Pessime idee. Ieri mattina ho ascoltato i notiziari radiofonici regionali in macchina. Di primo mattino, prima che iniziasse la riunione tra il presidente Pigliaru, gli assessori Caria e Paci, da un lato, e dall’altro le organizzazioni agricole e i consorzi di bonifica, la rivendicazione in campo era la seguente: rimodulare il mutuo del Piano Infrastrutture per destinarne una parte alla crisi agricola.
Prima di tutto smontiamo le favole: il mutuo ha destinato a nuove infrastrutture solo 356 milioni sui 700 milioni contratti con la Cassa Depositi e Prestiti; la differenza è andata a finanziare vecchie infrastrutture il cui pagamento a breve toglieva cassa alla Regione e quindi impediva di pagare debito pregresso. Non a caso, il 2015 e il 2016 sono stati anni nei quali la Regione ha fatto fronte ai suoi debiti (maturati verso i Comuni e verso le imprese) con una solerzia sconosciuta negli anni precedenti.
Secondo concetto: toccare il mutuo significa definanziare opere. Non c’è un solo euro non programmato e, nel caso infausto di fallimento di un’opera, vi è un’elenco di opere in corso che necessitano di ulteriori apporti finanziari (si pensi alla Nurra, per esempio), nonché di emergenze segnalate dai Comuni, dai Geni Civili e dalla commissione consiliare, che compete moltissimo con qualsiasi emergenza, perché è un elenco di gravi emergenze.
Terzo concetto: attualmente sono in corso lavori sulla rete irrigua e sugli invasi che ammontano a 96 milioni di euro, ai quali la cabina di regia nazionale italiana sui fondi FSC ha aggiunto altri 50 milioni per la manutenzione delle dighe. Non si era mai visto negli ultimi decenni (bisogna tornare ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno) un intervento di queste dimensioni finanziarie sul patrimonio infrastrutturale della Sardegna legato all’acqua e ha queste dimensioni perché per troppo tempo il settore è stato trascurato, fiduciosi nel fatto che l’emergenza siccità fosse finita.
Soldi per l’emergenza siccità. Chiarito dunque che il montante finanziario su cui andare a reperire risorse per le aziende agricole colpite dalla siccità non è quello destinato alle infrastrutture, cominciamo ad andare a vedere se nel ricchissimo Piano di Sviluppo Rurale, il cui totale ammonta a un miliardo e trecento milioni di euro, vi sono voci dormienti, cioè somme appostate e non utilizzate. E ci sono.
Intanto il Feasr ha una misura specifica per fronteggiare le situazioni calamitose: è la 5.2 dedicata al Ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e da eventi catastrofici e introduzione di adeguate misure di prevenzione; i beneficiari sono gli Agricoltori singoli o associati e le condizioni di ammissibilità riguardano le Aree interessate da eventi calamitosi formalmente riconosciuti dall’Autorità competente che hanno causato la distruzione di non meno del 30% del potenziale agricolo interessato. Vengono finanziati gli investimenti per il ripristino delle piantagioni, la ricostruzione o riparazione fabbricati e altri manufatti rurali, opere provvista acqua e adduzione energia elettrica, riparazione o riacquisto macchine, attrezzature, macchinari e impianti, riacquisto animali ecc. ecc. È ammesso un contributo pari al 100% dell’investimento.
Attualmente su questa voce ci sono 7,5 milioni di euro (altri 7,5 nella Misura 5.1, per un totale sul ripristino del potenziale agriocolo delle imprese di 15 milioni, pari solo all’1,5% del Feasr). Si pone il problema di come incrementarla.
Facciamo due proposte.
Togliamo 10 milioni di euro dalla misura 7, quella dedicata all’estensione della banda larga in agricoltura, che ha una dotazione di oltre 46 milioni.
Togliamo 15 milioni alla sottomisura 14.1.2 sul benessere dei suini (misura difficile da far partire bene se non si debella con convinzione e non con contrizione la peste suina) dove ve ne sono oltre 50.
Se sommiamo questi 25 milioni ai 7,5 della 5.2 andiamo ad un montante di oltre 32 milioni di euro che, se ben speso, potrebbe essere una seria boccata di ossigeno per le imprese.
Come si deve fare sul piano procedurale?
Il Direttore generale dell’Assessorato dell’Agricoltura deve riunire il Comitato di Sorveglianza che lui presiede.
