di Paolo Maninchedda
Come è noto, sin dal principio di questa legislatura il Partito dei Sardi ha esplicitato una posizione diversa da quella prevalente nella coalizione e, soprattutto, diversa da quella del Presidente della Regione.
Noi eravamo, siamo e saremo per una posizione di scontro dialettico con il Governo italiano, fondato sulla constatazione del conflitto dei legittimi interessi dei sardi con quelli italiani.
Faccio un primo esempio (per poi passare a ciò che oggi è importante dire): i trasporti.
Noi siamo convinti che essere costretti a costruire una politica sarda dei trasporti sull’egemonia dei due hub italiani di Roma e di Milano sia un grave danno per la Sardegna. È una posizione diversa da quella di tutti gli altri, se si vuole è una posizione isolata, ma noi siamo convinti che il problema dei trasporti in Sardegna non è un problema di persone, di questo o quell’assessore, come la ferocia degli scontri politici vorrebbe fare intendere, ma un problema di poteri e di potere: essere costretti a pensare i trasporti sardi all’interno delle gerarchie di ruolo, di traffico e di pianificazione dell’Italia, danneggia in modo mortale la Sardegna.
Il secondo esempio è ancora più grave, perché sottende la solita e insopportabile slealtà del Governo e dello Stato italiani.
Si tratta della sanità.
Nell’ultima riunione di Giunta si è svolta una discussione di alto livello sul tema della sanità, confronto che avrebbe meritato di essere registrato per la nettezza della discussione e per la coesione che ne è derivata.
Si tratta di questo.
In base agli accordi del 2007, come è noto, la Sardegna si paga interamente la sua sanità. Non vi erano e non vi sono clausole di salvaguardia.
E qui casca l’asino.
Aumenta il costo del personale per il rinnovo dei contratti? La Sardegna paga tutto con il proprio gettito fiscale.
Aumenta il costo dei farmaci? La Sardegna paga tutto.
Aumentano i Livelli Essenziali di Assistenza? La Sardegna paga tutto.
Ho citato tre voci che possiamo considerare costi passanti, cioè costi che incrementano la spesa a prescindere dall’efficienza della governance della spesa sanitaria regionale.
Mi spiego meglio.
La Sardegna può anche chiudere con un lucchetto tutti gli sprechi interni, ciò nonostante vedrebbe crescere la sua spesa sanitaria.
Ma c’è di più.
In virtù dell’accordo stipulato nel 2007, la Sardegna non accede ai fondi nazionali che vengono messi a disposizione delle altre regioni per gli incrementi della spesa generati da processi di riforma o da semplici aggiornamenti o contrattuali o tariffari.
Non basta: la Sardegna dovrebbe inserire in ciascuna finanziaria, e gli ipocriti del Mef lo esigono ogni anno in modo sempre più soffocante, la copertura del disavanzo sanitaria dell’anno. Per il 2016 stiamo parlando di 350-400 milioni. Se la Sardegna dovesse soddisfare questa prescrizione, il Consiglio regionale sarebbe costretto a votare bilanci rigidissimi e vincolati, senza alcuna possibilità di sviluppo di qualsivoglia politica di spesa; i bilanci regionali si reggono infatti, si badi bene, sul pagamento sfasato di un anno del disavanzo sanitario. Non so se i consiglieri regionali siano consapevoli di queste intelligenti e faticose acrobazie finanziarie messe in atto dall’assessorato al bilancio per difendere la Sardegna dalle follie del Governo italiano.
Adesso aggiungiamo l’ultimo elemento: siamo in un ciclo economico negativo, il Pil sardo sta diminuendo e di conseguenza diminuiscono le entrate. Con entrate in diminuzione e costi della sanità in aumento, disavanzi annuali da coprire nell’anno, il bilancio salta per aria.
Ma non basta.
