Riportiamo di seguito l’intervento di Sandro De Martini, dirigente Sdirs, sabato a Tramatza.
«Un saluto a tutti i convenuti a nome dello Sindacato dei dirigenti del Sistema regione e un grazie ai promotori di questa iniziativa, Paolo Maninchedda e Paolo Mureddu per tutti, per aver chiesto un nostro contributo a questo dibattito.
Credo utile, dato che il nostro non è un grande sindacato, fare un minuto di presentazione del Sindacato dirigenti e direttivi Regione Sardegna che qui, oggi, rappresento.
L’atto di nascita dello SDIRS (Sindacato Dirigenti e direttivi Regione Sardegna) è datato 9 giugno 1986, epoca nella quale era forte l’afflato autonomista in Sardegna e tra i sardi (il Presidente della Giunta era Mario Melis), e perciò si proponeva quale rappresentante dei dirigenti e quadri dell’Amministrazione regionale, assumendo un forte carattere identitario.
Lo Statuto declina gli scopi sociali di questo sindacato:
- tutelare la dignità, il prestigio e gli interessi del personale dirigente e direttivo dell’Amministrazione e degli enti regionali di cui all’art.1;
- operare affinché l’organizzazione degli uffici regionali e lo stato giuridico-economico del personale dirigente e direttivo siano in ogni tempo aderenti alle esigenze del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione regionale nell’interesse dei cittadini della Sardegna;
- concorrere ad elevare il prestigio e la funzionalità della pubblica amministrazione regionale;
Su queste basi programmatiche, il 26 maggio 1987, lo SDIRS celebrò il primo congresso, nel corso del quale, si prese atto degli impegni dei numerosi rappresentanti politici intervenuti ai lavori per arrivare “in tempi rapidissimi alla definizione di un nuovo assetto organizzativo della struttura burocratica dell’Amministrazione regionale, che privilegi la responsabilizzazione dei dirigenti e dei funzionari e che insieme ponga – in un corretto rapporto con l’Autorità politica (…) – le basi primarie di un concreto improcrastinabile processo di recupero dell’efficienza amministrativa della Regione, in conformità con le legittime istanze della collettività isolana”.
Questo avveniva quasi 35 anni fa e, a ben vedere, le istanze e le speranze di allora, sono ancora (ahinoi!) drammaticamente attuali.
Il tema della giornata di oggi è articolata in 5 domande, alcune piuttosto impegnative.
Coerentemente con il ruolo che rivesto e l’organizzazione che rappresento, ritengo utile rispondere, essenzialmente, alla seconda domanda: quella relativa a “Come costruire un programma credibile e non elettorale, un repertorio di soluzioni e non di slogan”.
Ma non mi sottraggo a dare una, mia personale, risposta al primo quesito: Quale tasso di resistenza e di impegno residua ancora nella società sarda.
Constato, nell’esperienza quotidiana, come il tasso di resistenza e impegno nella società sarda, si stia pericolosamente abbassando, avvicinandosi al limite di guardia, oltre il quale c’è solo un futuro di apatia e declino.
Anni di crisi economica e sociale; un drammatico (per me) divario col resto d’Europa nel campo della formazione scolastica e professionale; carenze infrastrutturali invalidanti; incapacità cronica di “fare sistema” a tutti livelli, alle quali si aggiunge l’assenza di risposte politiche adeguate, non potevano che produrre gli effetti che oggi registro.
Sono però fermamente convinto che una proposta politica in grado di offrire un programma concreto di riforme e di azioni politiche che individui tre/quattro obiettivi strategici in grado di disegnare un futuro diverso per la Sardegna, potrebbe ancora risvegliare la coscienza civile e la voglia di partecipazione di quei sardi che non si rassegnano a un futuro da “pedidores in domo anzena”.
