È stato ritrovato ieri sotto le mura della Chiesa di S. Eulalia (quella a suo tempo sottratta con destrezza alle cure di don Cugusi), tra le rovine del triclinium di una domus romana, in un’area opportunamente e disgraziatamente vicina al Consiglio Regionale, un importantissimo manoscritto, incredibilmente integro e leggibile, risalente ai primi del VII secolo (in Sardegna i bizantinisti raramente datano oltre il VII secolo, come se dopo quella data, siano tutti morti e la Sardegna si sia ripopolata nell’XI), non pergamenaceo ma cutaneo, perché, come raramente accade, realizzato con la pelle di uno schiavo in quanto destinato, per contrasto, a combattere la schiavitù morale. Il codice contiene un’opera inedita, intitolata De opponendo.
Si articola in due libri: 1) oppositio dorso erecto; 2) oppositio tergo flexo.
Le prime righe sono riservate alla dedica: Illustrissimis ac reverdissimis dominis Ganau domino Ioanne Francigeno, Deriu domino Roberto, Walter domino Piscedda, et aliis illius domi.
L’autore è un notissimo scrittore cristiano, perseguitato perché preveggente, abate di Sant’Arturo (l’arroccato cenobio dove venne composto il celebre antifonario goliardico che sub voce attesta: sant’Arturo che con il cazzo nel futuro inculava i posteri) noto col nome latino Biototuenoncumprendonudda, per gli amici Biototu.
In estrema sintesi, il primo libro annuncia che in un’epoca imprecisata, ma comunque dopo che Ludovico Ariosto avrà composto il Furioso, la Sardegna cadrà vittima di un incantesimo di pessima Lega, che la condurrà tra le braccia di un sultano con tanti interessi. Il biografo di corte, autore della sua biografia rigorosamente in ottave e in re, imitando a sua insaputa il grande Ludovico, esordisce così: La case, i poderi, l’arte e gli alllori /io canto…. ecc ecc.
Biototu continua esortando a mettere in atto una mobilitazione morale contro il sultano.
Antiveggente di san Tommaso, Biototu ricorda che il sultano (che si circonderà di persone solo di bassa statura, perché non sopporterà gli spilungoni) peccherà poco per malo obietto, cioè non sarà cattivo né vorrà colpire esplicitamente qualcuno volendo fargli del male, se non in rarissimi casi nei quali utilizzerà un corpo di polizia (vai a sapere quale!), ma sarà incontinente (non rispetto alla vescica, ma rispetto ai suoi vizi) e sottilmente bordeggiante le acque terribili del tradimento.
Avrà quattro ossessioni incontinenti: le case (bene lecito, ma che come tutti i beni leciti se amati spasmodicamente diventano vizi); i poderi (non per farci l’orto, ma per farci case, diversamente non risulteranno eccitanti); l’arte (questo sarà il suo tallone d’Achille, in un inferno di colori e compravendite turbinose) e appunto gli allori, perché agognerà la laurea con tutto se stesso, fino a coronarvisi in una città turrita a dispetto di dio e dei santi.
Un uomo siffatto avrà un potere immenso e corrispondente alla sua drammatica debolezza. La Sardegna, scrive Biototu, per salvarsi (il Sultano affonderà tutte le flotte per scambiare le vele delle navi con quadri) dovrà opporsi duramente, pretendendo che chi fa politica e governa abbia capacità, non sia distratto dai suoi vizi, non cerchi i codicilli che nelle leggi prevedono le eccezioni, ma si comporti come tutti i normalissimi cristiani che rispettano le leggi nella sostanza. L’oppositio dorso erecto invita a rappresentare un modo diverso di vedere il mondo, un’interpretazione severa del ruolo pubblico, un’intransigenza nel rappresentare la differenza che non si presta a mediazioni. Un’opposizione durissima per impedire che la bulimia e l’accidia sultanesca distrugga tutto e non solo le navi. Un’opposizione siffatta prevede che si sia diversi dal sultano e non simili.
Nel secondo libro, Biototu cede apparentemente la parola al suo fittizio interlocutore, il grammatico Nobanemos, avo di Adrianus Serenus Thiotiscum che tanto combatterà contro il Demonio.
Il grammatico prevede invece che l’opposizione sarà Dorso flexo e dedica i primi versi e una prece alle muse di ispirazione achea che inizia così. Cantami, o Diva, della flaccida schiera / che infinite addusse gioie ai potenti.
Nobanemos vaticina che il Sultano contagerà del morbo dell’accidia, dell’idolenza, della gola, dell’arte e del cemento, i suoi oppositori, i quali accetteranno un accordo: non fare opposizione, rendere tutta la Sardegna una grande galleria d’arte, isolata e spenta, e attendere di sostituirlo a morte politica avvenuta. È l’opposizione attendente becchinante, quella che ai lati del feretro ogni tanto mette lo specchietto sotto il naso per verificare le funzioni vitali e poi, placidamente, sultanescamente, si rassegna ad attendere. Nessuno sostituirà il sultano. Ci sarà un interregno con un pro sultano preso da una baronia di periferia e ingessato dai becchini.
Il codice manoscritto è disponibile su Google, basta digitare: Mandroni.
Applausi!!!
Speriamo che l’archelogo che ha fatto l’importante scoperta riceva un giusto riconoscimento…..seu piscendimí de s’errisu, po’ non prangi.
Siamo oltre l’incredibile e assai avanti nella vergogna.
Nell’infinita tristezza di ciò vi è rappresentato, è un’opera d’arte.
Su teatru cun sos atores za bi est.
Ma nois no tenimus drammaturgos pro iscríere tragédias, chi però a las chèrrere abbaidare za che sunt totu.
Est custu chèrrere chi mancat, comente mancat a sos mandrones, a sos drommidos (de sonnu e drommitiolu pro carchi operatzione), a sos sonnidos, a sos irbentiados, a sos illeriados, a sos ammammalucados, a sos afaristas de si salvi chi può a s’aferra aferra ca parent ischidados e ischidos.
Tenimus invetze unu muntone… eja, muntone, de cummediògrafos… grafos meda, chirchendhe (?) de fàghere iscanzare sas laras a sa zente (de su restu, inoghe, fintzas sos àinos sunt mortos e morindhe de su risu, tantu chi si tiant poder nàrrere sos àinos de su risu, ca intantu a istare sempre pranghindhe istracat puru); ma, fossis, cun su muntone de cummédias si tiat pòdere sarbare sa limba chentza zente, che a candho sa Sardigna fit un’ísula ínnida, e prima postu pè no che aiat sa pessone, ne manu, si no nidos de puzone o de feras sa tana o s’ormina; petzi abba e bentu lima lima fata l’ant a zardinu cun su sole e foras de sa fortza naturale no che aiat un’àteru sinnale. Sos puzones a trumas, in s’aera, in cudh’ària fata de profumu, betaiant su tzíulu totu a unu cun sa boghe orrorosa de sas feras e cantaiant de donzi manera allegros chentza istrobbu e chentza prumu fintz’a candho teniant boghe, e gana, in sa friscura, in s’abba ’e sas funtanas, candho si narat… un tuffo nel passato! Bae e busca cun cale feras, nessi feras, si su bla bla bla de su green a tutto gas no l’at a àere carrarzada de abba salida.
Si nessi aimus zutu unu pagu de sale in conca oe!
Ci ho messo un po’a capirlo ma complimenti, fa scassare! 👏👏👏