Il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro e della strage degli uomini della sua scorta, il capo della Polizia del tempo, il dott. Parlato, mandò a tutte le questure un fonogramma che disponeva, con la massima urgenza e priorità, di attuare immediatamente il Piano Zero.
Secondo le testimonianze registrate dal fratello di Aldo Moro, il magistrato Alfredo Carlo, più di un questore chiamò il Ministero degli Interni per sapere che cosa diavolo fosse il Piano Zero, ma per tutta risposta si sentì dire che anche là nessuno ne sapeva niente.
Poi i questori parlarono tra loro e si convinsero che la disposizione così tempestivamente varata fosse un ordine in codice e volesse dire: “Nessuno faccia qualcosa”.
La Commissione Parlamentare d’inchiesta accertò che a predisporre e a diffondere il fonogramma era stato il dirigente dell’Ucigos dottor Fariello, già questore di Sassari, e che lo avrebbe fatto perché a Sassari sarebbe esistito un Piano Zero della Questura, previsto per i reati più gravi.
Ancora oggi, però, nessuno sa in che cosa realmente esso consistesse e molti sospettano che fosse banalmente una denominazione della strategia del non far nulla dando la sensazione di far tutto (come si fece con i 72.400 posti blocco realizzati e i 6 milioni di persone controllate nei 55 giorni del sequestro. Il procuratore della Repubblica di Roma disse allora che si fece “parata” ma non indagini).
Il potere di Sassari, di fronte ai problemi di trasparenza sollevati sull’attività amministrativa dell’università e sulla vicenda della laurea del Presidente della Regione, sta provando il Piano Zero. Domani spiegheremo dove porterà questa estrema difesa elusiva e disperata, che si affida alla vana speranza di sfiancare l’avversario non facendo nulla, messa in atto da un sistema di poteri che teme di sgretolarsi malamente sulla buccia di banana di una carriera a forte accelerazione conclusiva e di un’attività amministrativa velata di opacità.