Sta accadendo troppe volte che questo sito e ciò che gli sta dietro, cioè una scelta di progressiva e radicale separazione da questo mondo effimero, volgare, esibizionista e falso, dica quello che chi informa (i giornalisti), chi governa e chi comanda (la magistratura) nascondono.
La censura inutile È accaduto e sta accadendo anche in questi giorni. Qui abbiamo raccontato, per la prima volta e da soli, l’evidenza dei vaccini dirottati dai fragili ai conoscenti dei conosciuti. Era il 29 marzo. I dati che abbiamo pubblicato sono ‘puliti’, non generici.
Il 1 aprile ne ha parlato per l’Italia, riprendendo i dati generali nazionali elaborati dalla Fondazione Gimbe, la trasmissione Piazza Pulita. Ieri la questione è stata riepilogata da Sardiniapost. Oggi, il caso è sulla prima pagina del quotidiano Domani. Oggi il caso è ripreso nell’intervista al generale Figliuolo sul Corriere della Sera. Rai Sardegna, questa povera ridotta delle ripetizioni del già noto, non ne parla. I giornali tacciono.
La verità non si afferma perché detta; perché si affermi deve dirla qualcuno che rassicuri sul fatto che dirla non provochi troppi danni, quindi, per dirla, si deve attendere che a dirla sia il potere.
L’antica condanna Ciò che qui viene pubblicato qui non esiste mai ufficialmente e questa è una conferma di un’antica condanna: se si avverte, anche proprio malgrado, un bisogno incontenibile di combattere, prima in se stessi e poi nella storia, le tante maschere con cui noi uomini nascondiamo la parte più oscura di noi stessi, la vanità, il piacere del potere, l’attrazione verso il denaro, se si guarda alla politica non come strategia militare di conquista del potere, ma come arte di trasformazione della realtà, inevitabilmente si viene isolati, perché pericolosi.
L’uomo non sa guardare in faccia il suo vero volto. Wilde ci ha fatto sopra un pessimo romanzo, Mann un capolavoro.
La strategia della deformazione Ma è proprio perché nudo e solo, volontariamente solo, posso dire che i fatti poi restituiscono sempre la verità di se stessi.
Lo scontro con Soru mi costò la deformazione morale pubblica.
Giornalisti à la page e magistrati engagé concorsero a rappresentarmi come un mostro del trasformismo. Oggi leggo con soddisfazione la sentenza della Corte di Cassazione sull’affaire Saatchi and Saatchi; oggi vedo con soddisfazione svelata la finzione di Funtanazza e Scivu. Oggi vedo smentito dai fatti il modello del Piano Sanitario regionale della Dirindin, prima espressione della sfiducia dei sardi verso i sardi; oggi vedo distrutto dai fatti il filo-lombardismo della sanità della Giunta Pigliaru, quello per cui io venni additato come un conservatore perché chiedevo un modello gestionale adatto alle caratteristiche della Sardegna e non copiato dai forti; ieri io, espulso dal Psd’az, ho visto prima il Pd impegnato a riabilitare il Psd’Az e poi fargli da apripista (in quanto partito corteggiato da tutti) per l’accordo con la Lega; oggi, io additato come trasformista, vedo la Sinistra votare pezzi del Piano casa (ho visto un emendamento sulle zone umide da brivido) e addirittura votare la follia delle aree metropolitane a membro di segugio dell’ultima legge approvata, con annesso esproprio delle competenze dei comuni sulle concessioni demaniali in nome del nuovo regno concessorio dell’assessore regionale all’urbanistica e agli Enti Locali. Io che fui accusato espressamente dal segretario del Pd di favorire nei bandi di gara un giorno alcuni consiglieri regionali, un altro i comuni vicini, non ho avuto una sola procedura di quelle da me seguite che sia sotto processo; nel frattempo, ricordo ancora che tre giorni dopo le dichiarazioni pubbliche del segretario del Pd, la Guardia di Finanza bussò in assessorato a ritirare scatoloni (inutilmente). Io che contrastai il conflitto di interessi in sanità, vedo oggi addirittura l’intreccio tra l’Ordine dei Medici, gli interessi privati e la sanità pubblica, considerato come un fatto normale, naturale.
Io che proposi i cantieri verdi, che volli i piani di utilizzazione dei lavoratori in cassa integrazione per farli lavorare e non vederli abbruttirsi nella noia stipendiata, io che organizzai la manifestazione per il rilancio di Ottana, venni additato, da Sinistra, come un veteroassistenzialista; oggi comincio a leggere su giornali prestigiosi che in tanti sostengono l’urgenza del ritorno degli interventi pubblici diretti in economia. Io che mi schierai contro l’apertura domenicale degli esercizi commerciali e dovetti soccombere a un orientamento generale che invece era a favore e con un fortissimo sostegno da Sinistra, vedo oggi la gente interrogarsi sulle parole semplici del Papa che dicono che occorre un giorno in cui tutti ci riposiamo e ci guardiamo in faccia. Io che sono un nemico giurato e sempre più convinto della grande distribuzione, vedo oggi ampi settori del mondo ecologista indicare in quella forma di organizzazione del rapporto tra consumatori e produttori una delle cause della consunzione del pianeta. Io che non apprezzai mai il Job’s act di Renzi vedo oggi tanta gente che comincia a interrogarsi sulla facilità dei licenziamenti da parte di alcuni (non tutti) imprenditori senza scrupoli che si liberano degli uomini per prediligere i poveri servi ( ci sono ricchi sardi, sfacciatamente ricchi, che se solo vedessero pubblicate le cause di lavoro che li vedono coinvolti non verrebbero salutati più da nessuno).
