L’ultima relazione sull’attuazione della legge 40 è uno specchio della sessualità italica vista dal punto di vista tragico della denatalità che l’Italia sta scoprendo ora e che la Sardegna conosce da anni.
Aumentano le fecondazioni in vitro: nel 2017 sono nati 14.000 bambini con questo metodo, il 3% in più rispetto all’anno precedente.
I ragazzi fanno sesso sempre più precocemente, ma non fanno figli.
I figli in provetta hanno invece madri intorno ai 36 anni (per la fecondazione omologa, cioè con i gameti dei componenti della coppia) e intorno ai 42 per quella eterologa (cioè con gameti esterni alla coppia).
Non è un fenomeno solo della Repubblica italiana: riguarda tutta l’Europa.
Proprio il fatto che i nati diminuiscano anche nei Paesi dove vi sono ottime prospettive di lavoro e ottima assistenza all’infanzia rivela che il problema è certamente maggiore laddove disoccupazione e precarietà la fanno da padroni, ma è in primo luogo un problema educativo.
Non procreiamo quando siamo più fertili, non veniamo educati a generare e educare, non veniamo educati ad amare ma a consumare.
Mi fa sorridere quando mi raccontano delle lezioni di educazione sessuale a scuola. Le dovrebbero chiamare lezioni di fisiologia sessuale, non di educazione sessuale.
L’educazione, infatti, è introduzione alla realtà, cioè non solo studio dei meccanismi, ma anche coscienza del senso che noi attribuiamo ai nostri gesti. Questa coscienza delle cose, di noi, degli altri, è formata dai nostri sentimenti, di cui nessuno parla.
Chi educa più a capire, per esempio, l’invidia, la rabbia, la gelosia? Chi insegna più cosa sia l’accidia? Chi insegna più quanto sia importante la speranza? Chi educa alla pazienza? Chi educa alla costanza, alla tenacia?
E dunque, chi insegna più il piacere del dono? E una paternità e una maternità non animate dalla logica del dono, che cosa diventano? E poi: chi insegna più le tante radici del piacere?
Quando facevo volontariato mi è capitato di fare una bellissima esperienza.
Ho portato quattro ragazzi a vedere un bel film.
Non erano abituati a vedere un film bello, completo, articolato, capace di sommuovere e di parlare a tutte le componenti della mente e dell’anima. Un film senza morti, ma con sacrifici, fatica e risultati. L’emozione che provarono fu intensissima. Uno di loro, mentre li riaccompagnavo, disse sotto voce al compagno: “Mi sento come quando sono stato la prima volta con Vanessa“. Vanessa era la prostituta del quartiere. Chi educa più a capire il piacere? Chi insegna più che il piacere è una delle pochissime esperienze individuali di libertà? Chi educa che la musica, la pittura, la letteratura, la preghiera, hanno una straordinaria capacità di generare piacere? Perché il piacere è ineffabile, perché non si trovano mai le parole proprie ma lo si rappresenta sempre attraverso altre parole, altri simboli se non perché è profondo e sempre irripetibile?
Chi insegna più che cosa è l’amicizia, questo sentimento che scalda l’esistenza? Chi insegna a non strumentalizzare gli altri? Chi insegna il piacere di fare del bene, di fare un regalo, di darsi senza perdersi?
Senza questa educazione sentimentale, la paternità e la maternità sono l’eco di un istinto di sopravvivenza che può essere rinviato continuamente. Senza questa educazione sentimentale, i figli non sono persone da amare, ma complementi di sé, protesi del proprio egoismo.
Ho sempre sostenuto che la crisi demografica della Sardegna è crisi di visione del mondo, è crisi educativa, è profonda crisi di felicità. I figli, sia quelli biologici che i tanti non biologici cui l’esistenza ci chiede di fare da padri e da madri, i figli sono riconosciuti solo da chi ha un’educazione ad andare oltre sé, a perdersi per trovarsi. Questo dovremmo fare: dovremmo riprenderci un’educazione alla libertà, alla felicità, al piacere più grande che non è quello automatico della biologia, quello è solo per chi vuole fermarsi all’ingresso. Il più bello viene dopo e noi ci stiamo rinunciando.