Ieri, su invito del prof. Mariano Porcu, docente di statistica dell’Università di Cagliari, il rettore dell’Università Bocconi di Milano, Francesco Billari, ha presentato a Cagliari, nell’aula magna del Rettorato, il suo libro Domani è oggi.
Ad ascoltarlo settanta persone (tra cui io), prevalentemente professori universitari, il direttore della Fondazione di Sardegna, qualche dottorando e, rara avis, qualche studente. Età media 50 anni.
Nessun amministratore pubblico.
Nessun politico.
Eppure è stata una lezione molto suggestiva di aritmetica della politica, come avrebbe detto nel Seicento William Petty, uno scienziato sociale sconosciuto ai più e nel quale io stesso mi sono imbattuto solo per un caso. Mi occupavo di studiare l’utilizzo del latino nel Seicento e scoprii il titolo misto di questo arzillo signore: Quantulumcunque concerning money.
Vorrei ricordare ai Cinquetasche, oggi assisi in trono, un vecchio detto medievale: Rex illiteratus, asinus coronatus. Se chi governa non sente lo stimolo esigentissimo del sapere di non sapere, la politica è destinata a ronzinare, trasformando i suoi potenziali sauri in tristissimi ciucci.
La fisiognomica non è una scienza, ma è quella che decide, in dieci secondi circa, se una persona risulta gradevole all’interlocutore oppure no.
Billari non è un glabro flavo delle steppe padane. È un calabrese della diaspora, villoso e nero con occhi e voce ipnotici, uno che ti rilassa col sopracciglio.
Non è un palestrato che ti fa sentire in colpa per il salvagente cinquantino che ti avvilisce ogni mattina quando lo guardi dopo la doccia; ha anche lui la ‘pancetta d’ordinanza’ dei professori, di chi fa ogni giorno otto ore di ginnastica col solo indice della mano destra su quell’attrezzo faticosissimo che è il mouse.
Non proviene dall’endogamia universitaria, cioè da quel maledetto vizio di molti docenti di sposarsi tra di loro e di lasciare lo stesso lavoro accademico in eredità ai figli.
Billari è figlio di genitori con la sola quinta elementare. La puzza della fatica delle generazioni precedenti si avverte nel nitore del suo pensiero dedicato a questioni essenziali e civilmente rilevanti.
Billari è un demografo, studia come è strutturata la popolazione e come si evolve. Dà i numeri che dovrebbero stare alla base di qualsiasi proposta politica. Viceversa, come ha detto Emanuela Marroccu, economista dell’Università di Cagliari, i politici, quelli sardi in particolare, fondano le loro proposte sulle loro stesse opinioni, maturate sulle loro auguste sensazioni o su una durissima militanza social, laddove la terra è piatta, Jim Morrison è vivo e i Beatles erano alieni.
Il principale, grave e urgentissimo problema della Sardegna è la crisi demografica: bassissimo indice di fertilità (il più basso in Italia), invecchiamento della popolazione, desertificazione delle zone interne. Un presidente della Regione che si rispetti, dovrebbe chiamare Billari e/o Porcu e/o i loro colleghi e chiedere loro di spiegargli la situazione attuale e le tendenze. Invece no.
Il tempo è un tema terribile per chi ci voglia dedicarci un po’ di attenzione (le slide mi sono state concesse cortesemente dall’autore).
Per Agostino, il tempo era immateriale e psicologico (il passato non c’è più, il presente fugge, il futuro non c’è ancora); Einstein ci ha mostrato che, invece, il tempo è una dimensione della materia.
Le scienze sociali (la demografia è una scienza sociale, forse quella che più di altre può usare legittimamente il termine oggi abusato di scienza) svelano che i fenomeni della popolazione sono attivi con ritmi differenti: politica e economia dovrebbero muoversi con adeguata velocità di interpretazione del presente, la demografia prepara con un ritmo lento, ma ineludibile e inesorabile il futuro. Se i due ritmi non si parlano, la catastrofe è certa.
