Uomini si diventa C’è un brano degli Atti degli Apostoli (capitolo 22) che si rivela essere molto attuale.
Paolo di Tarso si trova esattamente nelle stesse condizioni in cui si era trovato qualche anno prima Gesù: arrestato dai Romani per i tumulti suscitati tra gli Ebrei, legato a un palo, pronto per la fustigazione. A questo punto Paolo dice al centurione: “Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?”.
Il centurione si spaventò e corse dal tribuno a riferire, il quale a sua volta si precipitò a parlare con Paolo (sempre incatenato e pronto alla fustigazione) e gli domandò:
“Dimmi, tu sei cittadino romano?”. Rispose Paolo: “Sì“. Replicò il tribuno: “Io questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo“. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita!“. Ovviamente Paolo non venne né fustigato né crocifisso, ma comunque iniziò il lungo viaggio che lo portò alla decapitazione. Ma qui non interessa il martirio di Paolo, interessa lo scambio di battute tra i due, l’uno che aveva acquistato la cittadinanza e l’altro che l’aveva ereditata.
Questo era il mondo antico. La cittadinanza romana, cioè la condizione non di schiavitù o di debolezza, con la quale si godeva di diritti oltre che di doveri, cioè si era in qualche modo protetti dalla legge, poteva essere acquistata o posseduta per discendenza, per il sangue degli avi. Corruzione e privilegio, questo il binomio più diffuso nel mondo antico.
Il mondo moderno occidentale, invece, ha lottato per affermare che la legge è uguale per tutti e tutti si è uguali di fronte alla legge (non so quanti magistrati abbiano oggi la profondità di letture che comporta la comprensione di questo principio; oggi ne vedo tanti ormai ridotti a fare i tecnici del diritto, tanti che sanno solo i codici a memoria ma non hanno letto un libro di storia o un romanzo o un saggio dai tempi del liceo; bisognerebbe chiamarli “codicotrati” non “magistrati”, perché magistrato ha la stessa radice di maestro (magister) e francamente chi legge e ha letto solo codici non può facilmente insegnare alcunché se non ha fatto e continua a fare l’esercizio critico di capire il mistero del male e dell’imperfezione).
Tuttavia, lasciando queste digressioni (cui dedicherò approfondimenti nei prossimi giorni, perché ho letto, invece, una splendida sentenza che proverò a riassumere), torniamo all’uguaglianza di fronte alla legge.
La fatica e la ferocia Questo principio è stato tradotto odiernamente in due modi, che potremmo denominare della ‘fatica’ e della ‘ferocia’.
Iniziamo dalla seconda, la ferocia.
È quella prediletta dal mondo anglosassone e ben rappresentata da Kubrick in ‘2001 Odissea nello spazio, nelle immagini del piacere della scoperta della prima arma accompagnate dalle note di Così parlò Zaratustra di Richard Wagner (il musicista amato dalla pazzia omicida di Hitler) e del primo omicidio.
È questo il mondo che ha confuso il ‘merito’ con la ‘lotta’ e ha permesso che trovasse un fondamento etico la logica dell’ ‘uomo lupo per l’uomo’.
È questo il mondo che insegna che la competizione genera qualità, che insegna a combattere e a sgomitare e magari anche a essere scorretti, perché tanto anche l’avversario, se potesse esserlo, lo sarebbe.
È questo il mondo che ha generato, legittimandolo, il corridoio o lo scivolo della furbizia.
Se il migliore è chi vince e la competizione è competizione dura, allora l’Italia, patria del sotterfugio e della scaltrezza, nazione degli stipendi e degli appannaggi percepiti senza fatica e senza lavoro, regno della legittimazione del furbo, ha diritto a generare scaltri, scorretti e furbi che nella gara possono sconfiggere gli anglofili, che magari pensavano che la vita fosse tutta geometrica, che magari dopo essersi preparati alla ferocia della lotta, per esempio impedendo all’avversario di armarsi o, che so io, affliggendolo con mille virus influenzali (ma è tutto lecito nel mondo dei lupi), si trovano infine fregati da chi compra l’arbitro.