Questa breve disgressione ci riporta immediatamente all’argomento della seconda domanda:
Quale programma credibile e non elettorale
Un programma politico di governo, seppur regionale, deve contenere una proposta ampia, in grado di intercettare i bisogni di una società moderna, offrendo possibili soluzioni per superare quei nodi strategici, d’interesse vitale per i cittadini sardi, che attendono, ancora, una risposta.
Non sottraggo tempo ad elencare quelli che, a mio avviso personale avviso, possono essere i diversi punti qualificanti.
Ritengo invece importante concentrare l’attenzione su un punto, sostanziale e imprescindibile, al quale difficilmente si presta attenzione e che, probabilmente, non richiama gli applausi delle folle elettorali.
È lo stesso obiettivo, già dichiarato 35 anni fa, del congresso fondativo del nostro sindacato: l’adeguamento della macchina amministrativa regionale ai mutati bisogni dei cittadini e della società sarda.
Una coalizione che aspiri al governo della Sardegna e abbia a cuore, non la gestione delle cose, ma bensì una visione strategica del futuro della Sardegna, DEVE elaborare, prima ancora di iniziare la campagna elettorale, una idea chiara e un disegno compiuto di riforma e adeguamento dello strumento di governo.
Spero di non dare un senso di autoreferenzialità, indicando la riforma della macchina amministrativa quale priorità, ma facendo un esempio banale, dubito che chiunque di noi affronterebbe un lungo viaggio, su strade difficili, con una auto pensata e realizzata 44 anni fa.
Magari sarebbe romantico, ma non efficace e sicuro.
Ecco, oggi, la Regione Sardegna agisce ed opera utilizzando una “macchina amministrativa” pensata e tradotta in legge nel 1977.
Pensare di poter governare la complessità dei problemi attuali con uno schema di gioco vecchio di 40 anni è perdente già in partenza.
Noi, oggi, operiamo e cerchiamo di dare risposte ai cittadini sardi attraverso una struttura pensata sul modello statale-ministeriale degli anni ’70.
Credetemi: una fatica improba.
È talmente evidente a tutti, che non c’è legislatura, degli ultimi 40 anni, che non inizi annunciando la buona novella: adesso facciamo la RIFORMA!
Nei fatti: niente.
Poi arriviamo ai nostri giorni e, l’attuale maggioranza in Consiglio Regionale, nascondendosi dietro a un titolo altisonante “Norme urgenti per il rilancio delle attività di impulso, coordinamento ed attuazione degli interventi della Giunta regionale e di riorganizzazione della Presidenza della Regione……” riesce nel capolavoro di approvare una legge (la n.10 del 2021) con la quale, invece di abrogare o modificare quella legge del 1977, non solo la peggiora (basti pensare alla follia organizzativa dei Dipartimenti), ma fa scempio dell’imparzialità della pubblica amministrazione, sancendo l’occupazione clientelare della struttura amministrativa.
Ennesimo esempio, in questa legislatura, di interventi patologici sulle strutture tecnico amministrative, come mai successo prima, che stanno letteralmente manomettendo principi e regole di buona amministrazione.
Occuperei ben più del tempo concesso a questo intervento, anche se solo mi limitassi ad elencare tutti gli interventi che il nostro sindacato ha dovuto promuovere a tutela del buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
Tutto questo, purtroppo, sta avvenendo nel silenzio più totale degli organi di vigilanza e controllo, nonostante la costante opera di denuncia che il nostro, piccolo, sindacato porta avanti insieme a poche altre voci.
Il timore è che, questa operazione di smantellamento delle garanzie di terzietà e indipendenza della P.A. sarda, possa lasciare segni duraturi.
Proprio per scongiurare questa nefasta possibilità, ci sentiamo impegnati a fare una proposta a coloro che vogliono costruire una prospettiva di governo differente.