Billari ha mostrato come la struttura della popolazione italiana sia passata da quella che produce un grafico a piramide (1861) a quella che restituisce un grafico a nave (2003, in basso, 2023 in alto).
Nel primo modello, la base è larga ed è data dai bambini da 0 a 4 anni; il vertice è stretto ed è dato dagli anziani più longevi.
Il secondo modello ha la base stretta (la chiglia della nave), perché nascono meno bambini, è la pancia larga (il ponte centrale della nave), perché la vita media si è allungata. Nel 2003, vent’anni fa, la classe di età più numerosa in Italia era quella tra i 35 e i 39 anni; nel 2023 la classe più numerosa è quella dei 55-59 anni, cioè la stessa classe di vent’anni prima, invecchiata.
Non è possibile fare le stesse politiche con una struttura della popolazione così radicalmente mutata. Billari ha fatto gli esempi della scuola e delle politiche sui migranti.
Abbiamo pochi giovani e ci serve che lavorino presto (per pagare tante pensioni), che siano istruiti per guadagnare bene, che siano socialmente inseriti.
Serve un sistema scolastico che piuttosto che selezionare l’aristocrazia sociale, sia invece così versatile da adeguare la formazione a qualsiasi talento. Non si tratta di promuovere tutti, di diplomare o laureare tutti, o peggio, di far fare il liceo a tutti, ma di essere così duttili da non perdere le potenzialità di nessuno. Invece la nostra scuola è ancora gentiliana, cerca di premiare i migliori. La meritocrazia deve essere declinata non verso il darwinismo che premia l’eccellenza e manda al macero la mediocrità, ma nell’adeguare il sistema all’antico adagio di ‘a ciascuno il suo’, cioè dovrebbe favorire l’incontro tra vocazione e formazione, tra skills (come dicono gli imperialisti inglesi che pretendono di dare i loro nomi a tutte le cose) e formazione (training).
Se andiamo a verificare chi sta rinforzando la chiglia della nave (senza chiglia non c’è nave), cioè chi sta facendo figli e li sta anche facendo studiare tra mille difficoltà, scopriamo che sono gli immigrati. L’Italia è ferma, sull’immigrazione, alla Legge Bossi-Fini, cioè a una legge animata dalla convinzione dell’immigrazione come minaccia piuttosto che come opportunità.
Il tema non è immigrazione sì o immigrazione no. Per l’Italia e per la Sardegna è strategico produrre e gestire immigrazione. Il problema è come farlo. Modello francese o modello tedesco, per fare due esempi? Quale è la strategia di integrazione migliore per sfuggire al rischio, nel medio e lungo periodo, di una guerra civile, quale si intravede in alcune periferie francesi?
Il tema è come integrare, non come respingere.
Il libro dà molte risposte, non è un testo della disperazione, ma del ragionamento.
Se un difetto si può scorgere nella giornata di ieri è nella sottovalutazione delle grandezze non matematiche che incidono sui fattori demografici. Il tema della percezione della vita, del suo significato e valore, della visione dell’uomo e della sua natura, il tema della felicità desiderata, sono decisivi per capire perché non si fanno più figli, ma anche perché si trova così complicata la strada degli affetti.
Ieri ero l’unico umanista presente ed ero lì perché amico di Mariano Porcu, demografo sì, ma anche accanitissimo lettore, sin dall’infanzia, di buona letteratura (rilegge una volta all’anno Il conte di Montecristo, non solo per allenarsi mentalmente a difendersi dagli agguati accademici, ma anche per il piacere del bello). È dai tempi del De sui ipsius et multorum ignorantia di Petrarca che i tassonomici, i descrittori esatti della realtà, non si arrendono all’evidenza che la misurazione delle grandezze non restituisce il senso della realtà.
Sapere che E = mc2 non ha risolto un solo grammo della domanda Perché esistiamo? Che senso ha la nostra esistenza? Per che cosa vale la pena vivere? Hume, bisogna rileggere Hume.
