Con questo articolo inizia la sua collaborazione a Sardegna e Libertà un letterato sardo che ha scelto di firmarsi con uno pseudonimo romanzesco: Gualtiero Malatesta.
“Di recente mi sono ricordato che Diogene, il filosofo della lanterna e della botte, diceva che per salvarsi bisogna avere amici veri o nemici giurati. Sai, per quanto ci illudiamo del contrario, lasciamo cadaveri nelle cunette delle strade che percorriamo. Il ricordo è pertinente. In fondo, la vita è come il mare per chi naviga: meglio sapere che ci sono vento e tempeste ed avere buone vele ed una bussola funzionante” dice Mario appoggiato al bancone, mentre Eleonora asciuga i bicchieri.
È tardi e sotto la luce già soffusa del bar restano pochi clienti. Quelli della staffa.
In sottofondo, le ultime spente conversazioni in alcuni tavoli.
Mario ed io, alle prese con la penultima birra, in piedi al bancone con lo sguardo, di tanto in tanto, rivolto alla scollatura di Eleonora. Una scollatura di quelle di una volta, senza trucchi o inganni.
“Cosa vorresti dire?” chiede Eleonora, esperta navigante tra le onde del bar, senza appoggiare lo straccio.
“Voglio dire che, per molto tempo, ho dimenticato Diogene ed ho pensato che si potesse stare al mondo senza tenerne conto. Voglio dire che non ho capito una mazza” risponde Mario asciugandosi il labbro dalla schiuma.
“Dopo lo schema chiaro della mia gioventù, quello del mondo ordinato diviso in due, ho visto la caduta del muro di Berlino come l’avvio di una fase nuova. Ho pensato che il libero mercato fosse un formidabile generatore di democrazia e sviluppo sociale e che valesse il processo inverso. Per un certo periodo, la storia ha confermato questa idea: la ricchezza aumentava, la classe media si consolidava, aumentavano le libertà personali, il numero di Stati che sceglievano forme di governo democratiche, ogni anno, cresceva notevolmente e diminuiva il numero di dittature a trazione religiosa. La leadership morale degli Stati Uniti e dell’Europa sembrava indiscutibile. Pensa solo a come gestirono la follia dei Balcani! Poi, dopo l’undici settembre del 2001, i casini dell’Afghanistan e dell’Irak hanno iniziato a sporcare la faccenda. La crisi finanziaria del 2008 ha assestato un colpo tremendo, la Cina mi ha smontato l’assioma ‘crescita economica uguale democrazia’ e, dopo la presa per il culo delle Primavere Arabe – tutte rivelatesi gelidi inverni – l’insorgere delle peggiori forme di populismo e la mancanza di gendarmerie forti e credibili sembrano le stoccate finali. Ma tu uno come Trump, negli anni 90, riesci ad immaginarlo? Un giullare alla Grillo o un figlio di puttana alla Boris Johnson?”
Eleonora, stappando l’ultima 0,66, mi strizza l’occhio e, sorridendo, mormora: ”Boh, stasera il filosofo di campagna è sui massimi sistemi”. Mario, meno fresco della birra, sorride amaramente e riprende: “E stasera non ho voglia di prendermela con noi sardi. Ne parleremo un’altra volta! Sai già come la penso: qui, se i cretini volassero, si abbronzerebbero in pochi. Per il resto, ti dico che, anche prima dell’Ucraina e di Gaza, stiamo vivendo una guerra e, cosa triste, la perderemo per la nostra stupidità, sorridendo al nemico. Guardando le immagini delle manifestazioni pro Palestina, giustificate e comprensibili per l’agire di un altro sciagurato come Netanyahu, mi è tornato in mente un cartello che vidi anni fa che diceva “Useremo la vostra democrazia per distruggere la vostra democrazia”.
Il fatto è che l’Occidente, luogo in cui la libertà e la democrazia sono nate, è troppo stanco e vigliacco per difendere conquiste costate sofferenza e sangue. Le battaglie per la libertà di bestemmiare senza che qualcuno ti bruci, per quella che permette a mia figlia di indossare la minigonna e a Eleonora di mostrare l’imponente scollatura senza che qualcuno pensi di poterle chiamare puttane, sono state ingaggiate quando l’Occidente era più giovane e meno cinico.
