Silenziati ma vivissimi L’articolo sulla società tra Caschili e Todde è stato letto, su questo sito, da 20.000 lettori unici, più di quanti ne abbia giornalmente ciascuno dei due quotidiani sardi.
Quando questo accade, quando i giornali censurano e io no, quando cioè, in poco tempo, Sardegna e Libertà viene letta a cinque cifre, puntualmente interviene il signor Guerrini, cui volevo dedicare oggi un ricordo bibliografico, ma lo sto facendo decantare, lo leggerete domani.
Distillato di potere cagliaritano Oggi, infatti, ho letto della nomina, da parte del sindaco di Cagliari, dell’ex procuratore della Repubblica Marchetti a Presidente dell’Ente lirico di Cagliari. Ecco, questo è potere, potere vero, sfacciato, autentico. È potere vecchio, ma è ancora potere. È sul potere che voglio riflettere, da solo, sempre da solo, così da non mettere nei guai nessuno.
La minoranza divergente Da circa quindici anni esiste in Sardegna una parte della popolazione, circa il 10% dei votanti, una massa che oscilla, a seconda di quanti vanno a votare, tra le 60mila e le 100mila persone, che ha dimostrato di sapere e volere votare fuori dallo schema del bipolarismo italiano tanto caro a Segni, Prodi, Veltroni, per poi rivelarsi perfettamente funzionale a Berlusconi. Ebbene, i due poli hanno imparato a prescinderne, ma anche a far sì che l’area divergente non vada mai oltre quella soglia, il 10% circa, diversamente deciderebbe le elezioni. È per questo che la Todde, e chi per lei, si impegnò moltissimo per indurre i Progressisti a tradire l’area Soru e a uccidere il sogno in culla. E così fu.
Vincere le elezioni ridendo L’unico episodio di spostamento massiccio fuori dai poli, preparato in una decina d’anni, fu proprio il voto del 2018, che vide, in Sardegna, il Movimento Cinquestelle raggiungere la cifra mostruosa del 42%. Bisognerebbe studiarci un po’ sopra, ma due fattori furono decisivi: la capacità di Grillo di generare consenso con un mix di ironia e indignazione da baraccone, e l’intelligenza di Casaleggio di fare in rete ciò che già la Destra americana stava facendo negli Usa e che poi fece la Meloni in Italia: intercettare l’invidia sociale, vestirla di opposizione e di mascherata democrazia diretta e canalizzarla verso un obiettivo e sotto un potere che la orientasse e la guidasse.
Ho imparato da Grillo a chiamare i grillini Cinquetasche, a dare nomignoli ai potenti, a valorizzare i loro tic, le loro commodities, la loro occultata iscrizione al ceto dei comodi, di quelli che amano le scorciatoie e gli ulivi su carta.
I sorrisi fanno consenso.
Così sono nati Goku, Rombo di Todde, My Dear e Cinquecaschili, la compagnia di giro che ci diletta cada die.
La novità della legge Pratobello Recentemente è intervenuta una novità: duecentomila sardi hanno firmato la legge Pratobello. È principalmente il risultato dell’Unione Sarda e del suo editore Sergio Zuncheddu, ma non solo.
I Comitati che l’hanno animata, per la prima volta sono riusciti a stare insieme senza scannarsi tra loro.
Non è cosa da poco.
Inoltre, tutti i settari degli anni Settanta che hanno funestato il mondo democratico e indipendentista sardo, viaggiano ormai verso la pensione e dunque il loro odio militante verso il diverso da sé si sta indebolendo per biologia, se non per convinzione, e i giovani sembrano avere meno tendenza alla faida interna dei loro predecessori.
Ovviamente, il numero delle firme attesta che l’area divergente si è arricchita, in questo caso, di tanto ceto medio, cui non piacciono le rivoluzioni, ma che ha voluto dire no alla speculazione energetica (a tal proposito, lunedì presenterò un accesso civico per acquisire un certo elenco, e poi riparleremo di speculazione con chi la nega). La domanda da porsi è: a quali condizioni è possibile tenere insieme il mondo dei duecentomila su un nuovo obiettivo politico?
Scegliere i candidati Diceva Zagrebelsky (peggio per chi non lo conosce) che i contenuti di una democrazia sono di tipo formale, cioè sono principi, non fatti.
