Essendo da poco trascorsa la data dell’omicidio di Aldo Moro (9 maggio 1978), giornali e programmi tv ci ammorbano di ricostruzioni e di indiscrezioni che il più delle volte ci umiliano più di quanto ci confortino; ultimo in ordine di tempo Report ieri.
Non ci sono più ragioni politiche per continuare a mentire sul caso Moro. C’è solo il rischio della galera per alcuni, ragionevolmente ormai anziani. Se lo Stato volesse davvero far chiarezza, dovrebbe trovare il modo di scambiare verità con la concessione della Grazia, ovviamente in accordo con le vittime.
Tra i partecipanti ancora in vita all’azione del rapimento e del successivo omicidio ci sono, ovviamente, Mario Moretti (che oggi ha la veneranda età di 78 anni), Valerio Morucci (75 anni), Alessio Casimirri (73 anni), Alvaro Lojacono (69 anni). Chi sa più di tutti è Moretti, ma anche Morucci non scherza. Casimirri e Lojacono possono dir molto, ma non tutto. Moretti difende anche la sua dignità di capo: mai direbbe qualcosa che confermasse la presenza di condizionamenti esterni durante il sequestro (quali certamente vi furono).
Il problema è dato da due questioni: 1) le coperture e le complicità che garantirono lo svolgimento del sequestro e la gestione dell’ostaggio; 2) le carte originali degli scritti di Moro e le registrazioni dei cosiddetti suoi interrogatori, entrambe sparite.
Il primo punto scuote prevalentemente il mondo della sinistra e soprattutto il mondo borghese della sinistra che fiancheggiò attivamente le Br. Raccontare tutto significherebbe, ancor oggi, mettere nei guai molte persone, ragionevolmente appartenenti al mondo delle professioni di allora e di oggi. Inoltre, il problema vero per la Sinistra italiana potrebbe essere scoprire di essere stata infiltrata dai servizi segreti della ex DDR, come pure per il Pci scoprire che è molto probabile che avesse ai suoi vertici qualcuno che parlava con i servizi britannici (la linea dell’intransigenza, cioè della morte di Moro, era quella più gradita agli inglesi. Il vero nemico era Londra, ma la cecità dell’extraparlamentarismo italiano guardò allora agli Usa).
Il secondo è quello che mette più in imbarazzo le forze di polizia e gli apparati dello Stato, ma anche in questo caso si potrebbe correre il rischio di fare chiarezza: la gran parte delle persone coinvolte sono ormai decedute. Il sequestro Moro accadde dopo lo scioglimento del SID (1977) dilaniato dallo scontro tra Miceli (filo Moro) e Maletti (filo Andreotti). Nel momento del sequestro, i Servizi italiani erano senza testa, ma non senza organi e braccia e erano servizi che si sentivano, da un lato in guerra contro i comunisti e contro chi dialogava con loro, fino a proteggere e istruire i terroristi di Destra e far loro realizzare (per poi ritrarsi e lasciarli esposti) la Strategia della tensione; dall’altro si sentivano abbandonati proprio dalla strategia politica di dialogo e di unità del Paese che Moro (con Cossiga) avevano avviato.
Pezzi dei Servizi seppero del sequestro Moro, ne agevolarono la realizzazione e, secondo me, ne curarono la pulizia successiva, quella che fece sparire gli originali e i nastri (Pecorelli morirà per aver messo il naso in questa operazione ‘igienica’). Moro, che combatté per se stesso da solo (secondo il fulgido esempio del giudice Sossi) dovette dire qualcosa che le Br non capirono e che invece allarmò chi, con scopi opposti, li aiutava. Questo spiegherebbe le incoerenze dell’ultima settimana di detenzione e la decisione, apparentemente assurda e illogica, dato il raggiungimento dell’obiettivo di rompere il fronte della fermezza con l’annunciato pronunciamento di Fanfani, allora Presidente del Senato, di ucciderlo.
Bisognerebbe poi ritrovare la carte che Dalla Chiesa nascose su Andreotti e di cui parla la suocera di Dalla Chiesa, la madre di Emanuela Setti Carraro. Dalla Chiesa le nascose come assicurazione sulla vita.
Ciò che mi colpisce delle trasmissioni tv di questi giorni è l’acume disordinato verso i fatti di quarant’anni fa e la cecità verso quelli di oggi.