La lebbra giudiziaria Ebbene, costruito in questo modo l’appestamento, si è poi messa in moto la magistratura, con la quale il duello, per quel che mi riguarda, sarà eterno. Ed è proprio questo un altro terreno della miseria pubblica sarda. Le miserie della magistratura non vengono raccontate per un solo motivo: paura.
Noi siamo diventati appestati censurati perché osiamo commentare le sentenze; osiamo chiedere perché; osiamo domandare chi controlla ciò che viene affermato, molte volte in modo incongruo e infondato, dalla polizia giudiziaria. Noi siamo appestati perché non accettiamo di essere dominati da una casta che può decidere sulle libertà personali, che può permettersi, se vuole, di sbagliare per ignoranza e non pagare mai alcun prezzo.
Siamo felicemente appestati di libertà.
A me fa sorridere leggere in questi giorni gli interventi di quanti stanno ricordando l’avvenuto recepimento da parte del Parlamento italiano della Direttiva europea 343/2016 sul rafforzamento della presunzione di innocenza.
Mi fa veramente sorridere di amarezza.
Perché è troppo semplice ripetere come pappagalli quanto questa direttiva europea sia giusta, quando prima si è stati zitti allorché magistrati e ufficiali delle forze dell’ordine facevano conferenze stampa che già rappresentavano gli imputati come colpevoli. Troppo facile dirlo ora; bisognava avere il coraggio di dirlo prima, di censurare prima il pavoneggiamento accusatorio, l’accanimento, l’omertà giornalistica su atti giudiziari scandalosi che nessuno vuole raccontare perché rischioso (e alla fine riprenderò a farlo io per disciplina interiore, per dimostrare a me stesso che non ho paura, anche se ne ho tanta).
Troppo facile essere garantisti ora, dopo che la magistratura ha passato anni a lasciare negli incartamenti giudiziari le vite private di mezzo mondo, ha giocato a involgarire gli imputati pubblicando le conversazioni scurrili anche se inefficaci per dimostrare il reato, in modo da compromettere l’immagine dell’imputato.
Troppo facile far finta di niente su tutto, su commentatori prezzolati incaricati di deformare, alterare, butterare l’immagine degli avversari. Troppo facile.
Il rimedio Tuttavia c’è un rimedio: allontanarsi, vivere della libertà della solitudine e combattere come lo facevano, invisibilmente, i mistici, servire gli altri a partire dall’evidenza del proprio disinteresse. Costruire lo spazio politico per gli altri senza chiedere alcuna adesione a chicchessia. Provare a dimostrare che si può vivere senza paura. Provare a costruire una nazione, la Sardegna, sull’accoglienza, sulla disciplina, sull’impegno e non sulla chiusura, sulla disobbedienza alla prepotenza di Stato.
Così, spogliati ma induriti, si dice la verità e la verità lentamente si afferma. Poco importa, alla fine, che non si sia riconosciuti.
La verità è bella anche quando è anonima.
Buona Pasqua.
Leggo sempre con interesse gli articoli di Paolo Manincheddan. Hanno senz’altro il pregio (introvabile nella giornalismo sardo) della chiarezza e della denuncia motivata, articolo interessante e giustamente pieno di rammarico. Purtroppo il popolo sardo continua ad essere governato da chi vota e quindi si merita. Il livello “sott’eba” (come si dice a Sassari) che ha raggiunto la classe politica isolana è rappresentativo di chi rappresenta. Di chi da sempre vive di contributi (presi se piove e se non piove), chi per protestare butta il latte per strada e si fa fottere da Salvini. Purtroppo alla bellezza della nostra terra non risponde la dignità di chi ci è nato.
Fintzas in mesu de su bascaràmine e de s’arga bi creschet fiores, malepeus in d-una ‘ci-viltade’ aligosa, chi coltivat e produet arga e bascaràmine a muntones.
Si coltivamus su solu ideale netzessàriu e possíbbile s’umanidade, a pelea ca est caminu in artziada, ma chentza mancu pelea prus manna, podet èssere comente depet, prus umana e respirare menzus.
Fortza paris ad maiora!
Bona Pasca a mannos e minores augurios de coro da parte mia
Un forte abbraccio con l’auspicio di tanta serenità e salute caro Paolo
Grazie caro Paolo. Buona Pasqua.
Grazie e venga la Pasqua più serena
È poca consolazione, lo so, dire avevo ragione. È il mondo in cui viviamo che è trasformista. Non è possibile esprimere un parere senza esser visti nemici, nemici di un potere cieco e ottuso, che ha le facce anche di chi consente.
Certo ci si sente appestati. Nel riflesso dello sguardo che ti evita. L’importante è sapere chi si è. Non sarà per sempre così.
Bona Paska