Mie figlie, forse, non conoscono una storia.
Era l’11 marzo 1977, siamo a Bologna.
Comunione e Liberazione organizzò un’assemblea convocata per le 10. Si presentò all’ingresso un gruppo di Lotta Continua, con l’intento di impedire lo svolgimento della riunione. Vennero respinti.
L’assemblea ebbe inizio, mentre Lotta Continua organizzava, all’esterno, una manifestazione per assediare l’iniziativa.
In un attimo la situazione divenne questa: 400 persone riunite all’interno e altrettante all’esterno a circondarle. Il Rettore chiese l’intervento della polizia. Gli scontri furono durissimi e alcuni poliziotti esplosero colpi di pistola e di fucile. Lo studente Franceso Lorusso morì, colpito al petto da un proiettile esploso dalle forze dell’ordine. Ne seguirono giorni di scontri e di autoblindo della polizia in giro per le strade di Bologna.
Il PCI, che aveva capito quanto ormai fosse radicata nelle forze extraparlamentari della Sinistra la strategia rivoluzionaria motivata dal rischio fascista, isolò socialmente e politicamente Lotta Continua e concorse a salvare la democrazia.
Questo è l’episodio del passato più prossimo a ciò che è accaduto ieri a Bologna. Una manifestazione esplicitamente fascista (e ha un bel dire il presidente del Senato che, come al solito, gioca col fuoco, che tutti hanno diritto di manifestare; in Italia si è troppo equivoci col fascismo e con l’antisemitismo di Destra e di Sinistra, se ne tollerano i simboli, i gesti e le organizzazioni, in nome di quella libertà che gli stessi fascisti in cuor loro considerano debolezza) si è scontrata con una contromanifestazione esplicitamente rivoluzionaria e di estrema sinistra, cioè violenta, settaria e esplicitamente antisistema.
Come si salvò l’Italia dal terrorismo bombarolo e dalla strategia della tensione di marca fascista e dal terrorismo di marca comunista?
Istituzionalmente si salvò con il proporzionalismo (che garantì a persone come Marco Pannella di poter condurre in Parlamento le proprie battaglie, ma questo l’ottusità politica di Mario Segni non lo può capire), vera pre-condizione di quel compromesso storico che non sviluppò mai i suoi effetti positivi (che avrebbero potuto portare alla nascita di un grande partito socialista, libertario, solidarista e liberal democratico), per l’errore politico del PCI di schierarsi per la linea della fermezza nel caso Moro e per l’inconsistenza culturale della Dc senza Moro, ma che fu un milieu culturale che portò le istituzioni a produrre l’adeguato clima di unità per sconfiggere il terrorismo.
Il PCI trovò in Berlinguer, che sbagliò tutto ciò che si poteva sbagliare nel caso Moro e non ebbe mai, per questo, un briciolo di rimorso, un perfetto interprete della linea con cui Togliatti, fedele esecutore di Yalta, consentì all’Italia di fondare la Repubblica e di non passare per una drammatica guerra civile, e cioè che la rivoluzione in Italia non si poteva fare.
La DC trovò nella cultura cattolica del Concilio Vaticano II, che era una cultura politicamente grezza (perché interessata alla Chiesa e non allo Stato) ma socialmente positiva (perché pacifica e solidaristica) quel grande laboratorio di idee e di esperienze che supplì alla sua povertà di visioni istituzionali, al suo pragmatismo elevato a preteso pensiero (i democristiani cinici, ancora oggi, mi sembrano allievi di Satana vestiti da chierichietti).
Oggi, invece, la tentazione delle rivoluzioni di Destra e di Sinistra si svolge in un brodo di coltura a lei più favorevole: il bipolarismo.
Perché stupirsi se gli estremisti occupano le piazze quando il linguaggio degli estremi occupa le istituzioni?
Perché stupirsi dell’aumento della violenza sociale e politica se chi governa si rivolge solo ai suoi devoti, perseguita e isola gli avversari, occupa tutti gli spazi di potere, manipola il popolo con menzogne e premia gli incapaci purché militanti?