Si ama, si fanno figli, ci si sacrifica per gli amici e per il mondo per ragioni che la matematica non può misurare e che gli umanisti frequentano da millenni, ma nessuno legge più Seneca o Cicerone, nessuno studia più la radice del cristianesimo e la sua vertiginosa promessa, pochi leggono Dante o Abelardo o Monti o il nostro profondissimo Antoninu Mura Ena e così nessuno studia più le risposte che nei secoli sono state date a quelle domande. Il sesso è diventato ginnastica, l’amore è stato bandito come grandezza non misurabile e quindi non vera.
Andando via ho raccontato un aneddoto a Emanuela Marroccu. Un maestro chiede a un bambino sardo: “Hai venti pecore, due vanno via. Quante ne rimangono?” Il bambino risponde: “Nessuna”. Il maestro indignato reagisce: “Tu non conosci la matematica”. “No, risponde l’alunno, è lei a non conoscere le pecore”. I fattori immateriali che governano le nostre azioni…
Alla fine degli anni ’80, durante gli studi universitari, mi trovai a sostenere l’esame di demografia, – che affiancai a tre esami di statistica -, una materia che molti studenti sceglievano per la sua presunta semplicità. Tuttavia, rimasi affascinato dalla complessità e dalla rilevanza di questo campo di studio, specialmente in relazione alla mia terra, la Sardegna, che oggi rappresenta uno dei simboli della decrescita demografica.
La Sardegna è afflitta da una denatalità marcata e da un’inadeguata attrattiva migratoria; non solo mancano nuovi arrivati dall’esterno, ma anche gli immigrati dal continente africano sono in diminuzione. In parallelo, assistiamo a una “fuga dei cervelli” con giovani che lasciano l’isola per studiare o lavorare altrove e non fanno ritorno, accelerando l’invecchiamento della popolazione.
Il combinato disposto di denatalità, fuga dei cervelli e scarsa immigrazione costituisce un cocktail devastante che, nel giro di pochi decenni, rischia di cancellare piccole realtà amministrative in Sardegna, erodendo l’identità e la vitalità di intere comunità.
Di fronte a questa crisi demografica, è essenziale guardare oltre i freddi dati statistici e considerare le grandezze non matematiche che influenzano profondamente la società. Come è stato illustrato nell’articolo, la percezione della vita, il suo significato e il valore, influenzano direttamente le decisioni riguardanti la natalità e le relazioni umane. In Sardegna, la perdita di senso nell’amore e nella procreazione, vista come un valore non quantificabile e quindi spesso trascurato, è un fattore cruciale. Il tema richiede un approccio multidisciplinare che tenga conto non solo degli aspetti economici e sociali, ma anche di quelli culturali e umanistici. Una possibile soluzione potrebbe essere l’implementazione di politiche che migliorino le condizioni economiche e l’accessibilità educativa, combinate con iniziative che promuovano un ritorno alle radici culturali e comunitarie. L’integrazione del lavoro da remoto, ad esempio, potrebbe offrire nuove prospettive per i giovani che desiderano rimanere nell’isola mantenendo carriere gratificanti.
In conclusione, mentre le prospettive possono sembrare sfavorevoli, la storia e la cultura della Sardegna offrono un terreno fertile per soluzioni innovative che possono rivitalizzare la nostra terra. Riprendo l’aneddoto del bambino sardo e le sue pecore: come lui, dobbiamo comprendere e valorizzare ciò che è unico nella nostra cultura per affrontare efficacemente i nostri problemi contemporanei.
Molto interessante davvero
Molto interessante…
Grazie per la continua offerta di spunti di riflessione sulla nostra realtà.
Bellissimo articolo, ma deve essere Stupendo il contenuto del libro.
Se fossi un insegnante di scuola superiore e/o universitaria ne farei una bella lezione nelle aule.
Fortissima la barzelletta finale …
Viviamo tempi in cui è più sviluppata la frustrazione da mancate possibilità di consumo, che serena accettazione di quello che si ha e che si può avere.
Io, ad esempio, ora vado al Poetto con un libro di fantascienza sotto al braccio: questo sì che è vero lusso!
Sarà sfuggito l’invito all’addetto stampa, professionista di comprovata esperienza?