imposte sono da pagare ben prima, ovvero in giugno, rispetto alla presentazione della dichiarazione dei redditi che avviene in ottobre e che, oltre che in spregio alla norma che prevede l’utilizzo del credito fin dall’atto della acquisizione dei beni oggetto di calcolo, utilizzano due pesi e due misure: quando il contribuente deve pagare lo deve fare prima della presentazione della dichiarazione, quando deve riscuotere soltanto dopo. Era ovviamente un pretesto. Il loro compito era ed è far cassa, consolidare i loro premi, a danno del contribuente.
Nulla da fare. Non accettano ragioni. L’importo viene messo a ruolo. È facoltà del contribuente far ricorso in commissione tributaria. Che gliene importa!
Con i soci decidiamo di non darla vinta a questo fisco inquisitore ed ingiusto, nonostante la cifra modesta.
Prendiamo contatto con un commercialista il quale, ovviamente, non ci dà garanzia di vittoria in commissione tributaria però ci rassicura sul fatto che con un altro cliente, e con importi molto più importanti, ha vinto.
La commissione tributaria è formata da sei sezioni; i tre ricorsi, uno per ogni socio, vengono esaminati da tre sezioni differenti, nessuna corrisponde a quella dell’altro contribuente uscito vincitore.
Tutte e tre le sezioni danno ragione all’agenzia, due addebitano le spese, una le compensa (?).
Leggo i nomi dei giudici della commissione: giudici penali.
Dobbiamo rifondere tutto il credito utilizzato, più interessi, sanzioni, spese di giudizio, parcella del commercialista.
Ultima possibilità: ricorso in appello in commissione tributaria regionale.
Intanto c’è da pagare.