Come si reagisce a chi, legittimato dalla vittoria alle elezioni, cerca di prendere per fame i propri avversari, con chi ostenta il proprio potere come fattore di gerarchia sociale?
Perché stupirsi se chi sta all’opposizione cavalca ogni fremito dello stomaco della piazza per conquistare il potere e poi, una volta acquisitolo, pretende che la peristalsi, tanto stimolata prima, cessi perché a governare l’alimentazione non ci sono più i vecchi ma i nuovi?
Il problema dell’Italia è che il bipolarismo è sempre stato l’anticamera delle svolte autoritarie, perché inevitabilmente radicalizza il confronto.
Oggi, è rarissimo imbattersi in chi abbia un’idea chiara sul rapporto tra individuo, massa e Stato. Si sentono solo politici dell’effimero, del momentaneo, non della struttura.
Ma soprattutto, ciò che per secoli ha fatto la religione (fraintesa), cioè garantire il comune sentire, svolgere il compito che Gramsci affidava all’egemonia, cioè a quell’attività culturale e educativa che produce l’unità morale e politica di una nazione (concetti per me, libertario, terribili), oggi è svolto dal consumismo e dal post-capitalismo: viene avvertito come giusto essere egoisti, accumulare il più possibile immense ricchezze, occupare tutti gli spazi di potere disponibili, esercitare il potere esibendolo, punire e colpire i dissenzienti, considerare sfigati gli onesti.
È evidente che in questo mare di cinismo elevato a ideologia, le passioni degli estremismi sono in grado di scaldare i cuori, perché sembrano più eroiche rispetto alla cattiveria intrinseca e fredda della fercoe competizione dominante elevata a norma di natura.
I giovani vanno per gli estremi perché li trovano appassionanti, capaci di aiutare a trovare un senso all’esistenza, epici per il rischio della vita in nome dell’idea, affascinanti perché non ergono il profitto a unico vessillo. Come sempre il Male non ha il solo volto delle sue forme più estreme.
Post Scriptum: c’è un ex potente sardo che mi sta seriamente lessando i c…….i.
Lui e la moglie non fanno altro che parlare male di me, ma non mi onorano di chiamarmi per dirmelo in faccia. Qualche giorno fa me ne ha riferito un consigliere regionale e mi ha ficcato una spina nel cuore che oggi ho deciso di togliermi. Loro, i coniugi, sono alti esponenti degli effetti pasciuti del bipolarismo.
Ora, vorrei dir loro, che io sono fatto all’antica: le cose si dicono de visu.
Ho un solo rammarico con questa famigliola immemore: quando per il loro genero, cresciuto in batteria, si fece un concorso farsa cui partecipò solo lui, io non ero più assessore, diversamente, per quella solenne porcata, sarebbero saltati i vertici della società che lo ha reclutato. Quando si vive e si è vissuto di privilegi, si dovrebbe aver il buon gusto di non rompere le scatole a chi si vuole ritirare dal mondo, a chi ha sempre ricordato e onorato gli affetti pregressi, a chi oggi ha interessi più mistici che politici e non vuole essere disturbato quando prega.
E vabbe’, Professo’, però il parallelo non l’ho fatto mica io, eh…
Io sono molto prossimo alla spiritualità di molti ciellini, si figuri se posso pensare che una loro manifestazione possa essere assimilabile a una manifestazione di CasaPound.
“Questo è l’episodio del passato più prossimo a ciò che è accaduto ieri a Bologna”
Egregio Professore, questa sua mi pare davvero un’esagerazione: i ciellini riuniti a Bologna nel 1977 non mi pare fossero impegnati in una “manifestazione esplicitamente fascista”. Il parallelismo storico mi sembra assai stonato.
Per contro, invece, gli intolleranti di oggi sono gli stessi di ieri: sono coloro che ritengono che un altro abbia diritto di parola solo se dice cose in linea con quello che da loro è ritenuto giusto; altrimenti, secondo questa visione ideologicamente distorta, è lecito tappargli la bocca.
Gianpaolo Pansa, che certo non era etichettabile come fascista, ne ha saputo qualcosa.