Quando, anche qui in paese, vedo delle ragazzine musulmane girare più coperte di mia bisnonna alla messa delle 7, non posso evitare di chiedermi se dietro lo sguardo basso ci sia una scelta o una costrizione. Ho, invece, la sensazione che, ogni volta di più, fette delle nostre libertà siano svendute da questa appiccicosa tolleranza e dal politicamente corretto. E, se siamo convinti che cedere su tutta linea possa evitare l’acuirsi dello scontro, ci sbagliamo di grosso, credimi.
Sento parlare di negoziato fra culture. Cosa si negozia e con chi? So che il negoziato tra ragionevoli dubbi e profonde convinzioni è sempre fallimentare. E, citando qualcuno che non ricordo, è da irresponsabili pensare di godere dei diritti del cittadino romano e, nel contempo, applaudire ai barbari. E ora basta. È tardi, non sono proprio quel che si dice un uomo lucido e mia moglie avrà sicuramente da ridire”.
Il bar ormai è vuoto, Eleonora ci guarda, e ci manda via, con i suoi modi, che a noi piacciono e che le facciamo ripetere ogni sera.
Sa ‘economia’ (inùtile po sa marca ‘polìtica’ sa dimandha “de cale colore?”, si no est de cane arrajoladu mossigandho) e inciviltade dominante e po dominare (barbarismu) ponet a fundhamentu sa GHERRA a irvilupu distruidore de benes, de logos e de gente e umanidade.
Candho mai dhue podet àere una paghe possìbbile cun totu is artes prus malas de sa gherra frabbicandho po dominare armamentos de distrùere atacaos e atacantes e ‘ispetadores’?
Sa merda de su dimóniu (“alias” dinare), de sa “misura” possìbbile chi podet èssere po campare dh’ant fatu a ‘ideale’ supremu e cìrculu vitziosu de s’errichimentu a merda pudéscia de su dimóniu.
Sa parte assolutamente prus manna de s’umanidade est in tantas maneras catzigada e istrecada.
Ma su pagu de libbertade e responsabbilidade personale e colletiva chi puru totus teneus est solu de no dhi andhare aifatu e cambiare filada, tanti a mòrrere giai si morit chentza fàere gherras e méngius a campare in paghe.
Analisi lucida e senza sconti sulla situazione dell’occidente in questa fase storica.
Ciò di cui non sono convinto è l’affermazione secondo cui “Sento parlare di negoziato fra culture. Cosa si negozia e con chi? So che il negoziato tra ragionevoli dubbi e profonde convinzioni è sempre fallimentare.”
Credo che talvolta, nelle situazioni di scontro, l’unica via d’uscita sia il negoziato. In ogni caso, focalizzare l’attenzione sulla possibilità o meno di un negoziato tra culture è un modo per vedere solo un aspetto del problema: quello che ci fa più comodo perché consente di individuare un elemento esterno, l’immigrazione, quale unica causa della crisi d’identità della cultura occidentale.
In realtà a questo elemento se ne aggiungono altri di origine interna. Prima tra tutte, l’aver santificato quel sistema capitalistico che ci ha condotto a questa situazione. In passato questo sistema è stato garanzia di crescita non solo economica ma anche sociale e di democrazia dei paesi che ad esso si sono ispirati. Attualmente, invece, esso mostra tutta la sua crudeltà. Come in un organismo biologico, il capitalismo è diventato una malattia autoimmune che si rivolge contro il proprio corpo fino a distruggerlo dalle fondamenta.
Non esiste più la classe media, i diritti dei lavoratori vengono, sempre più spesso, calpestati. Il processo di concentrazione della ricchezza in mano a pochi è giunto, ormai, a livelli non più tollerabili. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
È un sistema che non garantisce più prospettive per i giovani e, peggio, mette a rischio la stessa sopravvivenza del genere umano sul pianeta. Stiamo andando, allegramente, tutti quanti verso la più grande catastrofe ambientale mai conosciuta.
Per affrontare queste emergenze non credo sia sufficiente rifiutare il negoziato tra culture. Dovremmo, forse, ripensare al nostro ruolo all’interno del pianeta e stabilire nuovi sistemi di convivenza oltre che un nuovo sistema di produzione e distribuzione della ricchezza. Consci del fatto che, probabilmente, noi occidentali dovremo essere i primi a rinunciare a qualcosa visto che fino ad ora non siamo stati, certo, un bell’esempio di rispetto degli equilibri di sistema.
Giorgio Piras
Paolè, bello. Ma avvisa quando riprendi a scrivere