Bisogna ricordarsi che, nonostante la Sardegna si paghi per intero tutta la sua sanità qualunque cosa accada, il Governo italiano si tiene la bellezza di quasi 600 milioni di euro di accantonamenti con cui la Sardegna concorre agli equilibri finanziari della Repubblica italiana.
Questo è il punto: non è né giusto, né più sostenibile, subire gli accantonamenti e pagare per intero la sanità. Pagarci la sanità a me sta bene, perché è una condizione di sovranità, ma subire anche lo scippo degli accantonamenti non sta per niente bene. Abbiamo chiesto che sugli accantonamenti si vada a uno scontro durissimo col Governo italiano.
Certo è che se i 18 deputati e gli 8 senatori eletti in Sardegna non si trovassero dispersi nei partiti italiani e invece fossero sotto la sola bandiera della Sardegna, tutto questo sarebbe già finito, non avremmo da fare guerre legali, manifestazioni e quant’altro. Basterebbero 20 voti in meno al governo alla Camera e 8 al Senato per indurre gli italiani a smetterla di trattenere impunemente 600 milioni di euro dei sardi che, d’altro canto, si pagano ormai interamente servizi e diritti.
Comments on “Sanità e trasporti: col Governo italiano c’è solo una strada, il conflitto”
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Gentile Onorevole, è vero che avevo promesso di non tornare a disturbarla (anche se non lo ricorderà), ma qui direi sia lontano il rischio di apparire inutilmente puntiglioso o puntualizzatore (e in fondo è anche l’occasione per testimoniarle che continuo a leggerla). Vorrei lei non perdesse l’occasione di farci capire meglio il significato di questi accantonamenti coi quali come Sardegna concorriamo agli equilibri finanziari della Repubblica italiana. Lei dice che ormai ci paghiamo interamente servizi e diritti: è un punto importante e vorrei proprio avere la sicurezza si capisca bene. Le chiedo lumi perché nel suo articolo leggo di quanto ci costa la nostra Sanità, tutta a nostro carico (gestione vincolata, per giunta, a costi che lo Stato può aumentare in piena autonomia dal governo regionale, come lei ha ben spiegato), ma non vedo costi (altrettanto a nostro carico) relativi ad altri servizi pubblici. Perciò credo andrebbe meglio spiegato e capito, per ragionare sul merito, quali siano i servizi in Sardegna ai quali provveda o concorra lo Stato, in che proporzione ciò avvenga rispetto alle altre Regioni e quanto, rispetto a tale proporzione, siano commisurati questi 600 milioni che lo Stato trattiene alla Sardegna per gli accantonamenti necessari agli equilibri finanziari della Repubblica.
Ho provato, mi creda, a farmene un’idea da solo, ma confesso sinceramente di aver faticato senza costrutto, almeno il tanto da concludere sia eccessivo lasciare a chi legga il suo atto d’accusa il compito di approfondire coi propri mezzi.
Ho letto che su questa posizione da Forza Italia le danno ragione (una posizione che, com’è ovvio, rivendicano anzitutto propria), nonché sottolineano come il suo ruolo di pungolo quotidiano nella giunta, accompagnato da quello del PDS nella maggioranza, sancisca di fatto una situazione di crisi nel governo della Regione. Mi sembrano dichiarazioni che rendono più che altro onore ai vostri propositi programmatici (non isolarsi in ruoli di testimonianza, sporcarsi le mani per crescere come classe dirigente nell’esperienza di governo e condizionare col proprio ruolo una giunta altrimenti più refrattaria a istanze di maggiore sovranità), e che non tengono conto di quanto lei qui riferisce, quando scrive di una discussione netta da cui è derivata una (significativa) coesione (nell’ambito della giunta regionale).
