Sotterraneamente ma in modo sempre più esigente il mondo progressista della Sardegna sta arrivando al dunque. Riprendono vigore antichi conflitti culturali e se ne accendono di nuovi.
Iniziamo dal lungo articolo pubblicato da Franco Mannoni su Sardegna Soprattutto. Nell’excursus bibliografico che ne costituisce la prima parte, si nota tutto il conflitto che ha sempre animato la discussione tra socialisti e comunisti, e Mannoni è socialista. Il tema dirimente è il rapporto tra persona e sistema.
Per il pensiero socialista la persona, intesa come soggetto civile e non come mistero storico – e qui si aprirebbe il grande campo del confronto tra personalismo cristiano e umanitarismo socialista, ma lo rinviamo a un’altra data per evitare orchiti diffuse – è il punto di partenza dello Stato.
Per i comunisti e i paleomarxisti, lo Stato – rinnovato dalla rivoluzione e dal partito – è il luogo in cui deve risolversi la persona.
In altri termini: posto che ogni uomo percepisce il mondo e lo vive singolarmente e in modo irripetibile e inimitabile, come si concilia singolare e plurale? Come si sta da uomini liberi nel mondo globalizzato?
Un paleomarxista risponderebbe: «Conquistando il mondo globalizzato con la rivoluzione dei popoli e poi risolvendo le contraddizioni – che tanto facevano sbarellare Marx, ma anche Gentile – rendendo tutto il mondo uguale a se stesso».
Un socialista, invece, risponderebbe: «Usando la sfera dei poteri dello Stato per aumentare la sfera dei diritti e regolare gli interessi». Un cattolico-democratico (questa categoria contraddittoria in sé, perché uno che riconosce al Papa di essere Cristo in terra ha pochi spazi, civici e personali, per la democrazia) dubiterebbe dello Stato e lavorerebbe sull’educazione morale dei singoli, perché l’unico luogo di esperienza dell’eterno è l’interiorità, la storia è un percorso di necessità imperfetto e doloroso. Dentro il cristianesimo c’è un’anima anarchica che la Chiesa cattolica comprime nella disciplina interiore ma che negli spiriti meno fortunati si traduce in una lacerante esistenza di contrasto permanente con le logiche della politica e dell’organizzazione civile.
Tutte queste contraddizioni hanno convissuto dentro il Pd senza essere minimamente risolte.
Perché è accaduto che si sia dato luogo a un’identità irrisolta?
Perché il Pd nasce, al di là delle buone intenzioni dei singoli, su uno schema da post Guerra Fredda, ossia più adeguato e calibrato sull’alternativa all’avversario, che per lungo tempo è stato Berlusconi, che su un percorso culturale e civile proprio.
Il Pd per lungo tempo è stato l’alternativa a Berlusconi, nel bene e nel male definito dall’avversario piuttosto che da un proprio percorso storico.
Nato un nuovo avversario, il Movimento Cinquestelle, le contraddizioni sono esplose, né più né meno come il Partito Popolare (erede della DC) e i Ds (eredi del Pci) furono sorpresi e superati da Berlusconi.
Essere definiti solo per differenza e opposizione significa essere definiti dagli altri, cioè essere in balia degli altri, non in dialettica con gli altri. Ecco dunque perché a Sinistra si riparla di cose serie: è vitale riporsi le domande fondamentali.
In questo clima di discussione in mare aperto, la Sinistra Sarda si ritrova di fronte a una questione irrisolta per lei: qual è il profilo della Questione Sarda?
Mannoni fa un passo avanti. La Questione Sarda non è più una questione di ritardo di sviluppo, non è più un pezzo della questione meridionale italiana che sta dentro le tante questioni meridionali del mondo. La Questione Sarda si declina nel conflitto con lo Stato italiano: Sardi e Italiani hanno interessi contrastanti non mediati e non mediabili dall’istituto dell’autonomia.
La Questione Sarda è diventata – finalmente, dico io – la Questione Nazionale Sarda. Ma se esiste una Questione Nazionale Sarda, essa, in quanto Nazionale, non è interpretabile col solo spirito di parte, cioè entro gli angusti perimetri del Centrosinistra (se ancora esiste). Se è Nazionale è di tutti, richiede un’unità dei sardi non segmentabile in disegni egemonici di parte. E qui sta il punto che Mannoni non supera ma che ha ben presente.
In realtà questo approdo nel dibattito politico è stato anticipato dal dibattito culturale prodotto proprio da una parte della Sinistra che abbandonò in tempi lontani la Sinistra di potere della Sardegna, penso al bellissimo libro di Peppino Marci Caro Umberto, Sergio carissimo, che illumina benissimo il retroterra politico-culturale che portò alla nascita di un grande affresco nazionale sardo come Passavamo sulla terra leggeri, dove istanze cristiane e socialiste trovano una composizione più simbolica che politica di grande effetto.
L’esperienza che tentò politicamente di far sintesi di nuona parte di tutto questo, sviluppata da parte socialista e non comunista, fu Federazione democratica, che consentì, caso isolato negli ultimi trent’anni, di assistere al passaggio di consegne da un presidente progressista a un altro: la sardità portò fortuna alla sinistra sarda.
E qui entra in campo la proposta avanzata da Silvio Lai di un Pd federato.
Si voglia apprezzarla oppure no, oggi questa proposta tenta di interpretare a sinistra l’urgenza di capire il conflitto con lo Stato e di interpretarlo soggettivamente e attivamente piuttosto che subirlo in una logica subordinata e collaborazionistica. Tuttavia, non riesce a fare il passo decisivo, che è quello non di un partito federato, ma di un partito della sinistra sarda tout court in grado di decidere sull’unità dei sardi contro lo Stato italiano senza inibizioni ma soprattutto in grado di decidere sulle alleanze senza i vincoli dei perimetri della politica italiana, che oggi divide i sardi e impedisce loro di porre la questione nazionale. Questa idea radicale si intravede invece nel documento della direzione provinciale del Pd Gallura, che è oggi una punta avanzata dell’emancipazione del pensiero della sinistra sarda rispetto alle dinamiche italiane.
Come leggere poi l’adesione militante del presidente del Consiglio Ganau al Movimento per l’Insularità, che annovera al suo interno molti esponenti della destra moderata sarda? Come è possibile stare dentro una logica di tipo federalista quale quella promossa dai Riformatori, che punta a segnare un confine tra gli interessi dei sardi – l’insularità – e gli interessi degli italiani, e poi sottrarsi agli spazi di un’alleanza con la Destra moderata affermando la distinzione tra la Destra e la Sinistra sarde tali da impedire un’unità nel conflitto con lo Stato?
In questo senso appare più determinato il ragionamento ripetuto in questi mesi da Luciano Uras. Dentro il movimentismo a sinistra del Pd si muovono tante suggestioni, alcune arcaiche, altre innovative, ma anche questo mondo – che spesso ha il riflesso condizionato di riesumare il lessico e gli ideologemi del Napolitano migliorista e quindi della “Ragion di Stato Italiano” come imperativo categorico – sta comprendendo che la Questione Sarda non è una particolare questione sociale, ecologica o culturale, ma è una questione nazionale. La militanza di Uras sull’insularità è più determinata politicamente di quella di altri e sembra preludere a una dispobilità ad assumere il perimetro dei singoli che hanno aderito all’idea del referendum come perimetro di un’alleanza nazionale sarda.
Ecco, tutto questo (e sicuramente tanto altro) si muove dentro la sinistra sarda e noi lo osserviamo con simpatia e attenzione.