Il Comitato rimodula il Psr e sposta le risorse là dove servono.
Acqua. Sull’acqua però occorre fare un serio esame di coscienza.
Il PSR prevedeva, proprio per educare all’uso responsabile dell’acqua l’installazione dei contatori per singolo utente.
Non è stato fatto.
Se fosse stato fatto, avremmo avuto dati che da un lato avrebbero detto quanta acqua si spreca, per esempio, nell’Alto Oristanese allagando i campi per il riso (che poi però, per un meccanismo di cui mi ero occupato senza approfondirlo, determina un incremento delle bollette degli agricoltori della zona di Arborea che invece i contatori li hanno, per cui il costo degli allagamenti dell’area di Oristano viene distribuito tra alto e Basso Oristanese con soli vantaggi per il nord); oppure ci avrebbero dimostrato la differenza di consumi tra l’irrigazione a pioggia dei carciofeti della zona di Ittiri (circa 7.000 metri cubi di acqua all’anno per ettaro) e l’irrigazione a pioggia dei cariofeti della zona di Valledoria (3.500-3.700 metri cubi di acqua all’anno per ettaro); oppure ancora ci avrebbero detto quanta acqua stanno consumando tutto l’anno, cioè prima e dopo la stagione irrigua, le imprese finto-agricole della Nurra che producono biomasse per le centrali elettriche. La risorsa idrica del Cuga è stata fortemente intaccata nei mesi precedenti l’inizio della stagione irrigua proprio per queste esigenze. I sardi devono decidere una gerarchia di importanza tra chi in agricoltura produce per l’agricoltura e chi lo fa per il mercato elettrico.
Come si vede, ogni volta che si tocca il tema dell’agricoltura ci si scontra con posizioni consolidate che ormai sono parassitarie oppure con abitudini e rigidità amministrative ormai incompatibili con la modernità. Oggi abbiamo parlato di acqua e di risorse finanziarie, ma bisognerà pur riparlare del mercato del latte, colpito proprio da pigrizia e ignoranza, oltre che da vocazione assitenziale, più che da speculazioni e deformazioni di mercato.
Complimenti professore sempre puntuale, imformato sui fatti,
cosapevole che l’incertezza sulle decisioni penalizza il sardo attendista e che tenta soluzioni poco valide a medio e lungo termine.
Saluti
Giovanni Porru
Quartu Sant’elena
Gentile Paolo,
intanto preciso che la richiesta delle organizzazioni agricole di destinare una parte del mutuo infrastrutture agli investimenti strutturali nel settore agricolo aveva ed ha un valore politico; avanzata per dire “mettiamo le infrastrutture agricole ai primi posti delle necessità infrastrutturali della Sardegna”. Abbiamo preso atto ieri, dal Presidente e dall’Assesore Paci delle stesse cose che ci sono nel suto intervento e anche della disponibilità a costituire, se necessario per altre infrastrutture, un nuovo mutuo dedicato. Abbiamo dichiarato la nostra soddisfazone per l’azione della Giunta già avviata, di cui qualcosa si deve anche a lei, per “raddoppiare” una volta che gli investimenti decisi e finanziati saranno realizzati, il “raddoppio” della attuale capacità idrica degli invasi” Parole del Prof. Paci. Non v’è dubbio che in una situazione di cambiamenti climatici ormai assodati, negativamente, purtroppo, piove molto poco, ma spesso con fortissima intensità, l’aumento rilevante della capacità degli invasi è la medecina migliore contro le crisi dovute a siccità, insieme, come anche lei dice e noi ugualmente diciamo da oltre 15 anni, all’inserimento di contatori in ogni utenza irrigua agricola; chi consuma di più deve pagare di più ed allora tutti avrenno l’utilità di risparmiare l’acqua!
