Stasera cominciamo a parlare di fisco a Cagliari. Cioè cominciamo a preparare una grande mobilitazione per il fisco, perché è così che si diventa grandi nella storia, sacrificandosi.
Stamane, però, vorrei raccontare all’Assessore alla Sanità una storia accaduta nella fulgida epoca imperiale del propretore Moirano. È una storia semplice, direbbe Sciascia, una storia che nasce da documenti mal fotocopiati lasciati nella cassetta delle poste della mia casa di Macomer.
Ritorniamo un attimo indietro nel tempo.
Nel 2016 io segnalai che la Sardegna era l’unica regione d’Italia che aveva un’idea tirrenica della sterilizzazione dei camici e delle lenzuola degli ospedali, cioè, per dirla senza facile ironia, che era la Regione nella quale accadeva, nell’Ospedale di Olbia, che la sterilizzazione avvenisse in uno stabilimento della penisola e con procedure forse orientate al risparmio, ma certamente vocate all’inefficienza.
Ovviamente non ci fu risposta. Solite spallucce d’ordinaria amministrazione; solita superficialità politica che trascura quanto i disservizi sanitari stiano scollando i cittadini dalle istituzioni.
Passano gli anni e nel frattempo i malumori crescono, tutti sedati dal clima di inibizione del dibattito politico e civico che ormai si respira in tutti i presidi sanitari sardi: se sei dipendente, non puoi parlare con la stampa (Thomas Jefferson diceva che “La nostra libertà dipende dalla libertà di stampa, ed essa non può essere limitata senza che vada perduta“).
Fatto è che il più grande nemico del potere costituito, la libertà umana, questa insopprimibile scintilla di divinità che alberga in ciascuno di noi e che non può essere soppressa dai meccanismi biologici del nostro corpo e dalla sua morale servile della sopravvivenza a tutti i costi, si è fatta sentire e qualcuno ha avuto il coraggio di mandarmi delle lettere intercorse tra l’Ats e la società titolare dell’appalto.
L’11 luglio l’Ats scrive prot. pc/2018/193920 (metto il protocollo così spero che nessuno venga a casa a rovistarmi il computer) alla società titolare dell’appalto di Olbia dicendole che “si sta valutando la possibilità di procedere alla variazione in incremento, nei limiti del 20%, dell’appalto attivo presso la Assl di Olbia a favore dell’Assl di Sassari, al fine di garantire la copertura del servizio fino ad aggiudicazione da parte del soggetto aggregatore“.
Fermiamoci un attimo e ragioniamo per capire che cosa sta succedendo: 1) il lavanolo è svolto a Olbia da una società e a Sassari da un’altra; 2) quello di Sassari (ma credo anche quello di Olbia) è comunque andato a gara (lo si deduce dall’affermazione ‘fino ad aggiudicazione da parte del soggetto aggregatore‘); 3) l’Ats ritiene comunque quello di Sassari ‘scoperto’, cioè non esercitato legittimamente da qualche società, e lo offre alla società titolare dell’appalto di Olbia.
A questo punto, l’Ats dice alla società di Olbia quali prezzi deve fare perché gli sia affidato l’incremento dell’appalto:
“Si comunica che il servizio di che trattasi potrebbe essere affidato a codesta impresa solo in ipotesi di applicazione dei seguenti prezzi di appalto:
Degenza: Euro 5,70 sul quale dovrà essere applicato uno sconto del 10 per cento;
Operatore/mese: Euro 22,70 sul quale dovrà essere applicato uno sconto del 10 per cento;
Kit sterili: Euro 3′,70 sul quale dovrà essere applicato uno sconto del 10 per cento;
Monokit sterili: euro 4,70 sul quale dovrà essere applicato uno sconto del 10 per cento“.
Io non sono né un giudice del Tar, né un magistrato, né un esperto di appalti, ma leggendo questa mail mi sono sentito riproiettato in quel mondo nebbioso e incerto che ho combattuto, da solo, ai tempi del contrasto con l’Anas.
Faccio una domanda: come fa l’Ats a sapere che non vi sia una società che possa fare offerte più vantaggiose di quelle proposte direttamente a questo appaltatore? Come fa l’Ats a presumere che lo stesso appaltatore non possa fare prezzi più convenienti di quelli suggeriti? Cioè: perché non si è aspettato che l’appaltatore facesse la sua offerta e la si potesse valutare, ma si è detto all’appaltatore quali prezzi avrebbe dovuto praticare? Sono domande cui non so rispondermi, ma certamente se io fossi il regolatore del mercato non lo regolerei in queste forme e con queste regole.
Peraltro, c’è da chiedersi: il servizio lavanolo di Olbia funziona bene?
L’11 luglio il Direttore del Dipartimento d’Emergenza e Urgenza ha preso carta e penna e ha scritto al Rup dell’appalto di lavanolo, al Direttore dell’ASSL (queste ASSL, dobbiamo dirlo con chiarezza, sono vecchie Asl evirate, dove il Direttore non conta nulla, in epoca imperiale), al Direttore del Dipartimento per gli acquisti e al Direttore dell’Ospedale S. Giovanni di Dio, e ha detto loro che il servizio delle divise sanitarie fa acqua da tutte le parti. In particolare, è ormai impossibile distinguere subito chi fa che cosa in base alla divisa, e questo, in situazioni emergenziali, significa privare l’équipe di un principio immediato e semplice di autorganizzazione. La lettera è meritevole di attenzione, perché è coraggiosa; se potessero parlare infermieri, caposale etc., direbbero molto di più sulla qualità del servizio.
Spero che il coraggio degli addetti sia contagioso e colpisca anche chi ha la responsabilità di questo quadro così demoralizzante, così colombiano, così inibitorio della regolazione del conflitto naturale tra gli interessi legittimi che è indispensabile per produrre ricchezza.