Il numero 8 della rivista Ichnusa (seconda serie) uscì nel marzo del 1985.
A gennaio c’era stato il conflitto a fuoco di Osposidda.
Da poco più di sei mesi era in carica la Giunta di sinistra presieduta da Mario Melis che aveva guidato il Psd’Az alla vittoria nelle elezioni regionali del giugno 1984. Ancora oggi Wikipedia sostiene che la vittoria venne dalla radicalizzazione della proposta politica del Psd’Az su posizioni definite “secessioniste”.
La rivista è un pensatoio prevalentemente della sinistra sassarese e svela plasticamente proprio nel numero 8 che comunisti e sardisti parteciparono alla Giunta come un’idea reciproca di egemonia culturale, cioè di svolgere gli uni rispetto agli altri funzioni di direzione e di orientamento. Fu una collaborazione/competizione che fu combattuta anche sul terreno culturale. Ichnusa fu uno dei tanti teatri dello scontro e proprio il numero del marzo 1985 accoglie contemporaneamente una dura censura, condotta dal lato marxista da Virgilio Mura, dei presupposti ideologici usciti dal congresso di Portotorres del Psd’Az (popolo sardo, nazione sarda, indipendenza della Sardegna ecc.) ma anche, ed è ciò che per il momento ci interessa, la pubblicazione del verbale di interrogatorio dell’allora presidente della Regione Mario Melis da parte del giudice Walter Basilone.
Basilone deposita le quattrocento pagine di accusa contro i separatisti sardi nel dicembre del 1984. È l’indagine contro Doddore Meloni e contro Bainzu Piliu (sul quale tornerò nei prossimi giorni). L’indagine si regge sul rinvenimento di esplosivi e su pentiti.
Mario Melis, prima dell’interrogatorio (in realtà furono tre, come ricorda il redattore di Ichnusa), aveva rilasciato un’intervista ad Alberto Statera sulla Nuova Sardegna e aveva affermato che, a suo parere, dietro l’inchiesta contro le azioni dei cosiddetti separatisti sardi c’era la mano dei servizi segreti italiani.
Il ragionamento di Melis nell’intervista e nell’interrogatorio è contemporaneamente astuto e coraggioso: da un lato tiene il punto delle sue convinzioni, ancorandolo a deduzioni logiche e storiche; dall’altro non formula mai un’accusa circostanziata che possa dare spazio all’azione del magistrato.
Il ragionamento di Melis (che era stato definito un mezzo terrorista da De Mita, che sapeva della dura censura del ministro Bodrato contro Bainzu Piliu, che sapeva insomma che una larga parte dell’opinione pubblica italiana e sarda e ampi settori dello Stato non vedevano l’ora di coglierlo in fallo ‘eversivo’) era il seguente: chi ha da sempre ottimi rapporti con i servizi segreti libici non è il Partito Sardo d’Azione, ma il servizio segreto italiano. Non può accadere che un’infiltrazione libica del Partito Sardo avvenga senza il consenso e il supporto dei Servizi italiani (e delle forze politiche che da sempre vi sono radicate). Ne consegue che i servizi hanno ‘guidato’ un’azione in modo da prepararla per l’azione giudiziaria.
Melis capisce e descrive anche i metodi: più soggetti controllati, alcuni manovrabili altri no, finché non si può valorizzare un’azione, un fatto, sul quale non si accende il faro di una sola procura, ma di più procure, in modo da dare perfettamente il senso di una minaccia articolata, curando che ad accendere l’interesse giudiziario siano anche i rivali politici.
Non solo: Melis capisce che l’attacco è mosso da due parti.
Da un lato su fatti specifici più esplicitamente addebitabili come reati contro lo Stato, contro le cose o contro le persone, dall’altro sulle idee e sui cattivi maestri.
È questo il filone che cerca sempre ‘il grande vecchio ‘, cioè la mente strategica, l’oscuro tessitore, il puparo, ma che anche frequentemente fraintende l’attività politica e intellettuale come attività delittuosa. La magistratura un po’ abbocca all’esca dei Servizi preparata per poter processare un intero partito come soggetto eversivo e un po’ cerca di capire se i vertici del Psd’Az teorizzassero l’insurrezione come corollario della scelta indipendentista o se semplicemente erano informati delle azioni dei singoli.
Il dato ricorrente, però, è sempre quello dell’indebolimento morale dell’azione politica attraverso l’azione giudiziaria, dentro la quale si aggirano figure di secondo piano sempre pronte a una testimonianza, a una conferma circostanziale, a una confidenza non richiesta o a una richiesta inopportuna, a un ricordo, a un mero apparentemente innocuo tassello. È in queste figure da penombra che i servizi lasciano sempre le loro impronte digitali ieri come oggi.
Ogni tanto continueremo a raccontare di queste storie, per la verità, per la storia e per vincere la paura lottando.
E già, tenere vivo il ricordo di un grande uomo politico (scaltro e intelligente) come Mario Melis che dimostrava sempre la sua sardità con orgoglio e convinzione (anche quando De Mita definiva i sardisti “mezzo terroristi”); e De Mita rappresentava allora il potere che poteva incutere timore vero !
Cerchiamo di seguire tutti il suo esempio
È giusto ricordare, analizzare il passato per costruire il futuro, anche se bisogna ammettere che abbiamo perso in quel periodo una occasione di riscatto del Popolo Sardo, è mancato il coraggio, la passione l’amore per la nostra terra, abbiamo preferito ieri come oggi scimmiottare la politica italiana fatta di spartizione, compromessi con la solita tiritera che non porta e non porterà nulla al Popolo Sardo. Caro Paolo sono convinto che in questa Terra di Sardegna prima bisogna eliminare l’invidia atavica che si annida tra tutta la galassia Sardista Indipendentista ( non facile da estirpare) poi elaborare un progetto Politico economico dove i Sardi possano vedere uno spiraglio di luce che possa ridare fiducia e speranza ad un Popolo disorientato, confuso da una classe dirigente Isolana siffatta, Serva, Sorda, che non vede e sente il grido di dolore della nostra gente. Forse non c’entra niente con quello che tu hai scritto Paolo, ma io ho voluto dirti quello che penso in questo momento.
«Vincere la paura. Lottando».
In sa lughe de su sole e de sa veridade istórica.
A cara arta, manos límpias e corazu tzivile.
In sa libbertade e responsabbilidade personale e colletiva de sos Sardos, e no de su burdellu coltivadu de s’Istadu italianu.
È una storia tutta da scrivere, molto trascurata da chi avrebbe il compito culturale di ricostruire e spiegare.
Poiché le omissioni, più che le azioni, non si coltivano a caso ecco che anche solo ricordare la vicenda assume un valore davvero rilevante.
Paolo, condivido totalmente la tua analisi così come ho condiviso, a suo tempo, quella di Mario Melis. Io ho vissuto dall’interno, da dirigente del Partito Sardo d’Azione, tutta la vicenda del cosiddetto complotto separatista. Non sono stato coinvolto direttamente nelle indagini (che io sappia) probabilmente per via della esperienza che avevo maturato avendo fatto gli studi universitari durante il periodo delle lotte del 1968 e dintorni. Ti posso assicurare (ed esistono molte prove) che il PSD’AZ ed il movimento indipendentista in genere erano abbondantemente infiltrati da provocatori seppure in genere si trattasse di figure di secondo piano e spesso di basso livello culturale.