La tolleranza è un principio, come la libertà di opinione, la libertà religiosa eccc; viceversa la razza è un fatto (o per lo meno, così lo sentono i razzisti), il genere sessuale è un fatto, la terra e il territorio sono fatti, il corpo è un fatto ecc. ecc. I duecentomila si sono schierati su un fatto: la difesa del territorio.
Si riesce a farli schierare su un principio, su una regola che aumenti la libertà?
Bisogna chiederselo e rispondersi con sincerità.
Che fare? Qualora fosse accertata questa possibilità di mobilitarsi anche su un principio, allora bisognerebbe individuarne uno che cambi il sistema. Vediamo quale.
I Sardi hanno ormai uno schema di voto bipolare, solo una minoranza, come ho detto, sfugge a questa regola. Inutile tentare di modificarla.
Tuttavia la gente ha anche un altro principio ben radicato ormai nella coscienza: l’elezione diretta del Presidente della Regione.
I candidati alla presidenza sono scelti dai partiti e, per lo più, con metodi non democratici.
Mi spiego con l’esempio più recente: la Todde ha ottenuto la candidatura grazie a una presa di posizione del suo partito, i Cinquestelle.
O la candidata era lei o i Cinquestelle non sarebbero stati in coalizione.
Il Pd, convinto che senza i Cinquestelle avrebbe perso, e ancora più convinto che la Todde era, per molti di loro, meglio di Soru o di Milia, ha ceduto sulla prima posizione e l’ha fatta accettare a tutti a colpi di lusinghe e espulsioni. Niente a che vedere con la democrazia.
Sull’altro versante, Fratelli d’Italia ha imposto a tutti la candidatura di Truzzu in ragione della forza elettorale del partito, non secondo un metodo democratico.
Gli elettori sardi hanno dunque scelto tra due candidature diversamente imposte.
È possibile spiegare ai Sardi che potrebbero incidere anche sulla scelta dei candidati, disciplinando e rendendo obbligatorie le primarie?
Per quanto possa sembrare assurdo, proprio le primarie sarebbero in grado di aumentare la coesione dei Sardi, perché affiderebbero a una mobilitazione popolare e a un voto seriamente garantito (con elettori che si iscrivono prima alle liste elettorali, per poter poi votare ecc.e cc.) la scelta dei candidati.
Ecco, la domanda è: si riuscirebbe a mobilitarsi per un principio così sfuggente e così incidente come l’obbligo di celebrare le primarie per scegliere i candidati alla presidenza? Io penso che tutto stia nel semplificare la domanda, nel legarla al diritto di selezionare anche a monte, e non solo a valle, la classe dirigente del Paese.
Si riuscirebbe a rifare Pratobello in una chiave con minore contenuto reale e maggiore contenuto regolamentare?
Non so rispondermi, ma credo che comunque questo contenuto, cioè “Scegliamo noi i candidati alla presidenza”, sia l’unico in grado di ‘portarsi in pancia’ anche l’altro mutamento strutturale: la riforma della legge elettorale in vista del riparto proporzionale dei seggi della minoranza, senza sbarramenti.
I cambiamenti istituzionali hanno bisogno di due cose: semplificazione e forza di proposta. Si riuscirà mai a metterli insieme? Speriamo.
@Enrico
No Enrico, l’idea di ridare centralità all’assemblea rispetto all’esecutivo non è una mera nostalgia novecentesca, se così fosse sarebbe troppo banale. Intendevo proporre una prospettiva diversa, che andasse oltre la semplice dicotomia tra il sistema attuale e un ritorno al passato,
L’elezione diretta dell’esecutivo, pur offrendo chiarezza nell’attribuzione delle responsabilità, ha portato a un’eccessiva personalizzazione della politica e
all’indebolimento dei partiti, del loro ruolo nella società, alla subordinazione delle assemblee rispetto all’esecutivo. Ripensare il ruolo centrale dell’assemblea può offrire vantaggi significativi al cittadino: una rappresentanza più plurale della società, un controllo più efficace sull’esecutivo, e una deliberazione più approfondita sulle politiche pubbliche. Il ritorno alla centralità dell’assemblea meriterebbe di essere riconsiderato alla luce delle sfide contemporanee e delle possibilità offerte dall’era digitale in cui viviamo.
