Leggo della ministra Fedeli e giro pagina.
Però ho imparato a fare di ogni occasione, anche la più dolorosa, un’opportunità per scendere in profondità col pensiero.
Le parole spese dalla ministra nel suo tour a parlare della politica del governo dimissionario (mah!) mi hanno riportato alla bocca la sensazione di disagio che provo ogni volta che parlo con gli insegnanti e che sto provando ogni giorno nella mia attività di professore dell’Università di Cagliari.
Il cuore della scuola non è più la qualità dell’insegnante e il sistema di relazioni tra il docente, l’alunno e la sua famiglia. No; il cuore è il meccanismo burocratico. L’insegnante è un dipendente di un’azienda governata da un manager, il preside. La prevalenza del modello aziendalista è un vero disastro, sia per la psicologia di molti dirigenti scolastici che non hanno un misurato senso di sé, sia per la cultura. L’idea tutta anglosassone della parametrazione dello spirito, ossia della parametrazione delle attività culturali, scientifiche e artistiche, che un tempo erano le litterae humanitatis, cioè le attività degne dell’uomo libero, ha trasformato l’insegnamento, l’educazione e la formazione in un meccanismo su cui fare check list di efficienza, ma ha anche generato il potere della macchina burocratica che gestiscce la check list.
Questo è diventato molto più evidente nelle università.
È cambiata anche la retorica. Prima si aveva consapevolezza che l’università era il rapporto tra i docenti e gli studenti. Quando Abelardo si spostò sulla rive gauche, lo fece con i suoi studenti. L’università è universitas studiorum, associazione di chi studia e di chi apprende.
Oggi l’Università è un mostro burocratico che è egemonizzato dal controllo di gestione, dai parametri per accedere ai finanziamenti e dal dominio degli apparati che gestiscono questa macchina. Oggi i docenti sono impiegati degli impiegati e dei dirigenti. Se ne ha un riflesso anche nella corrispondenza interna, con l’uso di tempi verbali imperativi, appena attenuati dal burocratico S.V.
Qualche giorno fa sono stato convocato dal Collegio di disciplina con toni peggiori (o ‘più peggiori’ secondo il nuovo standard ministeriale) di quelli di un Pubblico Ministero (saluto anche oggi quella parte della magistratura che mi segue da anni per vedere se faccio la pipì fuori dal vaso) per testimoniare in un procedimento disciplinare a dir poco kafkiano, un’architettura gerarchica prevista per legge ma per me inimmaginabile, attivata per non sapere usare il buon senso, la comprensione, il perdono. Una follia. Ma è tutta l’aria che si respira all’università che è di sofferenza da egemonia del meccanismo.
L’università respira se è animata dalla libertà e dalla creatività. Se invece tutto è avvolto da un burocratismo occhiuto e inconcludente, inevitabilmente la gente dedica tanto tempo a carte, registri on line e tabelle varie, ma non studia, non educa, non forma. Il docente è condannato a pubblicare molto, non importa che cosa, conta solo dove lo pubblica.
Non mancano le piccole delusioni quotidiane: tanta burocrazia e poi per far spolverare il mio studio a sa Duchessa, dove una studentessa si stava sentendo male per l’allergia agli acari, ho dovuto ricorrere ai buoni uffici del mio direttore di dipartimento; nel bagno del corridoio non c’è la carta igienica e non ci sono salviette per asciugarsi le mani; il pavimento, inevitabilmente, alle 11 è costellato di gocce d’acqua (quando tutti si concentrano sull’obiettivo, altrimenti compaiono tragicamente altre gocce). Quando ero assessore ai lavori pubblici ho dovuto trovare in tutta fretta le risorse per costruire la strada di sicurezza per l’uscita delle ambulanze del Policlinico: prima dell’arrivo di Sorrentino all’AOU nessuno si era reso conto di questa falla nella sicurezza degli accessi e delle uscite dal Pronto Soccorso; nessuna check list è in grado di sostituire l’intelligenza e il buon senso. Insomma, tutto a posto e niente in ordine, questo è l’effetto degli appalti al massimo ribasso tirati per il collo. E mi dispiace moltissimo, perché da presidente della Commissione bilancio vinsi la battaglia – rettori Melis e Mastino – per aumentare in modo rilevante i contributi regionali ai due Atenei.