In estrema sintesi la nostra proposta si può articolare così:
- Innanzi tutto è indispensabile che, le forze politiche che si candidano a governare la Sardegna, si interroghino sulla forma di governo che ritengono più confacente a rispondere alle istanze di una società (anche quella sarda) in transizione verso forme di lavoro che ancora non conosciamo, di attività economiche, di aggregazione sociale, culturale tutte nuove e potenzialmente di grande prospettiva, ma che abbisognano di “strumenti” di governo adeguati. Proponga, da subito, senza inutili tatticismi, una proposta di legge Statutaria che ridisegni, se ritenuto necessario, l’attuale forma di governo. Scelga tra una forma “presidenziale” (con il Presidente eletto direttamente “dal popolo”, come ora) o un forma “parlamentare” (dove l’esecutivo, Presidente compreso, è eletto dal Consiglio regionale); da questa prima, sostanziale, scelta deve derivare una coerente forma di esecutivo; quindi scelga tra una struttura di governo “rigida” (con assessorati già disegnati nel numero e nelle competenze) o una forma più flessibile (assessorati e competenze stabiliti sulla base del programma da realizzare) o, ancora, tra le altre forme possibili. Ha tutta la libertà di proporre la forma che ritiene migliore, ma ha anche, soprattutto, il dovere di scegliere: senza ambiguità. E lo deve fare ben prima che inizi il confronto elettorale, in modo da aprire un grande dibattito al quale tutti possono partecipare. Se poi, questa proposta, avrà la maggioranza dei consensi, deve essere approvata nei primi tre mesi della nuova legislatura: andare oltre, ci insegna l’esperienza, comprometterebbe la realizzazione del programma di governo.
- Fatta questa scelta fondamentale, che rappresenta l’architrave istituzionale del modello di Regione che si vuole costruire, deve essere ridisegnata, completamente, la struttura amministrativa regionale. Noi siamo convinti che, in questa, debbano convivere parti “rigide” per lo svolgimento di funzioni primarie e non fungibili (tutela della salute, tutela della sicurezza e dei beni (protezione civile); beni culturali; tutela dell’ambiente; bilancio, gestione risorse umane, gestione patrimoniale) con strutture molto “flessibili”, in grado di essere organizzate e fortemente orientate per il raggiungimento degli obiettivi strategici di programma: questo può avvenire, per essere propositivi, attraverso deleghe specifiche che il Presidente (o il Consiglio Regionale) possono attribuire a singoli “assessori” con specifici mandati di legislatura.
Niente di particolarmente rivoluzionario o straordinario, ma semplicemente l’uscita, finalmente, dall’ultimo baluardo del feudalesimo sardo.
- A questo primo, sostanziale, tassello si deve accompagnare, senza soluzione di continuità, una completa revisione della suddivisione delle competenze tra le diverse articolazioni istituzionali del territorio: noi crediamo fermamente, magari sorprendendo qualcuno, che le attività di gestione debbano, per quanto possibile, essere svolte in prossimità del cittadino utente. Autorizzazioni non complesse, concessioni, erogazioni di contributi regionali, aiuti per calamità (solo per fare alcuni esempi concreti) a nostro avviso, debbono e possono essere gestite localmente, nelle forme che, insieme alle istituzioni locali, si riterrà più adeguate. A livello regionale debbono permanere le attività legate alla gestione di risorse comunitarie o nazionali non delegabili, la pianificazione e realizzazione di opere infrastrutturali d’interesse regionale, la gestione dei vincoli ambientali (VAS; VIA per es), la pianificazione energetica, etc. In sostanza si tratta di dare attuazione ad un vero federalismo intraregionale.
- Sia chiaro: onde evitare che, da nobile principio, possa diventare un pericoloso scarico di incombenze, questo processo, complesso e articolato, deve essere preceduto e accompagnato da un impegno vincolante a dare attuazione a quanto previsto al comma 2 ter dell’art. 1 della L.R. n.31/1998 (inserito con la legge n.24/2014): “Il Sistema Regione e le amministrazioni locali, costituiscono il Sistema della Pubblica Amministrazione della Sardegna, articolato in Sistema regionale centrale e Sistema dell’amministrazione territoriale e locale”. Per rendere attuabile questa affermazione di vero federalismo interno della PA, è necessario investire risorse, neanche ingenti, per equiparare i contratti di lavoro del Sistema regione con quelli del Sistema degli EE.LL., nella sostanza, fare il contrario dell’attuale maggioranza che utilizza ingenti finanziamenti, per creare sacche corporativistiche all’interno del contratto regionale (vedi contratto separato per CFVA, per Forestas, per Prot. Civ, etc).
