Lo smart working funziona ma è ora di rientrare negli uffici.
Perchè?
Perché lo ha tuonato il ministro Brunetta e manca la schiena dritta e un’idea diversa di Sardegna da parte dei nostri amministratori cuor di lepre per far della Pubblica Amminsitrazione sarda un modello innovativo e rivoluzionario. Lo Smart working è troppo trasparente, troppo facile da verificare, troppo intelligente, ma soprattutto mette troppo in evidenza l’assenza di una guida politica capace di traghettare la Sardegna fuori dall’assistenzialismo, dal saccheggio e dalla dipendenza.
Via dall’intelligenza!
Evviva Su Connottu! Ma se si tuona che il lavoro a distanza è il lavoro dei poltroni o comunque non è lavoro, come si pensa di attrarre popolazione in Sardegna, specialmente nei paesi, sempre più privi di attività produttive, ma sempre più ricchi di una qualità di vita potenzialemente diversa, capaci di dare accoglienza a chi lavora da remoto sulle reti del mondo? Non si sa! A Su Connottu! A sa Tontesa!
Qualche giorno fa l’Unione Sarda ha acceso le sue luci ripetendo il nuovo mantra: “Dipendenti pubblici, ritorno in sede”; in un articolo si è dato ampio spazio alle dichiarazioni del sindaco Truzzu (A noi!) con corredo di dichiarazioni di dipendenti pubblici tutte a favore (A noi!).
Dati oggettivi sui quali ragionare? Nemmeno per idea.
Lo stesso Truzzu si contraddice: lo smart working ha funzionato, però si torna in sede.
Perchè?
Perchè trattare i dipendenti, soprattutto quelli pubblici, con la zirogna (nerbo di bue essicato, usato nel tempo dai pastori per stimolare i buoi e dagli ignoranti di ogni secolo per educare i riottosi) dà molto più consenso elettorale che pensare davvero a come rivoluzionare la pubblica amministrazione e farla funzionare in maniera efficace ed efficiente. Frustiamo i pigri, scoviamo i poltroni, a noi!
E anche perchè, poi, come si farebbe ad oscurare la propria incapacità davanti ad una macchina che funziona?
Volente o nolente, il Covid ha rappresentato quel calcio nel sedere all’innovazione nella PA obbligandola ad una sperimentazione su vasta scala di una modalità diversa di lavorare.
Chi è crollato?
Dove stanno le criticità?
È crollato chi non ha mai investito nel cambiamento; le criticità stanno laddove le pratiche sono gestite come 50 anni fa, con il pezzo di carta sulla scrivania e il povero utente a elemosinare di essere ricevuto per avere conto di quel che si sta facendo dentro gli uffici.
Laddove, invece, l’amministrazione digitale non è rimasta lettera morta, il lavoro non si è mai fermato, al contrario la produttività è aumentata quantitativamente e qualitativamente, le file e le attese sono sparite, il digitale ha reso tutto più trasparente e tracciato e insieme alla qualità del lavoro è aumentata anche la qualità di vita dei lavoratori e delle lavoratrici grazie all’azzeramento dei tempi morti, del pendolarismo e della possibilità di meglio conciliare la vita familiare con quella lavorativa.
Poi c’è chi si trova molto bene a lavorare da casa e chi invece preferisce stare in ufficio; evviva la libertà! ma perché sprecare un’occasione irripetibile di modernizzare davvero la PA, decentralizzarla, informatizzarla, renderla accessibile in ogni momento della giornata e a misura di cittadino e di impresa? Il perché è semplice: perché è la politica a non essere smart, a non essere intelligente, a privilegiare il trogloditismo degli scimmioidi di Odissea nello spazio.
Si può essere più liberi e moderni, servono coraggio, etica, fiducia, dialogo, capacità manageriale e, soprattutto, visione politica.
Grazie per quello che considero un…supporto.
Ma un supporto ben dimostrabile nei fatti.
Questo immobilismo diventa una banderuola da esibire quando fa comodo. Da marzo 2020 molti impiegati hanno mandato avanti la carretta anche grazie alla gestione informatica delle pratiche, senza fermarsi mai.
