Diversi lettori mi sollecitano a intraprendere la strada della costituzione in giudizio a favore della efficacia dell’ordinanza di decadenza della presidente Todde.
Lo sto facendo, ma mi sto scontrando con un ceto forense, che prima mi aveva dato una disponibilità a lavorare alla causa e ora latita per le più disparate ragioni (che evidentemente solo loro capiscono e io meno di altri).
Dalle mie parti si dice: «A pregare in chiesa». Per cui, se qualche legale di dimostrata capacità (si astengano quelli che stanno cercando in questa circostanza la visibilità che la professione non ha dato loro fino ad oggi) vuole farsi avanti, scriva pure alla mail di questo sito o alla mia personale.
Il problema, però, non è la battaglia di diritto del prossimo 20 marzo; è semmai la logica della battaglia in sé, della vita come impegno contro il peggio di sé e come resistenza verso le strutture e le pratiche ingiuste del mondo.
Il problema è il solito machiavellismo, come avrebbe detto Gramsci, ossia il presupposto teorico e il costume etico per i quali, avendo la politica le sue logiche interne, che sono poi ridotte alle logiche della vittoria ad ogni costo, se serve allearsi col diavolo per vincere, lo si fa.
Nessuno, tanto meno Machiavelli, è mai riuscito a spiegare come, un attimo dopo la vittoria, si governi poi il Diavolo, mentre la storia ha insegnato (con Mussolini, Hitler, Stalin, Putin, Mao, Pinochet, Ortega ecc.) come il Diavolo voglia e sappia governare.
Io non riesco a scegliere la parte con cui stare a prescindere dalle qualità e dalle capacità di chi guida.
Nelle ultime elezioni, pregai diverse personalità di considerare che affidare ai Cinquestelle il governo della Regione significava inaugurare una stagione equivoca, fatti di interessi mascherati, di strategie esplicite di manipolazione pubblica, di incapacità diffusa, di persecuzione politica dell’opposizione nelle forme soft che il nostro ordinamento consente. Avevo ragione, ma ha prevalso il calcolo, ha prevalso l’uso cinico del posizionamento.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con l’ultima follia di fare prima la riforma sanitaria (che è l’unica che non si deve fare in fretta se non si hanno le idee chiare e il Campo Largo non le ha) e dopo il Bilancio, bloccando così la spesa per tutta la prima parte della legislatura. Avendo diversi acciacchi, vedo come si sta sfarinando la sanità sarda, ma vedo anche che è chiarissimo che ciò sta avvenendo perché la Giunta Todde vuole salvare il pezzo peggiore della sanità del periodo di Solinas (per esempio la governance del Brotzu, dove solo una magistratura col nasino in su a guardare le farfalle ha potuto consentire il caso delle sale chirurgiche del Businco e della inibizione al lavoro inflitta al dott. Tuveri) e dunque si muove in modo contraddittorio.
La domanda, però, diviene: a che scopo fare opposizione, se poi non si ha un luogo politico dove organizzarsi? Questa è una domanda giusta.
Progetto Sardegna, alle prossime elezioni, si schiererà comunque a Sinistra? Se sarà così, il Pd può catafottersene allegramente dell’opposizione attuale, perché alla fine la governerà con la logica del maggioritario.
Come si schiererà Sardegna chiama Sardegna alle prossime elezioni? Continuerà a fare una proposta di riforma della legge elettorale così complessa da risultare intraducibile in termini semplici per l’elettore comune? Sardegna chiama Sardegna ha quel coefficiente di laicità e di freschezza, di apertura e di profondità, che a me attrae, ma al tempo stesso sembra involuta in metodi e pratiche da circolo di autocoscienza che distruggerebbero l’orientamento sessuale anche a un sedicenne con l’acne.
Il Psd’az, che è l’unico soggetto potenzialmente aperto a divenire ciò che non è mai stato, cioè il partito federalista della Sardegna, difensore della sovranità sarda, ma con una tradizione culturale talmente profonda da far parte per se stesso e dunque da essere legittimato ad avere tattiche e strategie volte a contendere la guida degli schieramenti, nelle elezioni sarde, ai grandi partiti italiani, non è agibile finché a guidarlo sarà Solinas, non per un difetto morale, ma per un trascorso politico che non è agibile per moltissime persone (tra le quali certamente io).
Il Psd’az, se si aprisse alle sue origini azioniste e vi aggiungesse la liberal-democrazia e quel portato di socialismo riformista che oggi è radicato nel senso comune della gente, sarebbe un ottimo soggetto di confluenza di tante anime (alcune delle quali oggi ospiti nel Pd), ma deve democratizzarsi, svecchiare lo Statuto, rompere le rendite di posizione, riorganizzarsi territorialmente, mettere in campo volti che siano garanzia di battaglie per le libertà individuali e per una visione moderna e aperta della Sardegna.
Sembra paradossale, ma se le cose continueranno col ritmo attuale, chi vorrà liberarsi della cappa plumbea che l’egemonia Cinquestelle-Pd sta instaurando in Sardegna, non avrà altra alternativa che votare dall’altra parte per scommessa, e così ci ritroveremo i Chessa, i Maieli, i Truzzu a marciapiedi grandi e vuoti come le urne, i Marras delle feste della birra e dei fiumi in piena, i Rastrellatori a virtù intermittente (attivissima all’opposizione, annebbiata al potere), insomma il caravanserraglio che abbiamo già conosciuto e cui ci siamo opposti.
Per tutte queste ragioni trovo che l’unica scelta ragionevole sia una militanza civile per la verità delle cose, però non mi si chieda di più, perché non ho le forze per farlo.
Posso condividere. Lo sono da sempre. Felice (di nome e di fatto). di essere solo..