Una assemblea rinnovata porterebbe con sé la rivitalizzazione del ruolo dei partiti come luoghi di elaborazione politica e formazione della classe dirigente. Questo permetterebbe di superare la logica del “voto al leader” a favore di una valutazione più articolata dell’efficacia complessiva della rappresentanza assembleare.
Questo non implica un ritorno ai “rimpasti” del passato, ma piuttosto un’evoluzione del sistema democratico. Le nuove tecnologie offrono opportunità per rendere i processi decisionali più trasparenti e partecipati. Le piattaforme digitali possono facilitare il coinvolgimento dei cittadini nelle discussioni assembleari, mentre sistemi di accountability in tempo reale possono aumentare la responsabilità dei rappresentanti.
In questo scenario, la responsabilità politica non sarebbe meno chiara, ma distribuita in modo più articolato e dinamico. I cittadini potrebbero valutare non solo l’operato di un singolo leader, ma l’efficacia complessiva della rappresentanza assembleare.
La flessibilità di questo sistema consentirebbe, se necessario, aggiustamenti della maggioranza senza necessariamente ricorrere a nuove elezioni, adattandosi meglio ai cambiamenti del contesto politico e sociale.
In sintesi, ridare centralità all’assemblea rappresenta un’opportunità per evolverci verso un sistema democratico più reattivo e capace di affrontare la complessità contemporanea. Combinando i principi di rappresentanza con le possibilità dell’era digitale, possiamo creare un modello con centralità assembleare che superi i limiti sia del sistema attuale che di quello passato, offrendo una via per rivitalizzare la partecipazione politica e la fiducia nelle istituzioni democratiche.
@Luigi. la possibilità di mandare a casa la Giunta c’è. Non viene percorsa perchè i consiglieri non vogliono porre termine alla legislatura. Che facciamo torniamo ai rimpasti? Almeno adesso pur se è necessario aspettare 5 anni, se uno fa male non lo si rivota. Solinas e Turzzu insegnano. Prfima a forza di varie giunte si sapeva a chi attribuire la responsabilità
E se invece la causa di tutto fosse proprio nell’elezione diretta del Presidente e quindi la soluzione risiedesse nel ritorno al primato dell’assemblea regionale?
L’analisi di Paolo sulla situazione politica sarda solleva questioni rilevanti per il funzionamento e il rinnovamento del sistema democratico regionale, con profonde implicazioni per la società e l’economia dell’isola. Tuttavia, per trovare una soluzione efficace, forse dovremmo guardare oltre le primarie. Queste potrebbero avere un ruolo nella democrazia interna dei partiti, ma non dovrebbero essere considerate la via per risolvere i problemi istituzionali della Sardegna.
Dovremmo invece prendere atto che l’elezione diretta del Presidente, nonostante conferisca una forte legittimità democratica, ha come effetto collaterale la creazione di un sistema poco flessibile. Vincola la società a una scelta che, nel corso del mandato, potrebbe rivelarsi inadeguata. L’impossibilità di cambiare rotta prima della scadenza naturale del mandato può trasformare una decisione democratica in un ostacolo, rendendo tutti ostaggi di una situazione potenzialmente dannosa, soprattutto quando un Presidente dovesse dimostrarsi non all’altezza dell’incarico, inefficace o non più in sintonia con i bisogni in evoluzione della comunità.
Dopo oltre vent’anni potrebbe essere arrivato il momento riconsiderare il primato del sistema assembleare, bilanciandolo con meccanismi che garantiscano stabilità ed efficacia dell’esecutivo.
Un modello interessante potrebbe essere quello della Valle d’Aosta, unica regione in Italia ad aver mantenuto il primato e la centralità dell’assemblea. Questo sistema offre maggiore flessibilità istituzionale, un miglior equilibrio tra legislativo ed esecutivo, e una rappresentanza più ampia delle diverse voci politiche. In Sardegna, un ritorno al primato dell’assemblea potrebbe rivitalizzare la democrazia regionale, permettendo la formazione di coalizioni più flessibili e rappresentative.
Il grande movimento popolare nato intorno alla Prato24, composto da diverse sensibilità politiche, ha avuto come catalizzatore il senso di impotenza generalizzato e la sfiducia nelle istituzioni regionali. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la sua genesi è stata quella di un movimento di protesta. La sfida ora è incanalare queste energie verso un movimento propositivo. Quali sono le strategie per gestire questa transizione senza disperdere l’entusiasmo e la partecipazione e incanalarle verso una riforma istituzionale che vada alla radice del problema?
