Sono stati anni difficili. Guerra civile e guerre tra stati hanno sfiancato tante donne e tanti uomini, hanno sfinito i popoli. Intere comunità nazionali si sono violentate. Abbiamo contato morti e lutti che non si potranno dimenticare.
Tutto questo creato dai deboli, da quelli che si sono piegati, da quelli che si sono adattati per convenienza o che hanno esaltato la prepotenza. Allora non sapevamo, forse.
In tanti hanno chiesto i “pieni poteri”, i tribunali speciali, le persecuzioni politiche. Hanno inneggiato all’”uomo forte”, al padre autoritario che impone regole e somministra punizioni, premia i lecchini e si garantisce il privilegio. Allora non sapevamo, forse.
Oggi non è così.
Il mostro che soffoca libertà e causa i conflitti non nasce da solo, è molto aiutato. Quel mostro può avere un nome, una divisa, può avere una voce tonante.
Attenzione, però. Le teste sono tante, ognuna ha occhi e lineamenti diversi. Ognuna controlla l’altra e tutte insieme controllano noi. Tutte quelle teste spolpano il futuro, le culture e le economie. Ingorde divorano fino al disastro, fino alla ribellione. Poi, decidono sulle armi e sulle galere.
Ma inesorabilmente, come succede in terra. Niente è eterno. Quando la tragedia è consumata, improvvisamente, le teste si staccano e cadono tra la gente. Tante, quasi tutte, si confondono con le vittime e aspettano che torni il tempo migliore. Una rimane, la più evidente, per essere tagliata. Meritatamente.
Così è stato molte volte, troppe. Così è stato in tanti luoghi, troppi. Così è ancora oggi. Nonostante la storia, nonostante i documenti della memoria, nonostante le ferite, nonostante le lapidi nei cimiteri, nelle strade, nelle piazze, nonostante la crudezza tragica della vendetta, le immagini stampate nella sofferenza dei sopravvissuti.
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S’Umanidade no est sa libbertade de fàghere donzunu su chi li paret e piaghet coment’e chi in su mundhu siat s’únicu abbitadore, solu e soberanu. E s’órdine no est sa prepoténtzia e presumu de messias fartzos chi cumandhant che abe reina in d-unu casidhu de abes, no solu ca su determinismu de s’animale no est sa libbertade de sos umanos, ma ca sa prepoténtzia e presumu sunt isperàntziaingannu, fide chentza ogros e caridade pilosa pro leare chentza dare, AVERE AVERE AVERE, aprofitamentu invasore de logos, de carenas fatas mòere che mascaredhas in manos de zoghistas, invasione de cusséntzias e de vida de sos àteros fata aurtire, ingalerada, gassificada. Entropia. Morte.
S’Umanidade est fide, isperàntzia e caridade, libbertaderesponsabbilidade, bisonzu e donu de s’unu cun e pro s’àteru, s’órdine e fortza de sa vida, interdipendhéntzia abbista e rispetosa, mai perfeta e sempre difítzile ma sempre chircada, útile a totugantos, abbista e rispetosa, demogratziaunione, èssere prus e menzus ca su pesu de su èssere est donu libberamente dadu e libberamente leadu. Su èssere est sa vida.