La chiusura degli ospedali e la pastiglia Tutto è nato da una intervista rilasciata alla Nuova Sardegna di mercoledì 4 gennaio, nella quale l’Assessore Doria ha affermato che sarebbe meglio un medico a gettone che un posto di guardia vuoto. È nel corso di questa intervista che Doria fa la gaffe della “pastiglia” che non è piaciuta alle guardie mediche.
Può un assessore parlare per luoghi comuni? Ovviamente sì, se lo gradisce, ma deve anche accettare di essere valutato come un assessore dei luoghi comuni.
Le frasi fatte, i giudizi sommari e comuni, in genere vengono usati o per pigrizia (e allora non sono dolosi, ma solo stupidi) o per astuzia, con l’intento di confermare ciò che tutti dicono per impedire che tutti capiscano.
Anche la vicenda delle Guardie mediche non fa eccezione, perché la verità è che vuoti non sono i posti di guardia in Sardegna, ma anche gli ospedali dove potersi curare, in particolare nell’area centrale della Sardegna, a bassa densità di popolazione.
Di questo dovrebbe parlare l’assessore alla sanità, ma non lo fa perché è un assessore urbano, nel senso dei privilegi della città non dei modi, ed è anche un medico che sta dentro gli equilibri delicatissimi e impervi, quanto dannosi per i pazienti, che regolano i rapporti tra reparti, tra primari e tra colleghi.
Quindi, anziché parlare degli ospedali periferici vuoti, parla delle guardie vuote e dei medici a gettone. È infatti preferibile allestire una “bella vetrina” di facili analisi e di altrettanto banali soluzioni per specifici problemi, che confonda i sindaci, i consiglieri regionali e altri, piuttosto che dimostrare competenza e serietà di fronte al più feroce smantellamento della sanità nelle aree rurali dell’isola mai realizzato prima. È più facile, ma non più serio.
Moriamo come mosche Nel 2022 i morti in Sardegna continuano ad essere superiori al periodo precovid: 1749 (media 2022) contro 1403 (media 2015-2019) [fonte Unione Sarda del 14/11/2022]. È un caso? NO, non è un caso. Questo fenomeno sarà da studiare, ma appare evidente che il Sistema Sanitario della Sardegna non riesce, dalla pandemia in poi, a svolgere la propria funzione come dovrebbe per garantire un sistema di cure efficace. Di questo l’Assessore non parla? Preferisce far battute?
Abbiamo più medici del resto d’Italia Eppure, questa crisi di efficienza, cozza con le statistiche sul numero dei medici.
La Sardegna, con 482 medici ogni centomila abitanti, è in testa alle regioni italiane, l’ultima è la provincia autonoma di Bolzano con 324,4. In Europa, l’Italia si attesta a metà classifica, con 405 medici, [Fonte: openpolis su elaborazione dati Eurostat e Ocse].
Anche all’interno delle singole regioni, secondo l’OCSE, le capitali attraggono maggiormente i medici, le aree urbane più di quelle rurali. Sarebbe dunque interessante verificare il dimensionamento dei medici nell’area di Cagliari, ma anche di Sassari, rispetto al resto della Sardegna. Vuoi vedere che le aree rurali della Sardegna stanno morendo perché Cagliari e Sassari assorbono anche i medici che dovrebbero lavorare in quelle aree? E quali forze politiche e specifici uomini politici hanno brigato per ingrossare e ingrassare questo o quel reparto urbano, questa o quella Asl urbana? Altro che pastiglie e gettoni!
Un primario, un negoziato Per il miglioramento della medicina territoriale è già tutto scritto nel PNRR, alla missione VI, per la quale sono previsti 18,5 miliardi di investimenti. Si tratta di fare atterrare le risorse il più velocemente possibile.
Invece, se osserviamo i tempi delle giunte Solinas da vicino, vediamo che mentre le altre Regioni si sono mosse da giugno dell’anno scorso per sopperire alla definitiva soppressione delle USCA, la Regione Sarda lo ha fatto solo il 14 dicembre 2022 (Delibera di Giunta regionale 37/24) con il primo atto programmatorio (siamo ben lontani dall’attuazione). Si può essere seri e non solo ammettere i ritardi, ma anche riconoscere che non si riuscirà a breve a rimediare a gravi errori di programmazione nella distribuzione del personale, sia medico che assistenziale? Per quest’ultimo non pare esista la criticità dell’offerta di operatori; si tratta solo di dimensionarli adeguatamente e utilizzarli per tutto il potenziale che possono esprimere, come accade nei paesi nordici e anglosassoni.
I medici, invece, dovrebbero essere distribuiti secondo criteri organizzativi predefiniti e non per favorire Tizio o Caio, come ha fatto questa Giunta Regionale negli ultimi 3 / 4 anni, spostando medici dalle aree rurali, meno appetitose, a quelle urbane, per cui, per fare un esempio, a Oristano vi sono oggi 13 anestesisti per 5 sale all’ospedale S.Martino e uno all’ospedale di Bosa, mentre ad Alghero ci sono 14 anestesisti per 2 sale senza rianimazione. Chi ha voluto questo squilibrio? Quali spinte politiche hanno agito sul governo Solinas per distribuire in modo così ostentatamente sbagliato e sfrontato il personale? È vero che la situazione è grave in tutta Italia, ma in Sardegna è stato somministrato un potente additivo da parte degli uomini politici di questa maggioranza. Ne è una conferma la mancanza di nomine di direttori di struttura (primari) in particolare nelle aree centrali NU/OR, il che rappresenta un deterrente ad accettare incarichi da parte dei giovani medici in particolare se specializzandi. Nessuno, infatti, si espone laddove non vi è un responsabile autorevole e ben identificabile. Per questa Giunta la nomina di un primario è un negoziato, non un concorso, sembra dover garantire una infinità di equilibri, non certamente la sola competenza clinica e manageriale. Di fronte a queste situazioni imbarazzanti, gravi e tragiche, ci si può permettere di parlare per slogan, per annunci, per luoghi comuni? Direi di no, ma occorre avere la giusta misura di sé per evitarlo.
