I giornali del sabato sono in genere quelli nei quali vengono pubblicati gli avvisi delle vendite all’asta delle case e delle aziende che non sono riuscite a saldare i loro debiti.
Vedere ogni settimana ribadita e ampliata la tragedia della confisca e vendita dei beni delle persone e delle aziende significa sanguinare ogni settimana nell’anima, in profondità.
Sicuramente tra i soggetti coinvolti ve ne saranno non pochi disinvolti, imbroglioni e quant’altro, ma niente mi toglie dalla testa che la gran parte è costituita da persone e aziende travolte dalla crisi bancaria del 2008 o da crisi più lontane connesse con la sottocapitalizzazione delle imprese sarde.
Quando pignoramenti e vendite raggiungono una costante serialità bisogna affrontare un problema di sistema, un problema politico dei sardi che non può essere lasciato alle sole controversie con le banche, l’Agenzia delle Entrate e l’Inps.
Invece, la cultura post-gentiliana che ancora oggi è prevalente tra i politici sardi, sia liberali che laburisti o di destra e di sinistra, secondo il lessico inaugurato dalla fittizia alternanza di questi ultimi decenni, riconosce allo Stato la palma del Bene e della Giustizia e al Privato l’infamia dell’interesse particolare e dell’egoismo. Niente di più sbagliato. Il rapporto tra la libertà (l’individuo) e l’ordine (lo Stato) è molto delicato ma non può essere risolto nella subordinazione dell’individuo all’organizzazione. Sono temi su cui non si ragiona più e infatti la gente si affida alla rabbia piuttosto che alla militanza nel rapporto con Banche, Ministeri, Agenzie, Magistratura, grandi compagnie di telecomunicazione e di energia. Tutto ciò che è molto grande in Italia sta diventando prevaricatore della libertà. In Italia lo Stato non è al servizio del cittadino, accade invece il contrario. Il problema è che mentre il Partito dei Sardi dice che all’origine della difficoltà economica della Sardegna c’è l’organizzazione dello Stato italiano, altri sostengono che, invece, all’origine dei mali sardi ci sono i Sardi. Noi non decidiamo come organizzare i diritti, gli scambi, regolare la ricchezza, promuovere la persone, ma saremmo responsabili di come lo fanno gli altri.
Questo si chiama masochismo post-coloniale.
Indifferente a tutto questo, l’Istat, non il Parlamento, l’Istat ha fatto i collegi elettorali per eleggere i deputati al Parlamento italiano. I retroscena di questa scelta li ha raccontati oggi Il Fatto quotidiano e sono retroscena che sconfortano per la Sardegna, che si ritrova, per le prossime elezioni politiche, oltre che di fronte a un vuoto pneumatico di idee che la riguardino, con due megacollegi plurinominali per la Camera di 800.000 abitanti ciascuno e un collegio plurinominale del Senato di 1. 600.000 abitanti. Nei primi due si eleggono 11 deputati (mediamente 1 ogni 72.000 abitanti) e nell’altro 5 senatori (mediamente 1 ogni 320.000 abitanti). Credo non sia neanche necesario commentare la follia di questa impostazione che crea i collegi per giustificare le liste bloccate, piuttosto che renderli complessivamente di prossimità agli elettori. Ma ciò che conta oggi è il retroscena che si chiama Rignano.
L’Istat ha messo il nobile piedino statistico su una grandissima deiezione. Ha legato il paese di Renzi (e quindi ha disegnato il collegio di Renzi) a Livorno e non a Firenze e Renzi sa perfettamente che questa scelta non è proprio salubre per lui. Ma, bisogna riconoscerlo, il leader del Pd sta facendo uno sforzo sovrumano per il suo temperamento e dunque sta abbandonando vendette e toni sentenziosi e definitivi (che hanno tragicamente isolato il Pd) e ha reagito più con l’ironia che con l’analisi. Ma che i collegi siano stati fatti con i piedi è certo. Putroppo però i giornali sono già pieni delle potenziali correzioni da apportare al testo, attraverso i pareri che le commissioni parlamentari dovranno dare sul testo del decreto legislativo, ma si parla correzioni in Toscana, Lazio, Umbria e Marche (casualmente l’areale in cui il Pd è più forte), non della Sardegna. Perché?
La risposta è nelle cose e non ho voglia di illustrarla, ma è certo che sono certissimo di aver ragione quando dico che se le forze politiche sarde stringessero un accordo che portasse nel prossimo frantumatissimo Parlamento una pattuglia di 25 parlamentari legati da un patto nazionale sardo sottoscritto, la Sardegna conterebbe molto, entrerebbe al Governo e non vedrebbe il Governo continuare nelle sottrazioni indebite delle compartecipazioni sarde o nelle impugnazioni costanti di ogni respiro di fronte alla Corte Costituzionale.