Quanto alle sue proposte di reperimento risorse per ristorare chi ha avuto danni dalla siccità, sono tra i primi ad aver chiesto la rimodulazione del PSR: meno risorse per aiuti a superficie come l’indennità compensativa che per scelta della Commissione Europea si deve dare anche ai non agricoltori, più risorse per gli investimenti finalizzati e gestiti dalle filiere produttive, ma mi permetta di dissentire su una cosa: i soldi per il benessere animale a favore degli allevatori di suini, aspetterei a toglierli. Vediamo l’applicazione delalmisura e poi ne parliamo con più cognizione tutti. Inoltre i danni della siccità, come tutti possono comprendere, non sono tanto alle strutture, quanto al reddito degli agricoltori per mancata produzione; nel caso dei pastori ovviamente comporta un maggiore acquisto di mangimi. Certo, sarebbe bello poter dare un ristoro ancora maggiore di quello (5 euro a capo ovino presente nella BDN Banca Dati Nazionale) che si prospetta con la leggina che verrà approvata martedì prossimo, ma non sarebbe il caso di pensare anche agli altri settori produttivi, ugualmente allo stremo? I pastori sono organizzati, sia nei sidnacati agricoli che nel MPS, ma i coltivatori di ortofrutta cosa devono dire? Eppure l’ortofrutta raoppresenta il 25% della plv sarda contro il 40% della plv del comaprto ovicaprino e riguarda pèarecchie migliai di operatori e diverse centrali di condizionamento e commercializzazione gestite dai produttori stessi. Ma sembra che la crisi abbia colpito solo i pastori. Dico, sembra, perchè per ora, a parte alcuni interventi sulla cerealicoltura (quasi 2 milioni di euro da assegnare tra chi coltiva cereali con accordi di filiera), per gli altri settori produttivi non c’è nulla.
Battiamoci per risolvere alla radice la crisi del pecorino romano. E’ vero che il prezzo lo fa il mercato, ma se, visto che la legge lo permette, contingentiamo la produzione attraverso il Consorzio del Pecorino Romano DOP (sanzionando con penali non ridicole di 16 centesimi a kg contro i 2,50 di sanzione per il parmigiano reggiano in esubero) ovvio che non si raggiunge il risultato della programmazione. Il Consorzio adegui il sistema delle penali, ma voi che siete nelle Istituzioni fate una leggina semplice, semplice, come chiediamo noi di Copagri: “neppure un euro da ora in poi ai casiefici, privati o cooperative, che non rispettano il Piano di Offerta del Consorzio (se si fosse rispettato, negli ultimi due anni avremmo avuto una produzione di 90.000 q.li meno di quella che c’è stata! Neppure un euro sul pegno rotativo; neppure un euro sul pecorino bond; neppure un euro sugli investimenti e sui progetti di filera; divieto di partecipazione alle gare per la destinazione agli indigenti!
Gentille AAA (cercasi), io sono sicuro di ciò che ho detto e l’ho detto anche con precisione. Se Lei ha motivo per ritenere che ciò che ho scritto non si possa fare, in maniera altrettanto precisa dica perché e magari poi spieghi che cosa si potrebbe fare. Cerchiamo di uscire dalla produzione dei dubbi ed entriamo nel mondo delle soluzioni.
Gentile professore. Se mi permette un piccolo appunto tecnico/procedurale a proposito della sua proposta di rimodulazione del Feasr, importante per far capire le dinamiche fra ciò che si vuole fare e ciò che si può fare. Prima di riunire il Comitato di Sorveglianza si deve verificare la possibilità di spostare queste somme da una misura all’altra come da lei indicato. Infatti la mia esperienza sui Programmi Operativi mi dice che gli spostamenti sono sempre vincolati per un motivo o per l’altro. I PO sono macchine complesse e, vuoi per target di risultato da raggiungere, vuoi per indicatori scelti ecc. ecc. gli spostamenti sono possibili solo fra alcune misure e non fra altre. Della serie il diavolo sta nei dettagli.
in tenera età, oltre dieci lustri son passati, già sentii parlare della crisi del prezzo del latte.
allora i pastori sapevano anche fare il formaggio.
da allora – lo dico da orecchiante – mi pare che grosse cose non siano cambiate, se non che l’ allevatore ovino abbia, nella generalità, perso le abilità che gli appartenevano per eredità e necessità.
pur non mancano, in quel mondo, esempi invece ammirevoli.
tempo fa paventavi possibili orizzonti commerciali in Australia e nell’ estremo oriente, orizzonti che il pastore solitario può solo immaginare e non perseguire praticamente.
ma se non lui non può, non potrebbe essere attività, quella di cercare nuovi mercati, propria della “associazione di categoria”, invece solerte, fra una crisi del latte e l’ altra, nell’ agghindare di bandiere gialle le manifestazioni agricole e le tv private e gridare alle colpe di Regione e – in second’ordine – di Dio che non piove?