La fatica e la libertà L’altro mondo è quello della fatica, dei tanti che credono che istruirsi sia necessario per capire se stessi e il mondo, per meritarsi ruoli e lavoro, per saper agire in luoghi di responsabilità, per rispettare gli altri, per sacrificarsi per qualcosa di più grande e di più giusto attraverso il confronto, la condivisione, il servizio. Questo mondo consente al mondo di andare avanti, il quale non si regge di certo sui culturisti della selezione naturale della specie che si addestrano nelle palestre della ferocia.
Dietro il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge c’è il mondo della fatica, del tener duro, del non odiare se non i propri difetti, del lavoro quotidiano per stare con dignità e libertà dentro questo mondo.
Chi fatica crede nella collaborazione, costruisce collaborazione, combatte contro la subordinazione, contro le pianificazioni egemoniche, contro il settarismo, ma anche contro le sue forme degenerate, il salottismo, il perbenismo, il perlagismo (nuova forma delle vanità delle chiacchiere prodotta dal perlage, dalle bollicine degli spumanti).
Chi fatica sa che la vita è impegno, non mondanismo.
Personalmente mi iscrivo al mondo della fatica.
Sassari e il Piano zero Ciò che è stato posto sollevando il problema della necessità di chiarezza e di spiegazioni per gli eventi relativi alla carriera universitaria del Presidente della Regione, rispetto all’anno 2018 e più precisamente dopo la sua elezione a senatore, non attiene ad alcunché di politico. Il Presidente è Presidente legittimamente e legalmente e ha diritto a governare secondo il suo gusto.
Ciò che si vorrebbe verificare è se ciò che ha caratterizzato la sua carriera accademica dopo l’accelerazione della sua carriera politica, sia congruente col principio di uguaglianza di fronte alla legge. Se tutto ciò che è stato permesso allo studente Solinas è stato concesso anche a tutti gli altri nelle stesse condizioni e con le stesse procedure, non esiste un caso Solinas. Se invece non è così, bisogna spiegare perché.
C’è poi chi sostiene che la domanda di chiarezza è impertinente, illegittima se non ingiusta.
In materia di trasparenza e di accesso agli atti guida il decreto legislativo 33/2013 modificato in modo rilevante nel 2016 (e fui il solo ad oppormi nel 2016 all’eccesso di pubblicità degli atti che il decreto oggi consente).
Un personaggio pubblico è correttamente esposto dalla legge alla verifica dei suoi titoli da parte di qualunque cittadino come lo è qualunque altro cittadino. Non si deve avere più un interesse specifico per ottenere informazioni e ciò è stato deciso in sede legislativa per aumentare le funzioni di controllo rispetto alle tante forme di degenerazione della pubblica amministrazione, dalla facilitazione alla corruzione (come può essere verificato sia nel dibattito parlamentare che in quello pubblicistico). Non si tratta di intromettersi nel privato del Presidente della Regione se si chiede conto dell’improvvisa accelerazione della sua carriera universitaria nel periodo di massima accelerazione della sua carriera politica.
Si sta ponendo un problema di verifica dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E chi lo pone è il mondo della fatica, non quello della ferocia e della furbizia.
Il Rettore esente Ancor più grave è che qualunque rettore d’Italia, qualunque assessore regionale d’Italia, qualunque consigliere regionale d’Italia, qualunque capo di gabinetto, qualunque segretario particolare, qualunque direttore di Dipartimento, qualunque direttore di servizio debba pubblicare la sua denuncia dei redditi, il suo stato patrimoniale, i suoi rimborsi, fuorché il rettore e gli organi di governo dell’Università di Sassari.
Il problema, anche qui, è di uguaglianza di fronte alla legge.
A questo punto può esserci chi immagina di legare al palo chiunque chieda di capire (attesa molto discutibile), o chi immagina di attuare il Piano Zero: non fare nulla e aspettare che tutto si calmi e tutto scemi.
Il secondo caso va smentito.
In tutte le battaglie ci sono i sostenitori silenziosi, quelli che ti dicono che hai ragione e poi scompaiono, scappano, si coprono il viso per non vedere; càpita e personalmente capisco queste debolezze.
Ma pensare che ci sia chi si stanchi è quasi ridicolo.
Nelle prossime settimane ciò che oggi è dibattito diventerà necessariamente percorso amministrativo e tutti ci ritroveremo formalmente di fronte alla legge come è giusto che sia.