Posto che qualcuno si è offeso perché ho osato scrivere che è stata fatta in Sardegna una legge ingiusta, in ragione della quale un sindaco sardo di un paese di 1500 abitanti, per esempio, prenderà uno stipendio più alto del sindaco di un paese di 1500 abitanti della penisola, ho deciso di raccontare tutto il tortuoso percorso che ha portato a questa nefandezza sarda, iscrivibile nella sostituzione di bande tribali di sindaci ai partiti. Ci sono tanti bravi sindaci in Sardegna, ma c’è anche una compagnia di giro parassitaria che è bene combattere e che, ovviamente, in perfetto stile tribale, pensa a sé e solo a sé, non alla giustizia, è il baluardo dei localismi e un fortissimo fortilizio contro qualsiasi idea unitaria e nazionale della Sardegna.
È stata varata la finanziaria nazionale 2021 (legge 234/2021). Al comma 583 si prevedono i nuovi stipendi per gli amministratori locali e li si parametra sullo stipendio del Presidente della Regione. Qui trovate i valori.
Nella finanziaria regionale si era previsto all’art. 2.bis di recepire la norma nazionale, come era giusto e sensato fare.
Fatto è, però, che nel testo sardo compaiono delle innovazioni: si mantengono i parametri nazionali per tutte le retribuzioni fuorché quelle previste per i sindaci dai 3001 ai 5000 abitanti, incrementate dell’1%, e quelle previste per i sindaci dei comuni con popolazione fino ai 3000 abitanti, incrementate del 5% rispetto alle retribuzioni nazionali italiane.
La prima domanda è: quale è il criterio per cui tutti gli altri sindaci della Sardegna devono guadagnare esattamente come i loro colleghi italiani e invece quelli fino ai 5000 abitanti e fino a tremila abitanti di più? Evidentemente non c’è una risposta sensata, ma solo un discorso di potere: i sindaci sotto i 5.000 abitanti e sotto i 3.000 sono più numerosi e, organizzati ormai in lobby sindacale, fanno sentire la loro forza. I consiglieri regionali? L’opposizione Pd ha affidato al capogruppo Ganau il compito di manifestare la propria contrarietà; il vigore del messaggio può essere immaginato, ma la verità va fatta salva.
La maggioranza è stata invece completamente appiattita sulla proposta della Giunta, non solo per l’apprezzabile numero di sindachetti eletti in Consiglio regionale, ma soprattutto per la forza elettorale che i consiglieri attribuiscono agli amministratori in carica e sulla quale sperano di investire per se stessi.
Tuttavia non bisogna fare di tutta un’erba un fascio e rendere merito a chi ce l’ha. Quando è iniziata la discussione dell’art. 2 bis, i consiglieri Gianfranco Satta e Francesco Agus hanno avvertito il Consiglio della sostanziale iniquità della legge e anche delle distorsioni di una sua applicazione meccanica in Sardegna. Infatti, la norma nazionale prevede che i sindaci di capoluoghi di provincia con popolazione fino a 100.000 abitanti siano retribuiti col 70% della retribuzione del Presidente della Regione. L’Ogliastra, per esempio, ha i suoi capoluoghi di provincia, uno di poco più di 5000 abitanti e l’altro con poco più di diecimila. Entrambi i sindaci andrebbero a percepire 9660 euro lordi mese, a fronte dei 4002 euro dei loro colleghi di comuni sopra i 5000 e dei 4140 euro di quelli dei comuni sopra i 10000.
Allo stesso modo, il sindaco di Iglesias, in quanto capoluogo di provincia, andrebbe a percepire 9660 euro al mese con una popolazione intorno ai 27000 abitanti a fronte del sindaco di Quartu, con 70000 abitanti circa, che andrebbe a percepire 6210 euro lordi, perché Quartu non è capoluogo di provincia.
Infine, i due consiglieri, denunciando la palese ingiustizia di aumentare solo le retribuzioni dei sindaci dei comuni sino a 3000 e sino a 5000 abitanti, segnalavano il rischio non solo di un’impugnazione della norma da parte del Governo di fronte alla Corte costituzionale, ma anche e soprattutto di essere chiamati dalla Corte dei Conti, successivamente alle avvenute erogazioni, a restituire le risorse aggiuntive percepite.
L’Aula, dinanzi alle argomentazioni dei due consiglieri, si prende una pausa, sospende l’articolo e lo sposta alla fine della discussione della legge. Poi accade che cade la maschera: quando si arriva a discutere l’articolo come ultimo della legge, l’aula, per l’obiezione di un sindaco parte in causa, respinge l’emendamento orale che avrebbe corretto la norma. Così si fa: si sposta alla fine quando ogni ostruzionismo è impossibile e si porta a casa il bottino.
Come chiamare tutto questo se non un capolavoro di ignoranza e di prepotenza?