Anziché concentrarsi sulle primarie, che difficilmente risolveranno i problemi di fondo, non sarebbe più produttivo avviare un dibattito sul riequilibrio dei poteri tra assemblea ed esecutivo e ripensare il ruolo dell’elezione diretta del Presidente?
Questo dibattito sarebbe finalizzato alla definizione di una piattaforma concreta per la riforma istituzionale. L’obiettivo ultimo è elaborare una proposta di legge di iniziativa popolare che ridisegni l’equilibrio dei poteri in Sardegna e riaffermi il primato e la centralità dell’assemblea.
Chiamare le persone con dei nomignoli, mi ricorda una passionaria del mio partito di appartenenza, il P.S.d’Az.
Marianna Bussa-Lai, ma eravamo in periodo fascista e bisognava usare “su suspu”, nomignoli come: mussi mussi, signor nudda…..e altri.
Salute Paulu
Concordo con quanto scritto dal Sig. Madau
Concordo anche con la Sua risposta , è una strada da percorrere, dobbiamo uscire da questo pantano e iniziare la risalita che è necessaria se si vuole essere un paese democratico, così come siamo e ci esprimiamo, poco sopra il 40% di votanti non è Democrazia.
La leggo sempre volentieri conoscendola da molto tempo. Continui così. Soru è stato un incidente che non doveva finire così.
La saluto cordialmente.
Sottolineo il pensiero di Porcu Francesco.
Ciao Paolo.
Ohibò, gira e rigira si finisce sempre lì. Alla trasparenza sistematicamente negata, se non furbescamente travestita con abiti da mera comunicazione istituzionale: di propaganda, per intenderci. Cui segue il travisamento dei fatti, sempre legato alla parziale conoscenza degli stessi, ad uso della tifoseria di turno. Apprendo della nomina, da parte del sindaco di Cagliari, dell’85enne ex magistrato e procuratore della Repubblica a presidente dell’Ente lirico di Cagliari, esperto di diritto amministrativo. Se non ricordo male sarebbe un ritorno alle origini. Sbaglio o l’ex magistrato ha fatto già parte, in passato, del board Ente lirico? Forse una decina di anni fa, non saprei di preciso, ma mi pare con un Comune a guida Zedda. Mi sembra inoltre di ricordare che tra gli anni 2015/16 Zedda fini a processo per delle nomine all’Ente lirico (da cui fu assolto) e che l’ex magistrato venne citato in giudizio dalla difesa. Ad ogni modo, incuriosita ho cercato l’atto di nomina nel sito del Comune e dell’Ente lirico. Mi sono arresa dopo 30 minuti di inutile ricerca. Non ho trovato riscontro neppure nella sezione “Notizie” del web site comunale, sempre aggiornato. Peccato, avrei voluto leggere in base a quali considerazioni sia maturata la nomina. Certo, non può che essere una nomina fiduciaria, in tal senso regolare, però chiedo: non sarebbe stato meglio salvare le apparenze, fosse solo per ragioni di opportunità, con un avviso di selezione pubblica? Sull’attempato demagogo e agitatore social-populista, dalla censura facile, caro professore, aspetto di leggerla domani. Mi dicono che il fenomeno a corrente alternata abbia certificato la presenza di Caschili nello staff presidenziale come non confliggente con alcuna norma, al massimo sarebbe una questione di inopportunità etica. Si riferiva, il prode, all’art. 54 della Costituzione? Dubito ne conosca il contenuto e che lo sappia coniugare. Avrei voluto chiederlo direttamente al tarantolato grillino dell’ultima ora, che si diletta a sbeffeggiarla sui social ogni qualvolta lei colpisce nel segno, ma ahimè ne sono impossibilitata: ebbe subito a bannarmi dalla pagina Fb – e mi risulta di essere in buona e ampia compagnia – quando tempo addietro, insieme ad altri, gli feci garbatamente notare che i sedicenti scoop che propalava ai suoi aficionados lettori – e che probabilmente continua a propalare – come proprie primizie o a rilanciare come inchieste esclusive di un giornalista del Fatto, fossero in verità non-notizie, in quanto apparse in precedenza, da mesi, sul periodico Indip. A dimostrazione che spesso e sovente gli ‘arruffapopoli’ di turno, partecipati nei commenti da fantomatici esperti per la comunicazione istituzionale, chiosano di fatti che neppure conoscono, perché si limitano a leggere il sommario dei veri scoop, però altrui, senza citarne la fonte. Saluti.