Se in Sardegna abbiamo 480 medici per centomila abitanti, come sono distribuiti.? Malissimo! Perché molti di loro operano nel privato o quantomeno fanno pubblico( con superficialità) e privato (con i dovuti interessi che purtroppo noi siamo costretti a pagare di tasca nostra.) si dovrebbe ritornare al SSN e far decidere questi signori o lavori nel pubblico o nel privato. Perché è inammissibile che un assistito si senta dire: mi dispiace ma per la convenzione c’è posto fra 10 mesi, se vuole può farlo a pagamento con disponibilità fra 3 giorni! Vergogna!! I così I poveracci continueranno a morire senza possibilità alcuna!
La sanita’ pubblica in sardegna e’ passata da uno stato comatoso precedente il covid ad uno di rigor mortis. Le ragioni: anni di incuria , di cattiva gestione, incapacita’ organizzativa e non ultima l’ evidente dismissione delle strutture pubbliche a favore di cliniche e laboratri privati che sono proliferati. Potrei descrivere innumerevoli vicende personali a dir poco allucinanti che testimoniano quello che tutti I sardi hanno piu’ o meno capito. Dunque il problema non e’ in quel o quell’altro settrore, il problema e’ generalizzato e alla radice: una classe politica succube, ignava e incompetente. Disprezziamola a gran voce e pubblicamente.
LUCE: su cumpassu… in custa chistione podimus pessare chi no bi apat “passione” de “cumpassistas” chi tenent “cumpassione” de… de “curare” prus afàrios issoro?
Chie cheret sa lughe narat e faghet in sa lughe de su sole, resone o no resone, e podimus cumprèndhere chi sas cosas no essint própriu a cumpassu mancu in sa menzus demogratzia, ca s’umanidade no est unu casidhu de abes (e mancu male!). Ma podimus pessare chi essant “a cumpassu” in s’iscuru de sos cuadorzos pro cuare?
La politica sarda si interessa solo di coloro che devono venire in villeggiatura. Se ne interessa male, ma se ne interessa. Di coloro, che abitano in questa isola 12 mesi all’anno se ne infischia, ma fa finta di interessarsene.
Altrimenti difenderebbe ad ogni costo la sacrosanta presenza di servizi nelle aree interne, anziché fare spallucce o girarsi di spalle.
Vorrei far notare che il fenomeno dell’abbandono delle aree rurali non riguarda solo la Sanità ma tutti i settori nel loro complesso ed è in atto da almeno un trentennio (vogliamo parlare dei borghi rurali in prossimità dei centri urbani trasformati in dormitori?).
È noto che, per impedire o rallentare questo fenomeno, bisogna portare più servizi ed opportunità in queste zone, che, a lungo andare, conviene anche ai centri urbani.
E questo comporta un rovesciamento di prospettiva politica innanzi tutto: bisogna tornare alla sussidiarietà e valutare una serie di accorgimenti che modifichino i criteri di ripartizione delle risorse., non solo nella sanità.
Cordiali saluti,
Massimo Rocchitta
Sono d’accordo con Enrico. La situazione è sotto gli occhi di tutti. Credo anche che la sanità per tutti è un bene. Secondo le fasce di reddito si pagano alcune prestazioni.
Salve
E’ possibile avere un approfondimento sull’accostamento della esplicita immagine in copertina all’articolo? Perchè, per quanto fra le righe si possa intendere, si possano unire meglio i puntini…
Il problema della distribuzione medica non è solamente politca ma anche di attrattiva sociale e lavorativa: nessuno vuole più vivere in quelle aree, nessuno vuole lavorare in posti lontani, a bassa performance e senza carriera. Non si possono obbligare medici ed infermieri a lavorare dove si crede serva, se poi la spesa non da nemmeno resa. La sanità pubblica crolla anche per la scarsa attrattività che, economicamente, non può permettersi essendo nata con “tutto a tutti”, cosa già impossibile dall’inizio. Non ultimi i pazienti, la mancanza di rispetto e l’accesso immotivato al sistema sanitario come “fosse un bar” l’ha mandato e lo sta mandando al collasso. Sarebbe ora che tutti pagassero, anche un minimo, sia per un accesso in PS che in Guardia Medica, e che gli accessi inutile possano essere subito bloccati e rimandati nel territorio.
Semus a sa política de sos piagheres, e no de su netzessàriu e doverosu.
Ma est curpa manna de chie tenet su podere de detzídere, e ateretantu de chie lu pedit o solu l’ispetat, su piaghere, pro códumos suos personales e no pro dovere e piaghere professionale sériu e dignitosu, coment’e chi siant sos malàidos a dispositzione e a servítziu de su personale sanitàriu, che a sos alunnos a servítziu de sos docentes, e no su contràriu netzessàriu e zustu e normale.
Custa cosa disgratziada est política de aprofitamentu e miserabbilia!
Sono sempre più convinto che il disastro della sanita, non solo in Sardegna, sia dipeso dallo smantellamento del SSN in favore dei sistemi regionali. In soldoni da quando tale materia è stata attribuita alla competenza delle Regioni. L’autonomia in questa campo ha fatto danni enormi. Difficile tornare indietro e difficile rimediare,se non ricentraluzzando tutto.