Deve essere invece assunto l’impegno di cessare, con immediatezza, il saccheggio, che l’Amministrazione regionale ha fatto in questi anni a spese dei Comuni e delle Province (esistono ancora?) di personale qualificato per fare fronte alla propria incapacità di svolgere regolari e autonomi processi di reclutamento.
Bisogna, anzi, incentivare un ragionato deflusso, dal centro alla periferia, secondo il principio che, al passaggio di competenze, devono seguire le risorse finanziarie e umane necessarie ad esercitarle. Sarebbe essenziale promuovere, così come in altre realtà regionali dotate di forte autonomia, una “scuola della P.A. regionale” dove possano formarsi i quadri e i dirigenti che opereranno nell’Amministrazione centrale o in quella territoriale e locale, in modo da acquisire linguaggi e modalità operative uniformi, a tutto vantaggio della collettività sarda. A questo dovrebbe, per logica e lungimiranza, seguire una unica forma di reclutamento per tutti i diversi livelli istituzionali regionali. Gli odierni strumenti di comunicazione e scambio dati, supportati da una già avanzata digitalizzazione dei procedimenti, consente una forte delocalizzazione dei processi di lavoro, soprattutto, nella P.A., togliendo qualunque alibi a questo processo di federalismo interno, quale indispensabile contributo alla coesione territoriale. È auspicabile che, nell’arco dei cinque anni di una legislatura, questo processo sia avviato e, se non concluso, reso già operativo.
Tutto questo deve essere preceduto o seguito (non è importante il quando, ma che avvenga) dalla sottoscrizione di un patto di integrità, tra l’autorità politica e struttura amministrativa, nel quale sia scritto, “sulla pietra”, il reciproco impegno ad operare, nella distinzione (non separazione) dei ruoli, nel rispetto dell’imparzialità e terzietà dell’azione amministrativa e per il buon andamento della pubblica amministrazione nell’esclusivo interesse di tutti i cittadini della Sardegna. Non sarebbe un atto solo formale o un impegno, in fondo, pleonastico: con quello che abbiamo già visto in questa legislatura, sarebbe un gesto forte, quasi rivoluzionario.
Chiudo, sperando di avere dato un contributo al dibattito di oggi, con un appello a color che si candidano a governare il futuro della Sardegna: siate coraggiosi.
Non perdetevi nella facile coazione a ripetere “su connottu” per paura di toccare equilibri forti e consolidati.
La Sardegna, intesa come cittadinanza e come istituzione, sta languendo proprio perché soffocata dallo status quo e dalla tutela degli interessi consolidati.
Siate coraggiosi: date il via a una stagione di riforme vere e profonde e date coraggio anche a noi che, come tanti sardi orgogliosi di esserlo, vogliamo essere al servizio della nostra comunità».
Bonu! Meravizosu! Netzessàriu! Urzente! Apretosu!
La depimus agabbare de sighire a fàghere “su connotu” de s’aprofitamentu e de su domíniu, ca no est cussu chi nos serbit pro sighire a èssere zente: “su connotu” chi amus connotu nos at fatu males mannos, at fatu nàschere prus gherras e aprofitamentu de pagos e isperdimentu de benes e de zente chi no mezoru materiale e culturale; e a insístere est meda prus a sighire a fàghere su caminu de s’àinu chi no iscàssiat mai de su caminu chi li ant imparadu e fatu fàghere, mancari no siat cussu su chi nos serbit de libbertade, responsabbilidade e vida dignitosa.
Le stesse lucidità e chiarezza con cui Sandro ha sconfitto la peste suina
Da applauso!