Egregia Alessandra, così si è svelata bene fino in fondo. Lieti di farla ridere e tanti saluti.
Si mi rileggo, sono una semplice elettrice che mette la x sulla scheda come gli analfabeti. A ottobre Soru si candida, SIIIIIIIII, e noi non ci capiamo un caxxo, PUNTO. Questo è quello che vedono le pedine elettori che nulla sanno dei giochi della politica. Lo so bene che Soru chiedeva le primarie, che originale, troppo avanti. Il PD che corteggiate le ha fatte sempre e solo per eleggere il segretario nazionale o mi sbaglio? Ma figurati se te le facevano per le regionali sarde, fate ridere!
Carissimo Paolo permettimi di fare un affettuoso appunto sulla prima parte delle tue ottime e condivise riflessioni.Non sei solo e non lo sarai mai sei semplicemente unico e siamo in tanti che la pensiamo come te.Buona Domenica
Buongiorno professore, riguardo al dottor Guerrini avrei voluto poter dissentire, ma mi ha bannato per commenti non graditi sulla sua pagina, evidentemente non ama le voci fuori dal coro quando sono improntate alla discussione (perché invece lascia tranquillamente liberi di scorazzare nel suo profilo coloro che vi postano messaggi che sono chiaramente offensivi e strumentali, ma che nella pratica non disturbano essendo facilmente qualificabili). Per il resto trovo, come al solito, molto interessante il suo ragionamento, ma sono scettico sulle possibilità di successo di una applicazione pratica. Almeno in tempi relativamente brevi. Immagino infatti che le indicazioni dei candidati alle primarie sarebbero comunque influenzate da un certo sistema, per cui la scelta sarebbe comunque quantomeno indirizzata.
Sì, dovremmo iniziare a studiare gli effetti voluti delle rinunce indotte.
Buongiorno Professore.
Aggiungo solo un appunto e magari ci dà anche una sua visione.
Molti vedono l’astensionismo Come un caso di studio, ovviamente trattato solo nei pochi giorni che succedono ad una tornata elettorale, in cui si sovrappongono pareri e ipotesi che provano a capirne le cause, come se fosse solo un fatto di “risulta.
E se invece iniziassimo a riconoscerlo come il più grande obiettivo (raggiunto) di un intera classe di potere politico trasversale?
Ovvero: a chi non farebbe comodo doversi occupare di persuadere e fidelizzare solo la metà dei “clienti”?
Non potrebbe essere oggi il momento in cui iniziare a profilare seriamente l’elettorato silenziato, catturandone i reali bisogni e mettendosi in fase di ascolto anziché di elitaria proposta?
Ho fatto, e faccio parte attiva oggi, di chi ha catturato la fiducia di quel 10 % di cui si parla nel sua articolo.
Riconoscendone la missione migliore messa in campo.
Ma riconosco anche il fatto che siamo tanto lontani da creare il “prodotto” migliore per la nuova classe media; di cui, per scelta o casualità, faccio parte.
Marco
Egregio, Le parro’ disfattista o pessimista ma mi consenta di dubitare della capacità dei Sardi di discernere tra il seguire passivamente il volere del pastore ed esercitare una scrematura nella scelta pre elettorale dei candidati.
Per quanto concerne la nomina da Lei menzionata, è in perfetto stile grillino delegare ad un magistrato o ex magistrato l’amministrazione della cosa pubblica. Il tutto riposa sul postulato pentafarlocco che un magistrato è figura celestiale, se non empirea, in cui questa categoria viene collocata da costoro.
Della vergogna dello scandalo di Beniamino Zuncheddu (cui il citato è estraneo), del verminaio (copyright Cantone) della Procura Nazionale Antimafia e delle altre oscenità che quotidianamente emergono sulla categoria (e che fanno apparire Maduro un francescano) loro, i seguaci di Grillo e Conte, non se ne curano.
Salvo quando arriva il loro turno.