Ergo, proprio di immobilismo, almeno per chi ha saputo – con lungimiranza nel corso di questi anni -sostituire gradualmente e in modo quasi definitivo il lavoro cartaceo con quello dematerializzato, non parlerei: si è rivelata, nonostante fortemente utilizzata in una situazione di emergenza che tutti avremmo voluto evitare, una scelta vincente.
Il lavoro in azienda è complesso, ovviamente non tutte le attività possono essere condotte in home working, per nessuna attività sarà mai possibile fare tutto a distanza, salvo in futuro affidarsi alla cibernetica…
E per quanto molti tra politici e personaggi vari paventano una crisi che si ripercuoterebbe anche sulle attività commerciali connesse con le attività degli impeghi pubblici, come ristoranti e bar (anch’essi tirati in ballo a seconda del discorso di comodo ), io invece ci vedo una redistribuzione del profitto tra le piccole imprese spesso escluse proprio a causa dell’accentramento del lavoro in grossi centri urbani. Lavorerebbero tutti, la pausa pranzo o caffè la si farebbe in un luogo comunque vicino alla propria sede lavorativa, che sia in ufficio, da casa, o in una roulotte affittata in campeggio per sei mesi (per dire).
Al di là tuttavia delle considerazioni personali che ognuno può fare, conta molto una visione pragmatica del lavoro nelle PA, tenendo conto del fatto che spesso la visione del lavoro in HW è avvalorata da riscontri ineccepibili circa la tracciabilità dello stesso. In altre parole e per chiudere, se lavori si vede, se non lavori si vede lo stesso.
La giustificazione del rientro in ufficio per far lavorare i bar e ristoranti è ridicola. Personalmente i buoni pasto li consumo comunque ( quindi il PIL nè aumenta nè diminuisce) ma il mio stipendio, considerando solo il carburante che risparmio, vale 400 euro in più….
Cundivido deunudotu!
S’annu passadu apo fatu chimbe cursos de limba sarda donzunu abbarrendhe in domo sua (bi aiat corsistas fintzas de su Canada e Ispagna) e si fato solu su contu de sos viazos mios in màchina, unos chimbanta (de una média de duas oras tra andhare e torrare pro sa chi depiat èssere sa “sede” de su cursu) est unu bellu rispàrmiu de tempus, incuinamentu, ispesa e fintzas àteru. Pro totu s’àteru est andhada ateretantu bene de candho los fio faghindhe in preséntzia armadu de computera e projetore. Sendhe totu zente manna e un’atividade meda prus fàtzile, a diferéntzia de sas iscolas pro sos minores andhat menzus. Ma totu su triballu chi andhat bene cun sistema informàticu dae domo proite a no lu fàghere?
Certu, candu tengu de marrai in su cungiadedhu o in bíngia est… totu “hard” e s’incapat fait essiri is callus puru me is manus.
Po dónnia cosa su chi nci bolit e si podit fai mellus!
Condivido ogni sillaba.
È la politica a non essere smart. Sia sufficiente per la persuasione di tutti la dichiarazione di quell’assessore inadeguato e inappropriato, e fuori contesto, che attribuiva il ritardo del suo assessorato ai dipendenti che lavoravano da casa (per ciò solo, in barba alla tracciabilità del lavoro e del dovere di controllo del dirigente).
Mentre lui ed il suo instancabile staff, presenti in ufficio con mirabile sprezzo del pericolo pandemico, contribuirono al lustro turistico di cui oggi può fregiarsi la nostra amata Sardegna.
Nella mia esperienza di invalido ho notato che si può fare qualunque cosa tramite un telefono, un tablet o un computer. Recarsi fisicamente in ufficio per fare qualcosa che puoi fare on-line è ormai roba da paesi sottosviluppati. Il telelavoro risolverebbe molti problemi di inquinamento, parcheggio e stress nella città e coi dovuti sistemi di controllo potrebbe aumentare l’efficienza non sono solo della pubblica amministrazione ma di qualunque altro lavoro.
Caro ministro Brunetta non sarà ora di CRESCERE? 😁