“Chi ha pratica dei tribunali, sa che, molto spesso, un magistrato, presa la decisione e pronunciata la sentenza, incarica un suo più giovane collega di «ragionarla», ossia di apporre una parvenza di ragionamento a ciò che, effettivamente, non è stato prodotto di logica ed è semplice voluntas di un dato provvedimento. Senonché, questo procedere, se s’intende ed è utile che accada nel campo pratico e giuridico, non si può ammettere in quello teoretico, dove sarebbe la rovina del pensiero e, indirettamente, della volontà stessa”.
Così Benedetto Croce nel 1909 per insegnare (l’esempio è inserito in un’opera essenzialmente teoretica: la Logica all’interno della Filosofia come scienza dello spirito) che non possono esistere molte e diverse dimostrazioni di una stessa verità; possono esistere diverse espressioni, non diverse dimostrazioni. Ciò che è emblematico è che Croce per esemplificare le dimostrazioni che in realtà sono affermazioni, utilizzi l’attività della magistratura. In effetti, però, come dargli torto? Nei regimi comunisti come in quelli fascisti, esplicitamente la magistratura ha fatto il lavoro sporco di dichiarare che gli oppositori ‘meritavano’ di essere puniti. Nello Stato italiano, la storia giudiziaria è stracolma di ‘indagini volontarie’ dove i fatti vengono forzatamente uniti in un forzato ragionamento (ieri abbiamo parlato delle due sentenze sull’omicidio Borsellino pilotate da pentiti pilotati, ma si potrebbe parlare dell’inchiesta Why not che fece cadere il governo Prodi ecc. ecc.).
Sarà un caso che proprio Gramsci (me lo ha segnalato un amico qualche giorno fa) citi il passo di Croce in un articolo sull’Avanti contro il giudice Emmanuele Pili, protagonista dell’arringa dell’accusa al processo di Torino per i fatti dello sciopero generale contro la guerra e il rincaro del pane del 23-26 agosto 1917.
Ora accade di ragionare in questi giorni sulla sentenza che ha condannato l’ex vice-governatore Junqueras e altre otto persone. Questo, a mio avviso, è uno dei migliori commenti apparsi su un organo di stampa non indipendentista e scritto non da un indipendentista, ma da una persona che ha a cuore la ‘verità’ delle cose, cioè, come diceva Croce, il vincolo ai fatti che ogni ‘dimostrazione’ deve avere. Risulta chiaro che prima si è decisa la sentenza e poi si è costruito il ragionamento per giustificarla.
Ciò che manca, anche in Sardegna, è la consapevolezza che la Magistratura, per definizione, costruisce ‘verità di Stato’ ma non ‘verità vere’; mentre tutti i riformisti del mondo hanno sempre guardato al potere giudiziario come un instrumentum regni, come è anche in Italia, in Sardegna essa è talmente temuta dai tempi di Bogino che è l’unico potere indiscusso e indiscutibile.
Sa zustíssia de ancu los currat sa zustíssia, sa zustíssia de “come volevasi dimostrare”. Ma b’at bisonzu de ispetare sa ‘senténtzia’ de unu ‘tribbunale’ políticu pro nàrrere cale est sa ‘veridade’ de sos leones?
Custa ‘veridade’ aeschet fintzas a issos e a sos birillos issoro puru. Ca sa demogratzia fascista no est demogratzia ma fascismu cun màscara demogràtica.