Oggi alle 18 sarò all’EXMÈ a parlare di Primarias, Nazione e politica sarda. Insieme a me Anthony Muroni, Carlo Pala e Tore Zizi. Così si fa politica: cercando sempre il luogo dove incontrarsi.
Stiamo sperimentando che la Sardegna ha bisogno urgente di una grande alfabetizzazione digitale.
La raccomandazione più banale è scrivere correttamente il proprio codice fiscale e il proprio numero di cellulare, senza correggere il prefisso internazionale che viene proposto in automatico.
Seconda raccomandazione: togliete il T9 e usate il maiuscolo quando componete il codice fiscale.
Terza raccomandazione: arrivate fino alla fine della procedura. Il voto è finito quando cliccate su “Fine” che è il momento equivalente al buttare la scheda nell’urna.
Oggi Silvio Lai dà notizia di aver votato per la Nazione Sarda.
Ne prendiamo atto e siamo confermati nell’idea che egli sia una persona intelligente, cortese e sinceramnete affezionata a molti di noi e alle cose che diciamo.
Ma a Silvio vorrei dire, parlando alla parte ragionante di una Sinistra troppe volte prepotente: perché il documento della Direzione del Pd evita accuratamente di dire che la Sardegna è una Nazione? La risposta, a nostro modo di vedere, sta proprio nelle radici del pensiero autonomista elaborato soprattutto a Sassari, contro la Sardegna, che educa alla rivendicazione piuttosto che alla responsabilità, che costruisce l’ideologia come alibi delle carriere di quei sassaresi che si sono integrati nei sistemi che nei secoli hanno dominato la Sardegna. C’è una perfetta continuità tra Francisco de Vico e i vari Francesco Cossiga, Antonio Segni, Arturo Parisi, Giuseppe Pisanu, Pietro Soddu ecc. La continuità è data dalla convinzione che non serva ragionare sulla natura dei poteri esercitati in Sardegna e svelarne o combatterne la fondatezza o l’infondatezza. Serve invece, secondo loro, integrarsi in quel potere e usarlo a vantaggio dei Sardi. La storia ha rivelato che invece e inevitabilmnete la natura di quel potere non cambia, ma cambiano i destini personali di chi accetta di servirlo. Si chiama carrierismo autonomista.
Voglio dire a Silvio, insomma, che lui ha fatto un gesto molto eversivo rispetto alla tradizione sassarese di matrice fortemente democristiana e ne ha fatto uno solitario rispetto alla tradizione socialista, all’interno della quale, fino a qualche mese fa, stava maturando il giusto progetto di una sinistra sarda, svincolata da altre appartenenze, ma libera di votare e allaearsi per le elezioni non sarde, con chicchessia.
Infatti, votare per la Nazione Sarda comporta, inevitabilmente, credere in una risposta politica specifica per la Sardegna e non declinata e dedotta dal repertorio dei posizionamenti politici italiani disponibili.
Oggi quel disegno di indipendenza politica della Sinistra sarda, molto importante e secondo noi ancora da percorrere, sconta invece la scelta di non aver voluto combattere per la sua bandiera e si trova un Pd prossimo alla scissione, con i renziani ormai orientati a dar vita a un partito metamorfico, civico, adattabile alla mutevolezza del gusto, senza perimetri di riferimento se non quelli dettati dalla logica del consenso. Il mio collega di Storia contemporanea mi ha detto qualche giorno fa che ormai per loro, per gli storici, dico, il populismo in Italia è iniziato nel 2013 con il nuovo linguaggio di Renzi. È verissimo, ma in Sardegna poco noto.
La seconda considerazione sul voto di Silvio Lai riguarda invece il mancato voto ai candidati alla Presidenza.
Il PD ha scelto Massimo Zedda in una direzione di partito. A oggi ha raccolto adesioni solo dalla diaspora della vecchia Sel e si avvia a fare una coalizione a due gambe tutte di sinistra: Pd e ex Sel. La candidatura di Zedda si pone in continuità diretta, per decreto presidenziale, con la Giunta Pigliaru, sanità e servitù militari incluse.
Noi stiamo scegliendo il nostro candidato in una consultazione popolare a programmi contrapposti, senza perimetri ideologi se non l’esclusione di fascisti e razzisti e con una durissima distinzione sul dominio politico della sanità esercitato dalla Giunta in questi anni, mesi e giorni, fino ai concorsi elettorali per primari e ai cavalierati per i capi di gabinetto e i direttori generali fatti sul campo e poco prima della sconfitta.
Non si tratta solo di metodi diversi, ma di legittimazioni diverse. Pensare di separare questo percorso di legittimazione dal basso dal referendum della Nazione sarda è molto arguto ma poco pratico. In realtà, sulla Nazione Sarda, Sinistra tradizionale e mondo indipendentista, libertario, europeista e democratico, si stanno schierando su sponde opposte. Il Pd scommette sulla nostra divisione? A mio avviso sbaglia, perché proprio il diradarsi delle nebbie sulle differenze culturali e strategiche con la Sinistra italiana di Sardegna sta favorendo processi di unità nel mondo indipendentista democratico prima impensabili. Il Pd scommette sulla propria forza di partito italiano? Auguri, ne ha diritto.
Pensare di parlare di tattica con noi senza affrontare la fatica del confronto sulle idee è inutile.
Ma torniamo alla distinzione tra voto alla Nazione e voto al candidato. Come potrebbe gestire un risultato positivo sulla Nazione sarda chi ha rifiutato un processo di legittimazione popolare? Come è intepretabile la Nazione sarda da chi ha paura di nominarla e di evocarla?
La terza considerazione riguarda le suppletive di Cagliari. Silvio Lai non se ne occupa perché deve occuparsi delle amministrative di Sassari, ma le suppletive avvengono a Cagliari prima delle regionali e le condizioneranno; esse avverranno, per il 90% dell’ampiezza del collegio elettorale, sull’area amministrata dalla Giunta Zedda e il competitor più forte della Sinistra, il sindaco Zedda, appunto, non compete. Inutile candidare assessori o consiglieri, la pezza sarebbe peggiore del buco. Perché questo fugone dall’appuntamento elettorale naturale? Chiunque vincerà o perderà a Cagliari, la politica in discussione sarà quella della Giunta Zedda, perché sono elezioni separate da quelle nazionali italiane e inevitabilmente si parlerà di Cagliari e solo di Cagliari. Si fugge da questa battaglia, a nostro avviso, per difetto di visione ed eccesso di calcolo. Chi ha una visione generale della Sardegna capisce che ci sono appuntamenti ineludibili che vanno affrontati per creare coesione, motivazione, diffusione dei valori e degli ideali. Ma se un partito è dominato dalla logica geniale del noto filosofo Totò, secondo il quale è “la somma che fa il totale”, per cui si vede solo l’ultimo passo, quello che si desidera, e non il processo, perché lo si teme, allora si può anche partecipare a un campionato di calcio, giocare solo le partite fuori casa e pensare comunque di vincerlo: alla fantasia non c’è limite.
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