Guai a pensare in grande in Sardegna. Si rischia l’impopolarità.
È un fenomeno di semplificazione neuronale sempre esistito in Italia, ma oggi potenziato dalla felice schiavitù commerciale promessa a tutti, come destino universale, dalla globalizzazione.
Eppure servirebbe moltissimo riaprire i libri ingialliti dei grandi temi politici.
Su quali basi di giustizia e di libertà è fondato lo Stato italiano?
Quanto pesa ancora il pensiero di Gentile nella concezione attuale dello Stato?
Perché la Sinistra italiana e sarda è nazionalista, centralista e non riesce a concepirsi almeno federalista? Perché non riesce neanche a contemplare in astratto che uno Stato possa fondarsi su più nazioni?
Perché i Sardi sembrano entusiasmarsi nel dire che la Sardegna è un’isola (un’ovvietà) e non a dire che è una nazione (una grande possibilità)?
La Destra italiana è mai stata davvero liberale? O democratica?
L’autoritarismo, il conformismo, lo spirito tribale di branco sono fenomeni della Destra recente o della civiltà italiana comune? Lo spirito nazionale italiano è di Destra?
Il Cattolicesimo come forma organizzata di vita sociale (cioè non come religione, ma come abitudine sociale) è di Destra?
Il Cristianesimo è un problema per qualsiasi potere?
Proveremo nelle prossime settimane a ridare spazio ai grandi temi politici e a combattere la diffusa moria di cellule nervose.
Preliminarmente, però, occorre sgombrare il campo da un equivoco: il Centrismo.
Il Centrismo confonde il posizionamento verso le altre proposte politiche, con la strategia di fondo, cioè con la visione.
Essere Centristi vuol dire sperare sempre che tutti giochino in termini estremisti, in modo da distinguersi per il proprio equilibrio.
Se invece tutti si mascherano da centristi, o lo sono realmente, il centrista classico sceglie un altro terreno di competizione: la simulazione del potere.
Questo è il momento attuale della Sardegna, dove tutto è rappresentato in termini magniloquenti, ma dove tutto si è tinto di minuzie inconcludenti, di piccole sistemazioni, di imbarazzanti immobilismi, di proroghe, di facenti funzione, di veti e sussurri.
Perché? Per due motivi: 1) l’articolazione politica è solo tra chi ha il potere e chi non lo ha. Il luogo classico della politica, che è il vastissimo campo dei senza potere, è popolatissimo di persone ma considerato desertico dalla classe dirigente; 2) tutti giocano al Centro e dunque nessuno lavora su grandi visioni.
Questa povera brutalità richiederebbe una grande reazione culturale e invece sta generando un’incredibile arrendevolezza politica. Questo giornale si colloca all’opposizione della rassegnazione al peggio e non teme di apparire aristocratico solo perché si pone e pone delle domande. Siamo intelligenti, immaginiamo futuro.