Ieri il PD ha avviato una complessa mediazione sulla rete ospedaliera che è già un passo avanti rispetto al muro contro muro che sulla sanità il Partito dei Sardi ha dovuto subire in questi tre anni.
Tuttavia, ormai, il tempo stringe.
La sanità in una condizione così grave, descritta negli ambienti del Mef come più grave di quella patita anni fa dalla sanità del Lazio, impedisce le politiche dello sviluppo e del lavoro che sarebbe necessario mettere in campo.
La Sardegna ha bisogno di risorse non vincolate per rilanciare, soprattutto nelle aree interne e in quelle deindustrializzate, un rapidissimo piano del lavoro e dell’impresa che abbia tra la fase di progettazione e quella di attuazione una forbice temporale di non più di 90 giorni, data l’urgenza.
Questo è il punto per noi. Non ci interessa oggi parlare di assessori e direttori generali: la perfetta coesione tra la presidenza e l’assessorato rende indiscutibili gli assetti, che peraltro a noi poco interessano.
Ci interessa, invece, il fatto che il debito della sanità consuma troppe risorse e soprattutto consuma quei Fondi Regionali che, essendo interamente nostri, possiamo gestire con molta libertà.
Noi siamo pronti a confrontarci su un Piano Straordinario del lavoro, ma un conto è farlo con i Fondi di Sviluppo e Coesione, che pagano prevalentemente infrastrutture, e coi Fondi europei, che vengono da una programmazione già in itinere, non efficiente ma comunque in itinere e con tempistiche e modalità incompatibili con la rapidità, altro è farlo con queste risorse e con risorse regionali libere da vincoli.
Noi sappiamo per certo che il Mef ha chiesto di coprire subito almeno il deficit del primo semestre 2017, che si aggira intorno ai 200 milioni di euro. Essendo stati liquidati recentemente 150 milioni di euro del 2015, rimarrebbe da pagare tutto il 2016 e tutto il 2017: la somma è un dato non certo per quanto riguarda il secondo semestre 2017, ma il bello è che non lo è anche per il 2016, perché non vengono resi noti i Conti Economici forniti dalle Asl per il trimestre di chiusura dell’anno scorso. Io credo che tra i 320 milioni di euro di deficit previsti e il dato reale ci siano una trentina di milioni in più, che si vada cioè a 350 milioni per il 2016. Ciò induce a pensare che il 2017 se si è stati virtuosi confermerà il dato del 2016 (e quindi il totale del biennio dovrebbe essere pari a circa 700 milioni) o se invece non lo si è stati, li supererà ma non credo di molto (se il Mef chiede di coprire il primo semestre con 200 milioni, c’è da presumere che il deficit dell’anno valga 400 milioni).
Questi numeri sono incompatibili con l’attuale situazione finanziaria della Regione Sardegna. Paci ha avuto nuove entrate generate dal positivo ciclo economico e se l’è viste mangiare interamente dalla Sanità. Non solo: nel bilancio 2017 le perenzioni, cioè i debiti, sono sottostimati per 2/3, cioè a fronte di un fabbisogno di almeno 150 milioni ne sono stati appostati 50. Un’uscita di cassa imprevista e imponente di 200 milioni, peraltro non risolutiva ma incidente sul debito solo per un terzo, consumerebbe gli spazi per gli altri pagamenti.
È dall’anno scorso che noi del Partito dei Sardi diciamo, inascoltati, che la sanità sarebbe arrivata a maggio 2017 in una grave crisi di cassa. Ed è esattamente quello che sta avvenendo. Ma la cosa più grave è che la stiano pagando le imprese. Secondo Assobiomedica l’Ats paga da gennaio mediamente con un ritardo tra i cinque e i sei mesi; ma Assobiomedica registra i dati dei suoi associati; se si interroga invece il sistema informativo della Regione si scopre che questo dato ormai ha superato i 210 giorni, cioè i sette mesi.
In buona sostanza, la Ats ha scaricato sulle imprese gli oneri finanziari derivanti dalla sua crisi di cassa. Questo, se si considera che nel Nord Sardegna l’Agenzia delle Entrate sta rimborsando l’Iva con un anno di ritardo, non è più sostenibile dal sistema economico della Sardegna.
Serve una grande operazione verità sui conti, senza che questo comporti sostituzioni o dimissioni che non ci interessano minimamente, ma la retorica del ‘va tutto bene’ è dannosa, quanto quella del tirare a campare.
Poi serve fare buone regole.
È chiaro che si sarebbe dovuta fare prima la rete di emergenza e urgenza (la celebre Areus), che è bloccata da uno scontro tutto politico su chi dovrebbe guidarla, poi la territoriale e infine l’ospedaliera.
È altrettanto chiaro che l’Ats è stata prodotta da un ideologema con presupposti conoscitivi della realtà sarda assolutamente deboli e di una bibliografia che esplicitamente la sconsigliava e che è stata pervicacemente ignorata.
È altrettanto chiaro che sulla rete ospedaliera la proposta base della Giunta è inevitabilmente invecchiata e va cambiata.
È chiarissimo che le fusioni ospedaliere non stanno funzionando, che il dirigismo in alcuni settori, soprattutto cagliaritani, forse soddisfa manager con gravi deficit comunicativi, ma non sta migliorando la qualità dei servizi.
Ma tutto questo, con un onesto lavoro di esplicitazione dei problemi e delle soluzioni, è rimediabile: serve non mettere la testa sotto la sabbia. E soprattutto serve non zittire il dissenso motivato con la tentazione di mettere nuovamente una sorta di voto di fiducia sulla sanità. La sanità va discussa e migliorata, non inghiottita a forza tal quale.