“Hai tempo, per un bicchiere? Hai tempo, per ascoltare?”
Si avvicina a lui. Una bottiglia in mano. La notte umida, in quel bar sulla spiaggia, davanti al mare.
“Voglio raccontarti una storia senza difese, senza paure. L’ingiustizia mi ha fatto male, mi ha veramente colpito. L’ho guardata negli occhi, e non l’ho capita. Non la conoscevo così cruda, spalmata sopra chi lavora per vivere. Per sopravvivere.”
“La crisi è arrivata all’improvviso. Pensavamo che saremmo stati risparmiati, troppo grandi, troppo importanti. E invece eccola lì. ‘Colà dove si puote ciò che si vuole’, hanno guardato i grafici, visto altre convenienze, e nel loro abito grigio, i colletti inamidati, belli e magri, come manichini senza cuore, hanno deciso. Si chiude. E dalla fabbrica sono tornato ai ponteggi, alla carriola, ai sacchi di cemento e alla cazzuola.
Il lavoro difficile delle braccia, sotto il sole, per conquistare dignità. Per non chiedere niente, per mantenere la libertà. La donna che avevo incontrato. Il figlio che avevamo voluto.
Hai tempo, per un altro bicchiere? Il tempo, per ascoltare?
La notte è umida, e il mare, che si inghiotte la spiaggia onda dopo onda, non annoia mai. Accompagna i ricordi.
Lavoravano con me in tanti. Tanti di tanti colori. Pagati diversi. Diversamente trattati. Lavoravamo molto. Un giorno dopo l’altro, la fatica oltre il limite. Per quella paga c’è chi aveva fatto un viaggio infinito, attraversato ogni pericolo. Eppure c’era il tempo per ridere, anche quello per lo scherzo .
Quando lavori a rischio, succede. E così è successo davanti ai miei occhi, a uno come me. Un altro colore ma, ogni giorno della vita, la stessa fatica. No, non potevo stare in silenzio. Davanti a quel corpo spezzato. Al respiro mozzato. Non potevo dimenticare le sue parole. La sua storia. Il suo modo di ridere. Ho raccolto il sangue versato, ho coperto il volto spaccato, quel corpo immobile. Mi sono inginocchiato e ho parlato, ho detto il vero, quello che nessuno mai avrebbe raccontato io l’ho vomitato.
Ho chiesto a tutti un po’ di pietà. A tutti ho chiesto di dire la verità. Quei ritmi impossibili, due ore in più per i figli lontani, quelle differenze dimenticate. Tutti a non pensare, tutti a lavorare per finire il mese.
Quel mese, che non si sa mai…
E i giorni sono passati, dopo i funerali, tra le aule dei tribunali. Ogni parola si è ribellata. Ogni colpa cancellata. E il bisogno di chi rimane ha seppellito chi, ormai, non c’è più.
Ora, sento ogni notte il pianto silenzioso di una donna. Sola.