di Paolo Maninchedda
A sentire D’Alema, intervistato dal Corriere della Sera, il Pd patirebbe una “rottura sentimentale” col suo elettorato. Provo a dire che cosa vuol dire. Significa che quando un elettore dà stabilmente il proprio consenso a un partito, fino a divenirne un simpatizzante se non un militante, una parte delle sue motivazioni sono legate al programma, un’altra a un sistema di convinzioni generali, di simpatie, di affinità e di comuni riconoscimenti in un pezzo di storia o nella lettura che se ne dà. Non so se D’Alema abbia ragione sulla radice della riduzione dei consensi al Pd, ma ne ha certamente tanta quando illumina le basi non solo razionali del consenso.
È un argomento delicato in casa nostra.
L’indipendenza della Sardegna deve muovere non solo ragionamenti, buone pratiche di governo, diversità politiche, competizione politica con chi, legittimamente e no, tenta di esercitare un’egemonia sul sistema sardo. Dovrebbe suscitare anche sentimenti, emozioni, coinvolgimenti.
I grandi inibitori del sentimento nazionale sono l’estremismo, da una parte, e l’autonomismo dall’altra.
Il primo suscita interesse solo in coloro che, per cultura e temperamento, di fatto sono rivoluzionari, insurrezionisti o semplicemente ribellisti, ossia gli avversari migliori per gli apparati di sicurezza dello Stato italiano. La gran parte della società sarda isola il ribellismo, l’insurrezionalismo, i toni esasperati e vuoti. La gran parte dei sardi ha paura di chi di fatto promette solo confusione, ne vede i limiti culturali, ne coglie la poca preparazione istituzionale e la cecità rispetto al futuro. Se l’estremismo suscita un sentimento, questo si chiama paura o diffidenza.
L’autonomismo è un grande inibitore della nascita di un sentimento nazionale dei sardi, perché se realmente nascesse un trasporto emotivo per noi stessi e per la nostra patria, come potrebbe l’autonomismo (cioè la teoria della delega di sovranità da parte dello Stato italiano) continuare ad accampare le prorie ragioni di esistenza? L’Autonomia esiste esattamente dove non c’è una coscienza nazionale, ma dove esistono differenze geografiche e problemi di varia natura che richiedono un potere decentrato.
Ma noi, al di là di tutto questo, sappiamo far scattare la molla delle emozioni? Siamo consapevoli che non basta che facciamo bene la nostra parte in Giunta? La Giunta non ha la stessa nostra idea dello Stato italiano, dell’evoluzione istituzionale della Sardegna e delle sue emergenze. Come in tutti i governi di coalizione, accettiamo e concorriamo alla mediazione possibile tra i partiti della coalizione, ma noi dobbiamo sapere che il nostro traguardo (la costruzione del Partito della Nazione Sarda, la costruzione dello Stato Sardo, l’integrazione europea, un nuovo fisco, un nuovo sistema produttivo) va oltre la contingenza di questa esperienza di governo. Riusciamo a costruire una corretta seduzione sentimentale sui nostri grandi traguardi? Uno Stato ha bisogno di cuore e cervello.