Saluti.
Paolo, non voglio minimizzare il valore della proposta, che è comprensibile, chiara ed immediatamente condivisibile.
Da applicare anche alle dirigenze dei partiti che vogliano avere almeno un sisino di contributo pubblico (la legge ci sarebbe ma è appesa in quel gancio).
Come ben dici alla fine, la tua proposta però va collegata alla modifica della legge elettorale statale; per adesso aggiungendo semplicemente la parola Sardegna alla parola Valle D’Aosta: cioè Roma da il numero noi scegliamo i nomi; poi si vedrà.
Non è solo un problema maggioritario-proporzionale: è anche un problema di selezione interna od esterna del ceto politico sardo.
Tutto si collega, certo: di sicuro è che così non si può continuare.
Scusi, Alessandra, qui se c’è qualcuno a doversi chiarire le idee mi pare Lei, posto che la precisazione che le primarie per legge debbano farle tutti appare quanto meno pleonastica. Soru dichiara di scendere in campo 4 mesi prima? NO, Soru chiede le primarie e gli vengono negate. È un po’ diverso. Chi dovrebbe farsi un esame di coscienza, io che dico le stesse cose da molto tempo o chi cambia idea a seconda delle circostanze? I Cinquestelle sono il demonio se governano con Salvini e sono gli angeli se governano col Pd? Io non sarò mai un Cinquestelle e mai li voterò; mi pare che ad essersi intortata nelle loro spire, anche in quelle propagandistiche, sia Lei. Si rilegga.
Le primarie come legge ok, ma per tutti gli schieramenti, destra e sinistra. Ma dato che non c’era, Soru ha sbagliato a “scendere in campo” alla Berlusconi solo a ottobre a 4 mesi dalle elezioni, caxxo!! Io non ci capivo più niente 2 sinistre contrapposte, noi elettori sempre usati e trattati come polli, ma fatevi un esame di coscienza e sappiate usare le leggi che ci sono, con la storia di fare fuori i cinquestelle vi state intortando tutti Calenda Renzi centristi vari dello 0 virgola o poco più, ma basta!
Sì Paolo, lo so, ti sei spiegato benissimo.
Solo che tu l’esigenza di un cambio della legge elettorale l’hai messa come riflessione ultima, indotta dalle argomentazioni premesse,
Io invece,
che sono ancora ferita dal recente fallimento proprio della raccolta firme contro il Rosatellum (non tutta, solo 4 quesiti chiave), la uso come premessa a molti argomenti.
Per approfondimenti #iovoglioscegliere
Scusa Lidia, forse non mi sono spiegato bene, ma sto proprio parlando di legge elettorale.
Rispetto il suo parere, ma io ho un’opinione diversa che non attiene alla legalità, della cui vigenza nella Repubblica italiana dubito a ogni passo, ma riguarda l’opportunità, la memoria e il dovere di affidare gli incarichi di governo ai giovani, diversamente non impareranno mai. È potere, puro potere salottiero cagliaritano, mi creda.
Buongiorno Paolo.
La scelta dei candidati alle primarie è cosa buona e giusta, ma la vera battaglia, la madre di tutte, è la legge elettorale, quella Regionale e quella nazionale italiana.
Se si riuscisse a smontare il principi secondo i quali il bipolarismo garantisce governabilità e l’elezione diretta del presidente sia più democratica di quella che passa per il parlamento, allora si potrebbe ancora parlare di politica e di partecipazione democratica.
La Pratobello24 si è scontrata con questo problema, perché la Todde ha tutto il potere di decidere ciò che crede e questa prerogativa le deriva dalla maniera in cui è stata eletta.
Naturalmente, lei lo sa perfettamente e la usa tutta.
Quando si riesce a inquadrare la politica isolana e anche italiana in questa cornice, iniziano a tornare molte inspiegabili situazioni.
Ovviamente potrebbe intervenire a correttivo anche la buona volontà dei singoli e la cultura dell’Autonomia, che la Todde non possiede e neanche chi la circonda, ma questa è un’altra storia.
Lidia
Senza alcuna polemica, penso che la nomina di una persona onesta come dott. Mario Marchetti, che ho conosciuto in Tribunale, sia un bel segnale di attenzione alla legalità.
Il sindaco di Cagliari merita un plauso.