Per esempio: è chiarissimo che la magistratura italiana ha le prove di un diffuso sistema corruttivo delle imprese verso i partiti, che diventa maggiore verso i partiti di governo. È altrettanto chiaro che sia all’epoca Prodi che in quella Berlusconi i Servizi non sono stati usati per la politica interna. Con Conte prima e con la Meloni poi, i Servizi hanno respirato e respirano un’aria diversa, più accentuatamente governativa e meno istituzionale. L’inchiesta di Genova è chiaramente la punta dell’iceberg e il problema è che cosa faranno nei prossimi mesi le procure di Roma, Perugia, Napoli e Palermo. Una cosa è certa: il denaro ha ripreso a girare e corrompere. Le possibilità di reazione della politica contemplano anche l’uso dei Servizi. Staremo a vedere.
Altrettanto certo è che la magistratura, quella sana di mente e di cuore, quella libera da pregiudizi, non ha ancora affinato metodi di indagine adeguati a colpire il nuovo malaffare, che è molto più sofisticato e internazionalizzato di prima. Se la magistratura di Tangentopoli aveva la galera troppo facile, quella di oggi sembra proprio far fatica a capire come sta girando il mondo. Vi è un segnale che lo indica: Melillo, Procuratore Antimafia, e Cantone, procuratore di Perugia, nel mese di marzo hanno gridato allo scandalo dei dossieraggi operati dall’ufficiale della Guardia di Finanza Striano, il quale, giustamente, si è difeso dicendo di non aver agito di sua iniziativa. Dopo il putiferio, il silenzio. Che cosa significa? Significa che chi ordinava a Striano di dossierare ero lo Stato. La magistratura dovrebbe capire nella persona di chi e perché. Ma una cosa è certa: torniamo ai Servizi.
Giuseppe Conte evoca la P2. Anche questa è una dichiarazione per distrarre il popolo. I Cinquestelle sono tra i maggiori protagonisti dell’occupazione dello Stato con figure al di sotto di ogni sospetto, privi spesso di competenze adeguate, ma ben rivestiti di balle social. Conte agita il popolo per infiltrarlo e lo fa con sfacciataggine. Il suo punto debole? Gli serve lo Stato per tenere unita la “famiglia”, deve conquistarlo in breve tempo. Se lo tengono a lungo a pane e acqua, scoppia.
Qui ci sono due temi:
1-Sequestro Moro, niente da commentare;
2- «è chiarissimo che la magistratura italiana ha le prove di un diffuso sistema corruttivo delle imprese verso i partiti, che diventa maggiore verso i partiti di governo.»
Qui ci sarebbe troppo da dire: il nodo dei rapporti fra politica e affari è inestricabile, e la legislazione attuale, che vorrebbe esser preventiva e repressiva, è in realtà borbonica, liberticida e moralista (soprattutto ipocrita), avendo fatto crollare il criterio della certezza e pre-descrizione del comportamento proibito.
Oggi anche Padre Pio sarebbe imputabile di concorso esterno, traffico di influenze, voto di scambio e abuso d’ufficio; potrebbero portargli via i beni e non restituirli ai figli nemmeno dopo la morte e l’assoluzione.
Fra i due mali (corruzione, vera o percepita che sia) e dittatura della galera facile, sinceramente non saprei cosa scegliere. Ma d’istinto preferisco un regime nel quale mi considerino per bene fino a PROVA contraria, e mi lascino libero di votare contro i gruppi di potere che finanziano, alla luce del sole, le loro opere di cemento armato del cazzo.
E vorrei sapere quale processo ha mai bloccato il cemento armato del cazzo, quando tutti lo volevano.
Da una sua ottica, ma non disprezzabile in questo caso, affronta la questione Giuliano Ferrara https://www.ilfoglio.it/politica/2024/05/12/news/se-teoremi-corruttivi-e-politica-lecita-finiscono-nello-stesso-sacco-6536094/
Povera Sardegna, povera italia.
A trent’anni dalla conclusione di Tangentopoli, la corruzione in Italia ha decisamente superato l’età della pensione. Invece di ritirarsi tranquillamente, si è reinventata, vestendo i panni della modernità con una creatività degna di un premio Oscar per il miglior adattamento. Un tempo, i soldi cambiavano mano in buste marroni ben sigillate, mentre oggi i favori si celano dietro contratti di consulenza gonfiati e incarichi a dir poco fantasiosi.
Le vecchie tangenti in contanti sono state sostituite da operazioni più sofisticate: società di comodo dove i fondi fanno più giri di una giostra prima di arrivare a destinazione, e affidamenti diretti che scivolano sotto la soglia radar come spie in missione.
E cosa dire dei party esclusivi, dove le aziende corteggiano politici tra flûte di
champagne e sorrisi ammiccanti? Questi eventi, sono diventati il nuovo campo di battaglia della corruzione, con tanto di donne e lusso a fare da contorno.