Is “cossigeris”… depent àere pentzau e cossigiau ca is Sardos seus “speciali”: sinuncas ite “specialità” est custa “autonomia speciale”?!
De su restu, noso Sardos, chi de casu ndhe faeus meda, ischeus fintzes ite bolent nàrrere is contighedhos de “sègami casu”, fintzes a… “cumpeténtzia” sindacale…
Su nàrrere chi in bidha mia “Segamigasu” fut s’annomíngiu de unu, mischinu, ca fut sèmpere a fortza de pedidorias, in ‘autonomia speciale’ de seguru. No isco si fut òrfanu o poite “no” teniat babbu, dhi fut morta sa mama, ancora giovonedhu, iat emigrau sa sorre e giòvono est mortu issu puru.
In Sardigna, “mutatis mutandis” (e fintzes agiummai chentza mudandhas e prus lébios puru chentza crebedhos, ma giai paret ca portaus sa conca) sigheus s’istória a “si salvi chi può” e coment’e idea, e pruschetotu ideale, no est mancu mala…
Caro Giorgio, mi sono occupato di spopolamento e di crisi dei comuni montani e rurali. Ti assicuro che certi comuni alpini e appenninici patiscono la stessa situazione di quelli sardi con un montante di trasferiemnti finanziari dalle loro Regioni notevolmente inferiore rispetto a quello che la Regione Sarda garantisce ai suoi piccoli comuni. Per il resto, la politica è sacrificio a tutti i livelli, se la si fa bene. Ciò che tu racconti sul tuo impegno in Comune, io l’ho vissuto in Regione. Purtroppo, però, episodi come questo della legge degli stipendi aumentati solo ad alcuni, trasferisce invece l’idea che la politica sia una rendita.
Ci si lamenta, giustamente, di una norma fatta a vantaggio solo di alcuni. All’università si insegna che la norma di legge deve avere il carattere della astrattezza e della generalità. Non deve essere scritta a favore di una situazione specifica o di uno specifico gruppo di soggetti.
Premesso ciò, mi permetto di osservare che se si critica la norma che garantisce ad alcuni sindaci sardi una indennità di maggior favore rispetto ai colleghi della penisola, si dovrebbe onestamente tener contro che nei nostri piccoli comuni il sindaco, il più delle volte, non ha a disposizione una struttura amministrativa e personale in numero sufficiente per portare avanti le numerose attività di competenza. Mentre un grande comune dispone di uffici tecnici e amministrativi in grado di svolgere le complesse attività in capo all’ente, in un piccolo comune il sindaco, molto spesso, deve fare quasi tutto da solo.
La critica del Prof. Maninchedda verte su una questione di principio relativo alla parità di trattamento per soggetti che svolgono la stessa funzione. Su questo siamo d’accordo. Lungi da me, dunque, una difesa aprioristica della figura dei sindaci. Ad onor del vero, tuttavia, si deve anche dire che il ruolo di amministratore locale nei nostri piccoli paesi, se lo si svolge con onestà, è quasi una missione.
L’Italia, e la Sardegna non fa eccezione, è uno strano paese in cui un sindaco viene acclamato come eroe e riferimento della comunità locale, quando si verificano disastri naturali o ambientali, vedasi alluvioni o incendi, per essere, immediatamente dopo, dipinto come faccendiere e approfittatore quando , come in questo caso, e ribadisco, giustamente, si approva una norma che attribuisce loro un trattamento di maggior favore.
Ho ricoperto, molti anni fa, l’incarico di assessore in un piccolo comune della Sardegna centrale. Potete crederci o no, vi posso assicurare che per 5 anni ho dedicato la metà delle mie ferie a lavorare per l’ente. Le riunioni di giunta e di consiglio venivano fissate di sabato o, comunque, in modo da non sovrapporsi agli impegni lavorativi dei consiglieri e assessori. Questo per evitare di gravare sulle casse dell’ente che sarebbe stato costretto a pagare il rimborso delle assenze dei propri amministratori ai loro datori di lavoro. Il tutto per una indennità che, non ricordo esattamente gli importi, non raggiungeva le centomila lire al mese.
Se questa è la logica, come mai non ci si scandalizza degli onorevoli stipendi dei nostri politici che, a livello regionale e nazionale, godono di indennità ben maggiori di quelle percepite dai sindaci dei piccoli comuni. Tanto più che, non si può non riconoscerlo, l’impegno di un sindaco e, il più delle volte, molto maggiore di quello di un consigliere regionale o parlamentare che, per lo più, si limita a ratificare le posizioni del gruppo politico di appartenenza senza dare alcun contributo aggiuntivo di idee e di proposta politica.
Giorgio Piras
Incapacità + uso del manuale Cencelli sono alla base dell’attività di questa coalizione, cosa c’era da aspettarsi? si sapeva già al momento della sua formazione