I dati pubblicati ieri dal Sole 24 ore dicono con chiarezza una cosa: la sanità sarda è una sorta di welfare di lusso, un pezzo dell’intervento pubblico in economia non per produrre ricchezza ma stipendi.
In Sardegna abbiamo il 72% del personale in più, rispetto alla popolazione, della Lombardia. La Lombardia ha sei volte e mezzo la nostra popolazione ma distribuita meglio sul territorio; sarebbe dunque giusto pensare che presidiare un territorio a bassa densità di popolazione, richieda più personale. Ma la sproporzione è eccessiva. Emerge con chiarezza calcolando il numero dei dipendenti Asl per KM2: la Lombardia ha un dipendente ogni 4,3 Km2, mentre la Sardegna ne ha 1 ogni 0,9 km2. C’è qualcosa che non va. Di che si tratta, allora? Troppi infermieri? Troppi Oss? Troppi ausiliari?. NO, i dati restituiscono una realtà diversa.
Mentre in Lombardia abbiamo un infermiere ogni 191 abitanti, in Sardegna abbiamo un infermiere ogni 156 abitanti: differenza significativa, ma non ingiustificabile se riferita alle aree rurali dell’isola. Ma non è riferita alle aree rurali dell’isola, che anzi fungono da alibi per il reclutamento urbano intorno agli ospedali.
In Sardegna abbiamo più o meno un Oss o un ausiliario ogni 295 abitanti; la Lombardia ne ha uno ogni 288: più o meno i dati si equivalgono e questo smentisce la fama secondo cui è su questi ruoli che la politica avrebbe consumato le sue peggiori pratiche clientelari. No, la politica ha agito malissimo sui ruoli apicali, non su quelli complementari.
Infatti: quanti abitanti ha la Sardegna per ogni medico?
In Lombardia abbiamo un medico ogni 5005 abitanti; in Sardegna, un medico ogni 3.023 abitanti. C’è qualcosa che non va. E la cosa è tanto più grave se si pensa che non tutti i medici fanno i medici: molti fanno di fatto i dirigenti organizzativi.
Il personale incide sulla spesa totale della sanità sarda per il 36,5%; la seconda voce di costo è data dalla sanità privata (che annovera qualche efficienza e molte, moltissime connivenze) che raggiunge il 14% del totale; poi si ha la farmaceutica (per la quale siamo la seconda regione in Italia che spende di più, dopo la Sicilia) che ammonta al 10,2%; il resto è dedicato ai beni e ai servizi.
Tirate voi le somme e valutate se sia giusto che questa sanità assorba 3 miliardi e mezzo di euro (perché questo sarà alla fine il costo della sanità nel 2013), sottraendo risorse a istruzione, formazione, lavoro e sviluppo. (pm)
Comments on “Sanità sarda: cure o dirigenti?”
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Non mi sembra che nelle statistiche presentate venga fatto cenno alle altre professioni che lavorano per le Asl. Per esempio gli amministrativi che, nonostante la crisi, continuano ad essere indispensabili. I reparti chiudono un pò ovunque, i pazienti vengono ricoverati in appoggio o in barella, i medici, gli infermieri, gli oss e tutti le altre figure che si occupano di assistenza lavorano sempre peggio e con meno risorse, con un parallelo aumento delle denunce. Tuttavia, la scorsa estate sono stati assunti una quarantina di amministrativi in una ASL della Sardegna, giusto perchè le risorse della sanità pubblica devono essere razionalizzate e ben indirizate!
La Lombardia è una Regione dove esiste una forte presenza della sanità privata convenzionata e non(Unanitas,hSR, ecc..), che lavorano garantendo standard elevatissimi. Esistono altre regioni come l’Emilia Romagna che hanno riorganizzato il loro Sistemia Sanitario Regionale, convertendo i piccoli Ospedali in Lungodegenze, RSA, Case Della Salute e potenziando il territornio con l’ADI e l’Ospedalizzazione domiciliare.
Noi avremo questa fortuna? Forse con l’aiuto degli arabi…
Oppure semplici agenzie immobiliari; il San Giovanni di Dio a Cagliari verrà “dismesso” ai SOLITI PRIVATI per non so quale opera caritatevole!!
Il crescente bisogno di salute non necessariamente va di pari passo con l’assunzione di personale medico con funzioni dirigenziali, sopratutto se si sta parlando di quelle figure mediche che per specializzazione non operano all’interno dei nosocomi o che comunque non operano in campo clinico.
È ormai risaputo che il percorso diagnostico dei pazienti necessita di percorsi identificabili non solo nelle prestazioni sanitarie mediche, ma anche di quelle afferenti alle competenze, conoscenze e abilità tipiche di altre figure sanitarie.
Sarebbe auspicabile, ma proprio perché auspicabile non preso seriamente in considerazione da chi può modificare questo stato di cose, che le organizzazioni sanitarie, al momento dotate di forte imprenditorialità, possano organizzare in modo efficiente ed efficace la sanità pubblica per dare ai medici il ruolo che a loro compete in ambito clinico, distribuendo all’interno dei singoli profili professionali, dotati di autonomia propria, le relative competenze gestionali.
Così facendo magari non si chiuderebbero delle unità operative “solo” perché mancano tecnici di radiologia o infermieri.
E un sistema opiaceoriformato