E anche oggi tante persone e associazioni sono vittime di certo pensiero unico, travestito da politicamente corretto e atteggiantesi a vittima, ma con la spranga in mano,
Cordiali Saluti
Purtroppo il fuoco delle contrapposizioni è sempre vivo . Purtroppo le contraddizioni apparenti alimentano un fuoco che dopo aver minato la società negli anni “di fuoco “sta distruggendo l’attuale civile convivenza .
La mia formazione culturale , mi porta a chiedermi : chi ha interesse che la società viva in un clima di instabilità se non di terrore ? Chi finanzia le schiere di attivisti variamente colorati ? atteso che si tratta principalmente di inoccupati ammantati da ideologie e programmi di difficile condivisione . Purtroppo , la sensazione è nuovamente quella dei proclami brigatisti ,che tanto danno e sofferenze avevano causato .
Purtroppo , l’insipienza dei partiti privi di conduzione autonomamente sufficiente ,lascia spazio a queste frange eccessive che bene non fanno alla situazione democratica delle nazioni occidentali .Solo intercettando ed eliminando le fonti di finanziamento interessato degli estremismi,si potrà sperare in una convivenza pacifica e civile
Sono molto d’accordo con lei professore. Lo penso da tempo. Il bipolarismo è una iattura. Ha, di fatto, messo in pausa la Democrazia. E lei ha la capacità di spiegarlo. Grazie
Il post di Paolo è una riflessione critica sul clima politico italiano, centrata sul ritorno di uno scontro ideologico tra estremismi di destra e di sinistra. Partendo da un episodio storico del 1977, evidenzia come le tensioni sociali di oggi riflettano dinamiche simili, aggravate da un contesto polarizzato e dal bipolarismo politico, che tende a esasperare le divisioni.
Forse, però, è necessario fare un passo indietro e riflettere su cosa abbia indotto questo cambiamento profondo e irreversibile nella nostra società.
Negli anni ’90, il passaggio al bipolarismo in Italia, promosso da Mario Segni con il referendum del 1993, puntava a superare la frammentazione politica e a rendere più stabili i governi attraverso un sistema maggioritario. Tuttavia, questo cambiamento ha finito per liquidare il sistema dei partiti tradizionali, nato nel dopoguerra, senza costruire una solida alternativa. Con il senno di poi, possiamo dire che il bipolarismo ha accentuato la polarizzazione politica, limitato il dialogo e ridotto la rappresentanza articolata delle diverse istanze sociali. Questo processo ha contribuito a una politica sempre più personalizzata e distante dai cittadini, aprendo la strada all’influenza di nuovi attori populisti e degli interessi economici globali.
Parallelamente, con la fine della Guerra Fredda, il mondo ha subito una trasformazione radicale, dominata da nuovi poteri che non risiedono più nei parlamenti, ma in luoghi invisibili, difficili da identificare e da controllare. La globalizzazione economica e la deregolamentazione dei mercati hanno permesso alle multinazionali e alla finanza globale di acquisire un’influenza immensa sulle nostre vite, modellando le nostre abitudini, i nostri bisogni e, infine, anche le nostre opinioni. Questi “poteri senza volto” operano al di sopra delle leggi nazionali, liberi di agire senza rispondere a nessuno se non ai propri azionisti.
I parlamenti, nel frattempo, hanno perso centralità e autonomia. Non sono più luoghi di rappresentanza dei cittadini, ma arene dove lobby e gruppi di interesse avanzano le proprie agende, spesso lontane dalle esigenze reali delle persone. La politica, che dovrebbe essere il baluardo della democrazia e il canale attraverso cui i cittadini fanno sentire la propria voce, è diventata sempre più uno strumento nelle mani di interessi privati, un meccanismo svuotato di significato per chi affronta quotidianamente le sfide di un sistema sempre più diseguale e precario.
Oggi, mentre ci lasciamo trascinare in uno scontro ideologico tra destra e sinistra, tra manifestazioni di estremi opposti che riempiono le piazze e i social media, il potere economico prosegue indisturbato, continuando a concentrare risorse e influenza nelle mani di pochi. Un esempio evidente è rappresentato dalle attuali dinamiche dell’eolico in Sardegna.