Se ancora posso approfittare della sua attenzione, trovo infine molto interessante un altro elemento di riflessione fornito dal suo scritto: lo Stato decide di aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici (nella Sanità) e la Sardegna deve provvedere, nonostante l’impoverimento delle proprie risorse, a onorare i contratti di quei dipendenti che si trova a carico (e lo colgo, tra parentesi, da dirigente medico di una ASL regionale). Ne discende, mi corregga se sbaglio, che se la Sardegna fosse pienamente sovrana (ossia indipendente) procederebbe a pianificare le proprie politiche commisurandole al suo PIL, da cui deriverebbero contratti pubblici diciamo meno generosi (fintanto almeno che non riuscissimo a rilanciarci economicamente). Io questo l’ho ben presente e trovo che questi rapporti di grandezze economiche abbiano a che fare (se non sbaglio) con, ad esempio, la situazione salariale di Malta (l’isola del Mediterraneo che, come suggerisce il PDS e come è utile rilanciare, dovrebbe ergersi a domanda vivente per i Sardi: se può essere indipendente Malta, con i suoi pochi Km2 e i suoi pochi abitanti, dai quali comunque spreme una classe dirigente a cominciare da presidenza della Repubblica, Governo, Parlamento, diplomatici, parlamentari europei, nonché università, banche, perché non potrebbe esserlo anche la Sardegna?). Forse avvicinerebbe la concretezza desiderata dei passi verso l’indipendenza iniziare a dirci crudamente che questo salto, com’è con i parapendio, ci farebbe per un po’ cadere verso il basso, prima di farci prendere quota (e comunque prima che salari più bassi si dimostrino sostanzialmente in grado di garantire, almeno in “patria”, il precedente tenore di vita). Che ne siano già avvertiti o meno, ci sarebbe al dunque una certa categoria di Sardi che dovranno soppesare la sovranità della Sardegna da una parte e la propria situazione salariale dall’altra. Saranno anche le loro resistenze, le loro utilità, le loro deboli passioni quelle con le quali, in questa prospettiva, si dovranno fare i conti.
Sempre ammesso che l’Italia (con le tutele dei suoi dipendenti pubblici) continui, intanto, a rimanere a galla.
stesso discorso vale, letteralmente, per i Comuni. Ridotti oramai alla funzione di gabelliere per conto terzi ( Stato ), coi trasferimenti inversi di risorse e competenze e la facile esposizione alla lente della Procura della Repubblica. Siamo commissariati, al di là di ogni disquisizione su caratteri democratici ed autonomia funzionale degli organismi elettivi, e lo saremo fino a che non verranno riattivati i principi naturali dell’autodeterminazione ( normativa e quindi finanziaria e fiscale ).
Gent.le Paolo
In Alto Adige succede, per esempio, che Folkspartaid riesca ad unire i voti degli altoatesini a Roma e in Alto Adige in un unico blocco politico tale da influenzare le decisioni politiche nell’interesse di quella Regione. Il punto è che l’Alto Adige se lo può permettere, perché le condizioni economiche e sociali sono ben diverse da quelle della Sardegna. La divisione partitica di Roma dei nostri rappresentanti sardi si gioca e sempre si è giocata in Sardegna sulla pelle delle condizioni precarie di lavoratori e cittadini della Sardegna. L’azione divisiva lo Stato la opera nel.proprio territorio. Vorrei vedere uno in Italia, a parte quelli che hanno votato SI al referendum (e l’Alto Adige è tra quelli) che è in grado di identificare lo Stato come amico (e forse neppure tra quelli…).
Due son le vie: o si fa uno Stato ‘amico e giusto’ o si fa una Sardegna ‘amica e giusta’. In tutti i due i casi la strada mi sembra lunga, molto lunga, e – date le premesse reali – anche impraticabile.
Con questo quadro finanziario è sempre più evidente la non utilità di questa “autonomia” ma la necessità,quantomeno di una vera “sovranità fiscale e finanziaria”. Ritengo che dopo i tagli alla sanità che porrà in essere Moirano l’argomento diventerà di molta attualità: vedo piazze affollate…. speriamo che gente si svegli, ma ho qualche dubbio in quanto molti saranno pronti ad elemosinare a Roma ed annunciare false promesse… l’attuale renzismo.