L’ingegnosità italiana nel campo della corruzione si è evoluta al punto da fare invidia alle trame più complesse di un romanzo di spionaggio. La corruzione di oggi non suona più alla porta di casa con una valigetta piena di banconote, ma piuttosto ti invia un invito in un lussuoso yacht, dove il lavoro si confonde piacevolmente con il piacere.
Le nostre istituzioni, però, sembrano giocare a nascondino con una benda sugli occhi. Mentre la corruzione si è data al digitale, le nostre leggi e i nostri investigatori stentano a seguire il passo. Le metodologie investigative si attardano in un nostalgico balletto burocratico, mentre la corruzione balla il tango con l’innovazione tecnologica.
In questo contesto, è emersa una nuova varietà di corruzione: quella ambientale.
Con l’aumento dell’importanza delle politiche green, non sono poche le aziende che hanno visto l’opportunità di “verdire” i loro bilanci più con la corruzione che con la sostenibilità. Certificazioni ambientali comprate più facilmente di un caffè al bar, e progetti di energia rinnovabile che servono più a rinnovare i conti in banca di alcuni che a salvare il pianeta.
E poi c’è la corruzione digitale: appalti per software che nessuno userà mai, progetti di digitalizzazione che fanno “crash” più spesso dei computer su cui dovrebbero girare. Sembra che ogni nuova tecnologia porti con sé nuove opportunità per vecchie abitudini. Nel contesto italiano attuale, la corruzione ha assunto forme sempre più sofisticate e meno riconoscibili rispetto agli scenari classici di Tangentopoli. Oltre ai metodi tradizionali, emergono nuove varianti di malaffare che sfruttano le tecnologie avanzate e i cambiamenti nel tessuto economico e sociale.
Nel settore dei contratti pubblici, i metodi per individuare le pratiche corruttive si sono evoluti grazie all’uso di algoritmi di apprendimento automatico. Questi strumenti analizzano i dati delle gare d’appalto per rilevare segnali di corruzione, come la partecipazione anomala alle gare o i contratti negoziati in modo poco vantaggioso per le entità pubbliche (https://epjdatascience.springeropen.com/articles/10.1140/epjds/s13688-022-00325-x).
Un’altra pratica diffusa è l’influenza illecita, che coinvolge individui che sfruttano la propria posizione per influenzare indebitamente funzionari pubblici o responsabili di servizi pubblici, ottenendo vantaggi finanziari attraverso la mediazione illecita (https://practiceguides.chambers.com/practice-guides/anti-corruption-2024/italy/trends-and-developments). Questo è stato ulteriormente esteso anche agli ufficiali stranieri, aumentando il campo d’azione di questa forma di corruzione.
La legislazione italiana ha risposto a queste sfide con la Legge3/2019, nota come ‘Legge Spazza Corrotti’, che ha introdotto pene severe per la corruzione e ha ampliato il raggio d’azione delle indagini, permettendo l’uso di intercettazioni informatiche avanzate per tracciare le comunicazioni tra i sospettati (https://www.ibanet.org/june-2021-italian-anticorruption-law), che forse verrà indebolita e che non sembra abbia prodotto grandi effetti.
In aggiunta, il cambiamento nelle pratiche corruttive include forme di corruzione “privata”, dove dirigenti di aziende private possono essere corrotti per favorire atti contrari ai doveri dell’ufficio, un fenomeno che la legge ha iniziato a contrastare “più efficacemente…….” a partire dal 2002.
Da non dimenticare il “pantouflage”, che emerge come una nuova forma di corruzione. Questo fenomeno vede funzionari pubblici trasferirsi nel settore privato, spesso in aziende che precedentemente avevano regolamentato o con cui avevano avuto interazioni ufficiali. Questi movimenti possono portare a conflitti di interesse e decisioni favorevoli alle nuove entità private, potenzialmente a scapito del bene pubblico.
L’arroganza di alcuni politici italiani, che proclamano di voler combattere la corruzione mentre si comportano in maniera opposta, è palpabile. Durante l’era di Tangentopoli, un avviso di garanzia rappresentava una macchia indelebile sulla carriera di un politico, spesso conducendo alla vergogna e al ritiro dalla vita pubblica. Contrariamente, oggi alcuni politici, anche di fronte ad arresti o scandali, mantengono un atteggiamento di sfida, apparendo in pubblico a testa alta come se fossero immuni da critiche e conseguenze legali. Questo cambiamento di atteggiamento non solo sottolinea un senso di impunità che sembra permeare certi livelli della politica italiana, ma mostra anche una distanza crescente tra il dovere di servire l’interesse pubblico e la pratica di salvaguardare i propri interessi personali e politici.
Credo non ci sia da aggiungere nulla complimenti per la acutissima analisi