Viviamo in una società che ha eretto l’individualismo sfrenato e il consumismo a nuovi dogmi, permettendo che l’accumulo di ricchezza e l’occupazione di ogni spazio di potere diventino il fine ultimo. In questo contesto, i cittadini comuni sono diventati spettatori, intrappolati in un sistema che non risponde più ai loro bisogni e che li esclude dalle decisioni che determinano il loro futuro.
Forse abbiamo imboccato una strada senza ritorno. Il potere reale si è ormai allontanato dalla portata delle istituzioni democratiche, lasciando ai cittadini solo la consapevolezza amara di un sistema che non possono influenzare. La sfida, allora, non è più quella di ripristinare un passato ormai irrecuperabile, ma di resistere agli estremismi e preservare quel poco spazio di autenticità, di solidarietà e di coscienza critica che ancora possiamo coltivare nelle nostre comunità. In un mondo sempre più alienante, è forse l’unica risposta possibile per non perdere del tutto la nostra umanità.
Egregio, Lei ha toccato più argomenti che meriterebbero ciascuno giorni e giorni di approfondite discussioni.
Dovendo qua essere sintetico, la mia spiegazione minimalista del quadro da Lei esposto è che ci sia come una regressione di sapore tribale che sta sgretolando la società contemporanea.
Nelle parole e nei fatti, entrambi carichi di violenza, vedo questa regressione dopo un’apparente periodo di tregua coincidente con il periodo post bellico (cui appartiene la mia generazione) di necessaria ricostruzione del Paese.
Poi si è rotto qualcosa. Conformismo? Benessere diffuso? Globalizzazione? Semplice stupidità umana? Difficile da stabilire senza una analisi anatomo patologica del corpo sociale. Però Lei ha il grande merito di seminare le basi per una riflessione. Grazie e Saluti.
Nel 1977 frequentavo il liceo, classe terza, mi pare…. Quando rientravo a casa, dopo la scuola, al notiziario del Tg, mi chiedevo: ‘chi hanno ammazzato oggi?’ Erano i tempi delle assemblee infuocate, delle riflessioni sui massimi sistemi, dell’autocoscienza, del femminismo militante…. Ora, come allora, la violenza imperante mi inorridisce e mi spaventa moltissimo. E mi paralizza. I fatti di Bologna sono un grave campanello di allarme che – a mio parere – non deve essere sottovalutato se non vogliamo andare verso una deriva autoritaria da parte del potere politico al governo.
“Manovalanza”.
Schema sempre attuale e che permane funzionale a quel genere di soggettività politica che lotta per rimanere nel palco. Poi , possiamo utilizzare le vernici storiche migliori ma ciò che si presenta a “NOI” , noi che guardiamo , è la medesima e trita recitazione.
Se intendiamo esemplificare , così come era necessario per un partito di massa come il PCI non avere concorrenti nell’amministrazione del proprio “popolo” così è valido, certo in forme narrative diverse, per un partito vuoto come quello Democratico, oggi.
Fino a ché ci saranno comparse e annesse comparsate il Teatro non chiuderà bottega; è di fondamentale ed essenziale necessità farla finita con tutti i teatri e con tutti gli squallidi suoi attori e famigli.
quindi è necessario un ripensamento interiore di ciò che è divulgato come “Rappresentanza” che esclude una prospettiva da schiavi.
Ho scritto troppo
Tambene si de Pàulos Maninchedda ndhe aimus nessi pagos àteros!
Pregamus.
Faghimus.
Za faghet. Fintzas a ndhe tènnere medas.
E ndh’amus fintzas bisonzu mannu in custa tzivilia maca de gherra, de irbariados, totu in gherra, totu fatos a dinari e a bombas e ‘pacifica’ merce, alluvionados prima in conca e in terra a isperdimentu.
Ma mescamente tocat a èssere ómines, cristianos, no mascros mascrinos mascrones.
Ómines e féminas de zudu, de cabbale, de imprastu, de cusséntzia, de coro e de mente, no ómines/fèminas “animales sociales” segundhu sa definitzione de Aristòtele.
Zente, mih, tocat chi siemus!